di Cristina Ferrari – Errori, omissioni e mancanze nell’ambito delle norme procedurali canoniche. Nessuna trasgressione che richieda ad oggi l’apertura di un procedimento penale interno alla Chiesa, va detto, ma ad ogni modo, e confermata ne è dunque anche la gravità, comportamenti ritenuti “non corretti”.
È questo il succo del comunicato stampa della Conferenza dei vescovi svizzeri in merito alla lettera ricevuta dal Dicastero romano per i vescovi dove vi sono indicati i risultati dell’indagine canonica preliminare atta a chiarire diverse accuse, anche di presunti abusi sessuali, mosse nei confronti di sei alti prelati elvetici, fra cui l’attuale amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, monsignor Alain de Raemy, allora nella Diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo.
“Da questa indagine, attentamente studiata dal Dicastero con l’aiuto di autorevoli esperti – si legge nella nota a firma di monsignor Joseph Maria Bonnemain, responsabile dell’indagine su incarico del Dicastero –, non sono emerse prove di reati punibili, insabbiamento, negligenze o errori tali da richiedere l’avvio di un procedimento penale canonico. Ciononostante, il comportamento descritto non è ritenuto corretto, o comunque è emerso che le procedure previste dal diritto canonico non sono state adeguatamente seguite. A causa di queste irregolarità formali, il Dicastero per i vescovi ha emesso delle riprensioni canoniche (un ammonimento per negligenza in sostanza, ndr), invitando gli stessi vescovi e l’intero corpo episcopale svizzero a prestare maggiore attenzione in futuro e a gestire i casi di abuso denunciati con massima diligenza e perizia, osservando rigorosamente tutte le norme vigenti in materia di procedimenti d’indagine”.
Il prefetto, il cardinale Robert Francis Prevost, nella lettera del Dicastero riconosce anche che “nel corso di questi anni travagliati, i membri della Conferenza dei vescovi svizzeri hanno tutti compiuto notevoli progressi e acquisito una maggiore efficacia nel trattare i casi di abuso, assumendo personale sempre più qualificato e collaborando maggiormente con istituzioni indipendenti”, non senza incoraggiarli “a proseguire in questo cammino di vigilanza attiva e rigorosa nell’applicazione della normativa canonica sulla trattazione degli abusi sessuali, certi che le direttive della Chiesa non sono solo strumenti giuridici, ma riflettono un profondo senso di giustizia e responsabilità nei confronti delle vittime, alle quali dobbiamo ascolto, attenzione e riparazione”.
Una nuova consapevolezza, magari anche un po’ tardiva: “I vescovi – annota ancora la Conferenza elvetica – si trovano in un processo di apprendimento e desiderano ribadire la loro determinazione a intraprendere un’azione più decisa contro gli abusi nella Chiesa attraverso la loro attenzione, la loro diligenza, una migliore conoscenza delle procedure canoniche e la prosecuzione delle misure nazionali già avviate. Questo obiettivo deve essere raggiunto anche attraverso un lavoro professionale di prevenzione”.
Il vescovo Bonnemain, contattato da ‘laRegione’, ha confermato quanto evidenziato nel comunicato: «Un giudizio che vale per tutti i vescovi coinvolti. Oggi per questi casi, va detto, non c’è la base per iniziare una procedura penale canonica. Sono però state evidenziate ad ogni modo mancanze sottolineate anche nella lettera che è giunta e giungerà ai vescovi coinvolti».
Una notizia, sicuramente, attesa anche dall’amministratore apostolico a cui abbiamo girato alcune domande.
Monsignor De Raemy, come ha accolto il comunicato della Conferenza dei vescovi svizzeri?
Era una risposta che aspettavamo da diversi mesi. Con le sue osservazioni, il Dicastero vaticano dei vescovi ha precisato ad alcuni vescovi svizzeri dove avrebbero dovuto essere più accurati nelle procedure, per il bene di tutti, a cominciare dalle persone vittime. Questo ci aiuta davvero molto, e io ne sono contento.
Non le sono stati riscontrati risvolti penali, ma si parla di errori, omissioni e mancanze nell’ambito
delle norme procedurali canoniche. Cosa ci può dire in questo senso relativamente al suo caso?
Personalmente, non ho ancora ricevuto nulla dalla Santa Sede. Non posso quindi commentare una valutazione che ancora non ho avuto. Al momento opportuno, se ne potrà discutere.
Il suo coinvolgimento in questo preciso caso, e il relativo riscontro vaticano di comportamento non corretto, crede abbia contribuito in tempi più recenti a portarla (penso al caso don Leo) ad attivarsi con più operosa diligenza?
Per ora non c’è nessun riscontro vaticano concreto nei miei confronti, ma alla luce delle diverse vicende che sono venuto a conoscere in questi anni, ho scoperto quanto sia a volte delicato rispettare in tutto e fino in fondo i bisogni diversi delle persone vittime. Devono sentirsi libere, accolte, credute, protette e mai abbandonate, per riuscire a parlare e a denunciare. E noi che siamo responsabili, dobbiamo essere sempre più preparati a queste situazioni complesse e consapevoli delle sfide ad ampio grado nel prendere le decisioni che servono per tutti. La prevenzione, con l’educazione alla libertà dalla più giovane età, è un’assoluta priorità. Per quanto riguarda il caso di don Leo, non ci resta che aspettare le risposte dal lavoro dei magistrati, che chiariranno sicuramente tutti i contorni di questa triste vicenda.
https://www.laregione.ch/cantone/ticino/1790817/vescovi-dicastero-indagine-vaticano-abusi-confronti-mancanze-errori-omissioni-raemy
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