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Home TG Tematico

Rete L’ABUSO NEWS – Edizione 16 del 23 dicembre

Redazione TG NEWS by Redazione TG NEWS
23 Dicembre 2023
in TG Tematico
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  • Alessio Di Florio – Risarcire le vittime si può, finalmente giustizia per una vittima dopo 50 anni, anche in Italia serve commissione d’inchiesta indipendente su abusi nella Chiesa

Risarcimenti alle vittime di abusi nella Chiesa cattolica. È uno dei temi fondamentali che più, soprattutto in Italia, le gerarchie cercano di frenare, ostacolare, rimuovere. Sarebbe un atto di giustizia ma di fronte le denunce di abusi, al di là di proclami e poco altro, di giustizia dentro la Chiesa se ne vede ben poca. È tornato di stretta attualità in questi giorni, dopo 50 anni una vittima ha ricevuto giustizia ricevendo il sacrosanto (termine quanto mai adatto) risarcimento.

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«Sono la prima vittima italiana di crimini pedofili prescritti dalla legge, perché avvenivano quando avevo 9 anni e adesso ne ho 60, che è stata riconosciuta ufficialmente e simbolicamente rimborsata dalla chiesa cattolica, però non dalla CEI per fatti che avvenivano in Italia e il cui colpevole è un prete italiano ma dalla conferenza episcopale francese perché sono cittadino franco-italiano e vivo in Francia da 30 anni – la testimonianza di Piero Brogi, vittima di abusi da bambino in una parrocchia di Roma e oggi risarcito, per la prima volta nella storia, dalla Chiesa, ad AlaNews – Solo per questa circostanza ho potuto gioire di questa forma di giustizia che tutti gli altri italiani purtroppo non hanno».

«Vorrei anche in Italia, come si fa in tutti i paesi civili, una commissione d’inchiesta indipendente che faccia luce su quanto accaduto negli ultimi decenni nella chiesa cattolica – ha dichiarato Brogi toccando un altro tema scomodo per le gerarchie cattoliche e su cui realtà indipendenti come Rete L’Abuso da tanti anni e il coordinamento ItalyChurchToo si battono –  I colpevoli meritano la galera e non di essere spostati in altre diocesi come fanno abitualmente».

Alanews – ANSA


  • Francesco Zanardi – LA CHIESA CATTOLICA BELGA AVREBBE VENDUTO CIRCA 30 MILA BAMBINI ALL’INSAPUTA DELLE LORO MADRI

La Chiesa cattolica avrebbe venduto circa 30mila bambini all’insaputa delle loro madri. È quanto rivelato dalla testata belga Het Laatste Nieuws, che parla eventi svoltisi in un arco temporale che va dalla fine della Seconda guerra mondiale fino agli anni Ottanta.

Durante il parto, alcune donne sono state sottoposte ad anestesia generale, mentre altre hanno dovuto indossare una maschera: tutti modi per impedire alle madri di vedere il proprio figlio, che veniva immediatamente separato dopo la nascita. Alcune donne sarebbero state addirittura sterilizzate. Altre sono state costrette a firmare un documento in cui rinunciavano al figlio o gli veniva detto che era nato morto. I bambini venivano poi venduti per ingenti somme – tra i 10.000 e i 30.000 franchi belgi (all’incirca tra i 250 e i 750 euro), a volte molto di più – a famiglie adottive.

Nel 2015 la Conferenza episcopale si è scusata con le vittime di adozioni forzate in istituti cattolici presso il Parlamento fiammingo. In risposta alle recenti testimonianze, i vescovi hanno espresso la loro compassione per il dolore e il trauma delle vittime, nota il Brussels Times. La Chiesa chiede un’indagine indipendente sulle condizioni descritte dalle donne coinvolte.

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ANSA


  • Ludovica Eugenio – CITTA’ DEL VATICANO-ADISTA.

Sembra stringersi il cerchio intorno all’ex gesuita Marko Ivan Rupnik, accusato di abusi sessuali da numerose donne, ma al momento non ancora sottoposto a processo dal Vaticano, nonostante papa Francesco, il 28 ottobre scorso, abbia deciso di derogare alla prescrizione per consentirne lo svolgimento. Il 15 dicembre scorso il Dicastero vaticano per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società  di Vita Apostolica, presieduto dal card. João Braz De Aviz, ha annunciato formalmente in un comunicato la decisione di sciogliere la Comunità Loyola, co-fondata da Marko Rupnik insieme a Ivanka Hosta, dopo un commissariamento durato un anno e mezzo e una nuova visita apostolica annunciata appena qualche settimana fa, affidata a p. Amedeo Cencini  e a suor Marisa Adami. La motivazione: «Gravi problemi relativi all’esercizio dell’autorità e al modo di convivere». La notizia era stata diffusa già il 14 dicembre dal giornale digitale portoghese 7Margens.

«la storia della comunità e la sua esperienza è emblematica  – ha affermato Fabrizia Raguso, ex religiosa della Comunità, docente all’Università Cattolica di Braga, in Portogallo, in un webinar del laboratorio Re-In-surrezione sulla Comunità Loyola – perché ancora dopo l’influenza di Rupnik ha continuato a vivere in un clima di abuso spirituale e psicologico costante da parte della superiora generale e fondatrice Ivanka Hosta e di tutte quelle religiose che più profondamente ne hanno assorbito e fatto propri i contenuti, i metodi e le finalità di quello che si considerava il carisma stesso della comunità. Questo è quanto sottolineato e verificato attualmente anche dal processo di commissariamento realizzato tra il 2020 e il 2022».

«a causa del rifiuto da parte di Ivanka Hosta di recepire le indicazioni di riforma delle costituzioni e conseguentemente della struttura e del clima relazionale all’interno della comunità, il commissariamento è stato affidato al vescovo ausiliare della diocesi di Roma, mons. Libanori, che in quanto elemento esterno doveva permettere di dialogare con la comunità e dentro la comunità. Ne è seguito un decreto disciplinare del 21 giugno scorso, con l’emissione di un “rimprovero formale” a suor Ivanka Hosta, per il suo comportamento all’interno della Comunità di Loyola “nell’esercitare uno stile di governo lesivo della dignità e dei diritti di ciascuno delle suore che ne fanno parte”.

Ora, il decreto finale di scioglimento, tardivo, secondo Raguso, che dovrà essere attuato entro un anno; che sarà delle vittime adesso? E che sarà delle religiose che hanno abbandonato la comunità in passato per quegli stessi abusi?

«Questi ultimi tre anni sono stati molto estenuanti, sia per le sorelle che si sono confrontate con la realtà della Comunità, sia per quelle che l’avevano lasciata diversi anni fa, senza alcun sostegno, né psicologico, né spirituale, né materiale», ha commentato con 7Margens Fabrizia Raguso, benché la decisione sia «un atto di verità, necessario anche per evitare che gli abusi continuino, coinvolgendo altre giovani donne sempre più fragili e impreparate». Ora si spera che arrivi anche la giustizia: «Nessuno potrà restituirci le nostre vite distrutte, ma speriamo che tutte le suore, anche quelle che hanno lasciato la comunità da tempo, possano essere equamente risarcite», ha aggiunto. E che «questo esito non ostacoli il corso del processo contro Marko Rupnik».

ADISTA


  • Federica Tourn – Sviezzera, aumentano le denunce

Dal 12 settembre, data della pubblicazione del rapporto di Zurigo sugli abusi commessi nella Chiesa in Svizzera sono 91 le vittime di abusi sessuali annunciatesi nella Svizzera romanda presso il SAPEC, associazione di aiuto alle persone abusate in ambito ecclesiale, o presso la Commissione di Ascolto, Conciliazione e Arbitraggio (CECAR) e anche presso differenti commissioni diocesane. Di queste, 40 sono donne e 51 gli uomini. Si tratta di casi verificatisi tempo fa e caduti in prescrizione.

«Dal 13 settembre in poi il telefono ha squillato ogni dieci minuti», racconta Marie-Jo Aeby, vice presidente del gruppo SAPEC.

«Le persone che si annunciano non vogliono a priori un incontro. Vogliono piuttosto prima di tutto essere ascoltate e soprattutto credute», aggiunge Aeby. Lo conferma anche Rita Menoud: «Annunciandosi, hanno paura di esser mal ricevute e che non le si creda». E cita il caso di una donna di 70 anni, che aveva denunciato il caso di un prete abusatore durante un campo di vacanza, abusi subiti all’età di otto anni, ma che non erano stati creduti dai genitori e che per questo lei non aveva mai più raccontato.

La maggior parte delle vittime sente il bisogno di testimoniare cosa è loro successo. «Hanno anche un forte bisogno di comprendere come questo possa essere accaduto», spiega Brigitte Ansermet. Chiedono anche, quasi sempre, l’accesso al dossier del prete abusatore per vedere se ci siano state altre vittime. «Essere ascoltate ufficilamente le consola», aggiunge Rita Menoud, «e si sentono meno sole quando scoprono che le vittime dello stesso abusatore sono più di una; capiscono che la loro testimonianza può avere un peso. Da qui la necessità di essere comprese».

Non sono però i risarcimenti monetari lo scopo di chi si annuncia presso le diverse istanze. «Nell’80 per centro dei casi, le persone vogliono anzitutto essere capite e conosciute come vittime. La domanda di risarcimento può avvenire in un secondo momento», riferisce Rita Menoud. Si tratta di soldi spesi, molto spesso, in cure psicologiche e psichiatriche. «Ma delle vittime chiedono anche che i soldi siano versati ad opere caritative», conclude Brigitte Ansermet. Vi si aggiunge l’incontro con il vescovo della diocesi in cui era incardinato l’abusatore e l’accesso al suo dossier. Proprio nell’incontro con il vescovo, aggiunge la segretaria del CECAR, le vittime molto spesso vogliono essere acocmpagnate.

Fonte cath.ch

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