“Il Papa ha esortato tutti ad affrontare con prontezza le questioni che riguardano comportamenti inappropriati da parte del clero: ‘Non possono essere messi in un cassetto, vanno affrontati, con senso di misericordia e vera giustizia, verso le vittime e verso gli accusati’”. Così si legge in un passaggio della ricostruzione, decisamente molto sintetica, dell’udienza che Leone XIV ha avuto con i vescovi ordinati nell’ultimo anno, fornita, ventiquattrore dopo l’evento, ai giornalisti accreditati dalla Sala Stampa della Santa Sede. Derubricare, per usare un eufemismo, come “comportamenti inappropriati da parte del clero” dei veri e propri reati, penali e canonici, come gli abusi sessuali dei sacerdoti sui minori, è assolutamente grave. Inoltre, è da chiarire se la paternità di questa affermazione sia da attribuire alla Segreteria di Stato. Un passaggio, tra l’altro, inserito nella sintesi dell’udienza papale in modo del tutto marginale, quando la questione della pedofilia del clero è ovviamente centrale nel governo della Chiesa cattolica e adesso tutti gli osservatori si domandano come sarà contrastata da Leone XIV.
Una piaga antica, ma purtroppo affrontata in modo davvero serio molto tardivamente dal Vaticano. Fu Benedetto XVI il primo Papa a scoperchiare il decennale velo di omertà che in passato aveva sempre coperto sia i carnefici che i loro insabbiatori. Ratzinger, che già da cardinale prefetto della Congregazione per la dottrina della fede si era reso conto che il Vaticano doveva urgentemente affrontare questa gravissima questione, ebbe il coraggio di intraprendere una strada non facile e molto impopolare tra le gerarchie ecclesiastiche, incontrando anche alcune vittime di pedofilia del clero durante i suoi viaggi apostolici. Una lotta nel segno della “tolleranza zero” che il suo successore sul soglio di Pietro, Francesco, ha intensificato con gesti, riforme e leggi canoniche durissime che hanno segnato un vero e proprio punto di non ritorno in materia.
Mai nessun Papa aveva organizzato in Vaticano un summit mondiale sulla pedofilia del clero con tutti i presidenti delle conferenze episcopali nazionali. Quello che, per volontà di Bergoglio, si svolse nel febbraio 2019, fu davvero un evento storico, anticipato, come chiese il Pontefice argentino, dall’ascolto delle vittime. Un summit da cui scaturì rapidamente una legislazione durissima e inappellabile per contrastare gli abusi, punire i preti colpevoli, ma anche i vescovi che li avevano insabbiati per decenni. Una pietra miliare nella legislazione canonica in questo senso è rappresentata dal motu proprio di Francesco intitolato Vos estis lux mundi del 2019. Una politica, quella della “tolleranza zero”, espressione usata sempre da Bergoglio in materia di lotta alla pedofilia del clero, che ha spesso fatto storcere il naso negli ambienti ecclesiali, perfino in Segreteria di Stato. Nei sacri palazzi, infatti, essa è stata più volte bollata come tipica del giustizialismo americano e, quindi, non idonea alla Chiesa cattolica fondata sulla misericordia divina. Francesco, ben conoscendo queste dure critiche interne, è sempre andato serenamente dritto per la sua strada, consapevole che sulla lotta alla pedofilia del clero l’istituzione ecclesiale si gioca la credibilità.
A ilfattoquotidiano.it, nel 2023, Bergoglio ribadì con forza: “Se nella Chiesa si rilevasse anche un solo caso di abuso, che rappresenta già di per sé una mostruosità, tale caso sarà affrontato sempre con la massima serietà”. E aggiunse: “Nella Chiesa non c’è posto per chi si macchia di questo abominevole peccato contro Dio e contro l’uomo. Ma la pedofilia è anche un reato che la giustizia deve punire. Coprire gli abusi è una pratica abituale. Pensa che il 40 per cento dei casi di abuso avviene nelle famiglie e nel quartiere e tutto questo viene coperto. Un’abitudine che la Chiesa ha avuto fino allo scandalo di Boston nel 2002. In quel momento, la Chiesa si è accorta che non poteva più coprire la pedofilia dei suoi preti, ma nelle famiglie e nel mondo dello sport c’è ancora questa abitudine”.
Nelle parole, nei gesti e soprattutto nelle riforme di Francesco è sempre stato molto evidente che le vittime e i carnefici non possono essere messi sullo stesso piano e, soprattutto, non possono essere trattati ugualmente “con senso di misericordia e vera giustizia”. Eloquenti furono le parole con cui Bergoglio concluse il summit mondiale sulla pedofilia del clero: “Faccio un sentito appello per la lotta a tutto campo contro gli abusi di minori, nel campo sessuale come in altri campi, da parte di tutte le autorità e delle singole persone, perché si tratta di crimini abominevoli che vanno cancellati dalla faccia della terra: questo lo chiedono le tante vittime nascoste nelle famiglie e in diversi ambiti delle nostre società”. E aggiunse: “Il santo timore di Dio ci porta ad accusare noi stessi – come persone e come istituzione – e a riparare le nostre mancanze. Accusare sé stessi: è un inizio sapienziale, legato al santo timore di Dio. Imparare ad accusare sé stessi, come persone, come istituzioni, come società. In realtà, non dobbiamo cadere nella trappola di accusare gli altri, che è un passo verso l’alibi che ci separa dalla realtà”. Un magistero ereditato ora da Leone XIV.
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