PALERMO – “A te Signore la gloria, a noi la vergogna. Questo è il momento della vergogna”. Le parole sono di Papa Francesco. E sono state dette ormai oltre un anno fa all’indomani della pubblicazione, da parte di una commissione indipendente, del report sulla pedofilia nella Chiesa francese dal dopoguerra ai giorni nostri. È il momento della vergogna per “la troppo lunga incapacità della Chiesa di mettere al centro delle sue preoccupazioni le vittime”.
È un momento storico: la più alta carica della Chiesa ammette che la pedofilia, nel clero, è un problema strutturale e non di certo frutto di qualche mela marcia, come era stato definito in passato dai suoi predecessori. Un momento che è stato possibile solo grazie al lavoro certosino delle commissioni che hanno guidato i lavori per i dossier sugli abusi sessuali perpetrati dal clero ai danni dei minori in Germania, Francia, Portogallo, Australia.
E l’Italia? Il luogo da cui parte la “vergogna” di Papa Francesco non ha al momento un dossier, non ha dati ufficiali che fotografino la diffusione della pedofilia nel clero. Ma si sta sbracciando, tra critiche, perplessità e zone d’ombra, per pubblicarlo. La data è già stata fissata: il 18 novembre la Cei emanerà due indagini interne effettuate dalle diocesi italiane. Uno dovrebbe contenere le segnalazioni di abusi fatte agli sportelli di ascolto dei centri fragilità diocesani da quando sono entrati in funzione (due anni), l’altro dovrebbe contenere le segnalazioni fatte alle diocesi negli ultimi venti anni. “Raccontare la verità – dichiara al QdS Don Fortunato di Noto, fondatore dell’associazione Meter – fa sempre bene. Anche se raccontarla comporta molte fatiche”. Il Quotidiano di Sicilia ha deciso di caricarsi di questa fatica e raccontare, per quanto possibile, la verità sugli abusi all’interno della Chiesa.
I numeri nazionali
Ma, considerando solamente i preti indagati, condannati o reo confessi, quante sarebbero le vittime? Secondo una stima effettuata da La rete l’abuso sulla base degli studi del sociologo Andrew M. Greeley e dello psicoterapeuta e psichiatra Richard Sipe sarebbero 1.002.960. Dietro a questo dato ci sono oltre un milione di storie di abuso, di “omicidio psicologico”, di sofferenza e, spesso di insabbiamento. Numeri che, purtroppo, come ci confermano Don Fortunato di Noto e padre Hans Zollner (il massimo esperto di abusi sessuali nella Chiesa Cattolica), sono da rivedere al rialzo. “Alcuni esperti – si legge sul sito di La rete l’abuso – ritengono che solo il 10% delle vittime si faccia avanti”.
La pedofilia nella chiesa siciliana
“La Sicilia, sulla base della popolazione, proporzionalmente è una delle Regioni con più casi – dichiara Francesco Zanardi, sopravvissuto agli abusi sessuali di un prete e fondatore dell’associazione Rete L’abuso – 28 sono tanti casi e ne mancano un sacco di altri. Il potenziale vittime è piuttosto attendibile. La Chiesa dice che la pedofilia c’è anche nella società civile, ed è verissimo. Ma tu hai mai visto un padre di famiglia che ha stuprato 72 bambini diversi non si sa quante volte? Io mai e faccio questo lavoro da una vita”.
La punta dell’iceberg
Analizzando il report francese si scopre che su 22mila sacerdoti d’oltralpe tremila sono pedofili: circa il 13%. Un numero enorme che non corrisponde con l’attuale numero italiano di preti indagati o condannati per aver abusato di minori. Sono le diocesi italiane a essere più virtuose rispetto a quelle francesi o la cultura dell’omertà, dell’insabbiamento e dell’intoccabilità della Chiesa in Italia predomina?
“L’omertà è evidente – spiega al Quotidiano di Sicilia Don Fortunato di Noto -. La paura c’è sempre ed è emergente. Da questo ne deriva la fatica a denunciare. C’è un problema di fondo: l’abuso non lo si vuole raccontare, è ancora riservato nell’ambito dell’omertà, della paura e del silenzio. Da un punto di vista prettamente ecclesiale, gli abusatori vengono individuati solo se c’è qualcuno che denuncia, non si può procedere per chiacchere. Qualcuno deve venire al centro di ascolto, denunciare i fatti, si verbalizza, si avvia l’indagine previa da un punto di vista canonico e si invitano le vittime ad andare a denunciare alla procura della repubblica. Questo se parliamo dei chierici. Se qualcuno non denuncia forse dobbiamo ancora aiutare le persone a segnalare e denunciare. Alcuni dei preti siciliani che si è scoperto essere pedofili li conosco e già non sono più preti perché sono stati affrontati i problemi. C’è stata la denuncia, la vittima è stata aiutata e accompagnata, il sacerdote è stato dimesso dallo stato clericale”.
Secondo il sito della Cei il totale dei sacerdoti è di 38.305 unità. La rete l’abuso ha condotto una ricerca basandosi sulle percentuali venute fuori dai vari report (in Australia si parla del 7%, il Papa del 2%, l’inchiesta Spotlight che ha ispirato l’omonimo film del 6%) e le ha rapportate alla popolazione cattolica e al numero totale di sacerdoti in Italia. L’associazione ha dunque stimato come i casi impuniti potrebbero attestarsi intorno ai 511. Ancora una volta preme sottolineare come questi non siano solo numeri, ma storie terribili che segnano in modo indelebile la vita di chi le ha subite.
I soldi delle donazioni per comprare i silenzi?
Francesco Zanardi ha una storia di abusi da parte di un prete alle spalle. Quella stessa storia che l’ha portato a mettersi al servizio di tutti i minori, di tutte le famiglie che in Italia vivono quest’incubo. Fornendo anche servizi legali e di assistenza psicologica alle vittime oltre che “tracciare” la pedofilia in Italia.
“Con l’associazione seguiamo praticamente tutti i casi che si verificano in Italia. E in alcuni abbiamo anche la possibilità di costituirci anche parte civile. L’altro giorno, per esempio, – racconta Zanardi al QdS – sono andato a Salerno per occuparmi del caso di Don Livio Graziano (attualmente il processo è in corso, nda) e ho parlato con il vescovo. Quell’indagine mi ha documentato che vent’anni fa il prete era stato allontanato dalla diocesi e mandato in un convento di frati che dopo qualche settimana lo ha mandato via. Da lì non si è capito cosa è successo ed è stato permesso a questo prete di aprire un centro di recupero per adolescenti con problemi di bulimia e depressione. Lì è stata abusata anche una delle mie assistite. L’hanno messo nel recinto degli agnelli”.
Un modus operandi già scoperchiato in America, con la già citata inchiesta Spotlight, e in Germania, con il lavoro della commissione indipendente che ha redatto il rapporto sugli abusi che all’epoca imbarazzò tanto il Papa emerito Benedetto XVI. Secondo Zanardi questa tendenza dei vescovi a coprire i preti pedofili è incentivata dall’attuale legge vaticana contro la pedofilia. “La Vos estis lux mundi (che ha cambiato solo il nome rispetto alla preesistente Crimen sollicitationis) – aggiunge – continua a dire di gestire la cosa internamente. Da qui si deduce che qualunque vescovo che ha a che fare con un caso di pedofilia ha per forza insabbiato altrimenti il Vaticano prenderebbe provvedimenti estremamente duri nei suoi confronti”.
Se da un lato alcuni vescovi (32 secondo il database de La rete l’abuso) sono stati criticati per aver spostato i preti sospettati di aver commesso crimini da una diocesi all’altra, dall’altro lato l’accusa è quella di comprare il silenzio delle vittime attraverso i fondi delle donazioni. “A Napoli il caso Borrelli, oppure il caso Don Seppia, oppure ancora, come risulta dalle intercettazioni, quello di Don Rugolo in Sicilia. Tutti praticamente – continua Zanardi – tramite i fondi delle donazioni pagano le vittime o fanno accordi con il vincolo della riservatezza: 25mila euro in cambio del silenzio. A volte arrivano degli assistiti che li vogliono fare e noi diamo gli avvocati per farli: sono tutti casi che non usciranno mai perché neanche noi che li abbiamo trattati possiamo parlarne. Se ne parliamo decade l’accordo e la vittima può essere perseguita e noi tuteliamo le vittime. Abbiamo un bell’elenco di nomi che tuttavia non possiamo scrivere per ora. Lo trovo abbastanza barbaro ma ho le mani legate. Io sconsiglio sempre alla vittima di non fare l’accordo, ma il problema è che spesso sono tutti ragazzi di strada, di famiglie modeste, e quando gli danno 25mila euro li prendono al volo. Non posso costringerli a non prenderli. Gli spiego che se pagano è perché hanno paura che in tribunale devono pagare di più. La scelta è dei sopravvissuti, in ogni caso noi li tuteleremo sempre”.
Le storie nella Chiesa italiana e siciliana
Quello a cui vanno incontro le vittime è profondamente diverso dalle pene controverse e spesso contrastanti che spettano a coloro che hanno abusato. “L’abuso – precisa Don Fortunato di Noto – è un omicidio psicologico. Non c’è caso che ho ascoltato e accompagnato da cui non emerge questo elemento. L’abuso uccide. È bene precisarlo. Di storie ce ne sono tante: storie drammatiche e difficili. Io ho portato anche il primo bambino italiano abusato in una parrocchia dal Santo padre per far comprendere come l’abuso avviene sotto i nostri occhi. Anzi, a volte non lo vogliamo vedere e teniamo gli occhi chiusi”. Chiusi di fronte a storie ognuna diversa dall’altra ma con un canovaccio molto simile. “Tutte hanno in comune – continua – la fatica delle vittime a raccontare, ad elaborare, a superare il trauma. Io non ho mai visto la vittima che non è stata lacerata nella vita e nel cuore e che ancora oggi, a distanza di anni subisce le conseguenze dell’abuso. L’abuso non viene dimenticato”.
La Chiesa indaga su sè stessa: il report della Cei
Adesso il dado è (quasi) tratto. Tra qualche giorno, esattamente il 18 novembre, in occasione della giornata nazionale di preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, la Conferenza episcopale italiana emanerà non una ma ben due indagini interne che avranno il compito di fare luce sulla pedofilia nel clero. Un’indagine dovrebbe contenere le segnalazioni di abusi fatte agli sportelli di ascolto dei centri fragilità diocesani da quando sono entrati in funzione (due anni fa), l’altra dovrebbe contenere i dati forniti dal Dicastero per la dottrina della fede inerenti al periodo che va dal 2000 al 2021 (dati che sostanzialmente rappresentano le denunce che dal 2000 ad oggi sono state presentate alle diocesi). La stesura del report che raccoglierà queste due indagini e che ha coinvolto “16 coordinatori per i Servizi regionali, 226 referenti per quelli diocesani e 96 responsabili dei Centri di ascolto”, come ha comunicato la Cei, è stata affidata a una équipe dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. Un’istituzione strettamente legata alla Chiesa, in quanto le Università cattoliche sono regolate dal codice di diritto canonico.
“La stesura del report, le linee guida e la formulazione dei questionari – ci spiega Don Fortunato di Noto – è stata dettata a livello nazionale. Di fatto ci sono due questionari con diverse domande che riguardano i primi due anni di attività dei servizi nazionali, regionali e diocesani di tutela dei minori. Ogni diocesi siciliana, quindi, ha risposto in modo sicuramente dettagliato alle domande poste anche alla luce della conoscenza degli ultimi due anni di attività o dei casi o delle situazioni o anche della funzione dei centri di ascolto. Per il 18 novembre avremo una maggiore contezza a livello nazionale della situazione negli ultimi due anni. È stato questo il criterio adottato”.
Criterio che ha suscitato alcune polemiche da parte dei sopravvissuti. “La Conferenza episcopale italiana – dichiara Francesco Zanardi – è particolare, perché è l’unica al mondo che non vuole fare una commissione d’inchiesta indipendente. Fanno un’indagine interna: gli imputati indagano sui crimini dei preti che hanno coperto. E a differenza delle altre commissioni l’indagine italiana guarderà vent’anni indietro e non 70. Discriminando ulteriormente le vittime che hanno 70 anni e che sono state tagliate fuori. Inoltre, il report riguarderà solo le denunce fatte alla Chiesa, nonostante gli sportelli per le denunce sono aperti solo da due anni. Vescovo per vescovo toglieranno tutti i casi scomodi: un vescovo non denuncia i casi che lui stesso ha coperto”.
Abusi su minori, il volto sfigurato della Chiesa. Papa Francesco: “È il momento della vergogna”