Il più grande archeologo italiano, Andrea Carandini, qualche anno fa paragonò il suo lavoro di ricerca nel sottosuolo di Roma all’attività di Sigmund Freud: «Anche nella psicoanalisi si scava, si cercano radici, fondamenta». Con una piccola differenza: Freud trovava traumi, chi scava oggi nella città eterna rischia di trovare scheletri, ossa, tracce di delitti, indizi di misteri irrisolti.
La scomparsa del giudice Adinolfi
Le pale al lavoro nella fascinosa Casa del Jazz, a ridosso delle Mura, sono solo l’ultimo esempio di questa psicoanalisi del delitto che Roma, periodicamente, compie su se stessa. Oggi si è alla ricerca di tracce del giudice Paolo Adinolfi, scomparso all’età di 52 anni mentre andava al lavoro, sabato 2 luglio 1994.
Era una mattina torrida, le cronache locali del tempo titolavano sui 40 gradi all’ombra del Cupolone, mentre i titoli nazionali era dedicati all’allora quarantenne Massimo D’Alema appena eletto segretario del Pds. Quella mattina il magistrato, dopo aver dato un veloce saluto alla moglie e ai due figli, prese la sua auto parcheggiata sotto casa in via della Farnesina e scomparve inghiottito dalla città e dai suoi misteri. Da allora, più nessuna traccia.
Il boss della Magliana
Eppure adesso si scava. Magari uno scheletro, una mandibola, un metatarso che possa emergere lì dove da anni, dopo che l’area con elegante casino al centro venne confiscato al boss della Magliana Enrico Nicoletti, si celebra ogni estate una stupenda rassegna jazz, con nomi altisonanti… In superficie si suona free o acid jazz e magari, chi può escluderlo, cinque metri più sotto, molti segreti potrebbero continuare a tacere nelle loro dolorose sepolture.
Pale al lavoro
Da questo punto di vista, quello dei misteri è pane quotidiano della Città Eterna. E alcuni di questi sono davvero misteri antichi, come quello, cominciato sette anni prima, nel 1987, quando un grandissimo nome dell’economia mondiale, Federico Caffè, svanì nel nulla dopo aver lasciato il suo appartamento a Monte Mario. Scomparsa volontaria? Rapimento? Omicidio? Le indagini sono ferme sostanzialmente a quel giorno del 1987.
Emanuela e Mirella
E quattro anni prima, l’Italia aveva drammaticamente cominciato a fare i conti con uno dei più grandi gialli mai risolti: la scomparsa di Emanuela Orlandi, figlia quindicenne di un dipendente vaticano, sparita poco tempo dopo un’altra adolescente che abitava a Roma, Mirella Gregori. Due ragazze, due buchi neri nella coscienza della Capitale.
Per trovare tracce di Emanuela Orlandi si è scavato, eccome. Si sono aperti sarcofaghi dove alcune voci volevano che ci fosse il corpo della ragazza, oppure si sono usate ruspe e pale per portare alla luce in via Po – nel 2018 – ossa umane all’interno della Nunziatura Apostolica del Vaticano, un legame più che ghiotto tra la giovane scomparsa e il lavoro che faceva il padre. Si sono tirati fuori resti umani femminili, ma – come disse il direttore di Medicina legale di Tor Vergata, Giovanni Arcudi, raggelando la pista – «sono di una donna tra i 25 e i 35 anni». Troppi per la piccola Emanuela. Qualche giorno dopo vennero trovati altri resti, ma anch’essi di donna adulta. Pista chiusa.
Renatino nella cripta
A venir aperta, qualche anno prima, fu invece una sepoltura gentilizia all’interno dell’elegante chiesa di Sant’Apollinare, nell’omonima piazza che sta a metà tra piazza Navona e Palazzo Altemps, uno dei musei più importanti della scultura classica romana. Nella cripta della basilica, con tutti gli onori, trovò sepoltura per ben 22 anni il capo della Banda della Magliana, Enrico De Pedis, detto «Renatino» che nella serie tv sulla banda della Magliana era il Dandi, ammazzato a pistolettate da uno dei suoi, soprannominato il Bufalo, a pochi passi da piazza Navona.
Per intercessione del rettore della basilica, don Piero Vergari, e con l’autorizzazione del cardinal Poletti, allora Vicario di Roma, il Dandi venne sepolto a Sant’Apollinare. Perché tanta grazia? Per il semplice motivo – come scrisse il rettore a Poletti, perorando la causa – «che il defunto è stato generoso nell’aiutare i poveri che frequentano la basilica, i sacerdoti e i seminaristi, e in suo suffragio la famiglia continuerà a esercitare opere di carità». Amen. Nel 1997, il Messaggero, grazie alla cronista Antonella Stocco, scopre la storia e un giudice, Andrea De Gasperis, che già per ragioni sue s’era incuriosito, si mette di punta finché non riesce a far sloggiare, ben 15 anni dopo, il caro estinto dalla sacra cripta.
Il collezionista
Ma non è solo la Banda della Magliana a dare vita e lutti alla Roma delle sepolture. Ci sono anche romani così, senza particolare curriculum criminale. Prendiamone uno a caso. Quel tipo strano, e mai individuato, che seppellisce alla Magliana (sempre lì, ok) agli inizi degli anni Duemila le ossa di cinque diverse persone per comporre un «suo» scheletro, quasi che volesse giocare all’Allegro Becchino. Lascia lì accanto una carta di identità, ma che non appartiene a nessuno dei cinque. I giornali lo chiamarono “Il collezionista di ossa”, in omaggio al grandissimo giallista Jeffery Deaver. Con una piccola differenza: nei libri di Deaver alla fine si scopre l’assassino. Alla Magliana, no.
https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/25_novembre_15/orlandi-de-pedis-misteri-roma-2d9b3b74-f61c-4ec5-aa82-803605497xlk.shtml









