Ecosì Papa Francesco è in Canada, per incontrare le comunità indigene e per esprimere loro “l’indignazione e la vergogna” per i crimini che i cristiani hanno commesso in quei territori ed in quelle comunità. E lo ha chiamato “viaggio penitenziale”. E così si è espresso: “Chiedo perdono in particolare per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato anche attraverso l’indifferenza a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell’epoca culminati nel sistema delle scuole residenziali“.
Ma su che cosa deve riconciliarsi il Papa con i nativi? Ecco qua cosa scrive l’Ansa: “Si stima che, a partire dal 1883 fino agli anni ’60 del secolo scorso – ma l’ultima scuola fu chiusa solo nel 1996 -, circa 150 mila bambini delle Prime Nazioni, Métis e Inuit siano stati obbligati a frequentare una delle 139 scuole distribuite in tutto il Paese, rompendo il legame con le loro famiglie, con la loro lingua e cultura per essere trasformati in piccoli cristiani. Tra abusi di ogni tipo – anche sessuali -, reclusioni e percosse a scopo punitivo-intimidatorio, a causa di malattie, fame, freddo, almeno 4 mila di questi bambini hanno trovato la morte.” Crimini efferati, indiscutibili anche perché ciclicamente proprio in Canada riemergono fosse comuni e tombe di centinaia di bambini come accaduto la scorsa estate con reazioni furibonde delle popolazioni locali che avevano incendiato, poi, per questo molte chiese (QUI ARTICOLO).
Adesso però Papa Francesco non può esimersi dal chiedere al più presto un altrettanto esplicito perdono, per gli stessi identici crimini che i suoi colleghi Papi hanno commesso in passato nei confronti degli ebrei, ma – si noti bene – non in aree geografiche così lontane, bensì a Roma, sotto gli occhi di tutti ed in molte altre città soprattutto italiane. Crimini insabbiati, commessi ben prima delle gravissime responsabilità di Pio XII nei confronti del nazismo e della fuga impunita all’estero di quei criminali ((LEGGI QUI 26.1.2020 e 29.8.2020).
Mi riferisco ai cosiddetti “battesimi forzati”. Già, pochi sanno infatti dell’infame e brutale sradicamento dalle tradizioni e dalla religione ebraica (la più antica esistente al mondo e peraltro quella di Gesù), effettuato dalla Chiesa Cattolica per mano dei Papi, dal XVI al XIX secolo. Sequestravano infatti ed internavano bambini ebrei, al fine di battezzarli contro la volontà delle famiglie, per poi istruirli alla dottrina cattolica. Bambini che ovviamente non avrebbero mai più fatto ritorno dai loro cari nel Ghetto.
Molto interessante a questo riguardo è il libro di Marina Caffiero, docente di storia moderna presso l’Università “La Sapienza” di Roma, dal titolo “Battesimi forzati – Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei Papi”, che rende pubblica un’enorme quantità di documenti al riguardo, tratti dall’Archivio dell’Inquisizione Romana e da quelli del Vicariato di Roma, riguardanti i rapporti fra le istituzioni cristiane ed il mondo ebraico della Capitale.
E questa pratica infame dei “battesimi forzati” per la Chiesa era legittimata dal fatto che per il bambino ebreo convertito al cristianesimo c’era la “salvezza eterna”, che gli ebrei non potevano dargli. Si sottraeva quindi per sempre il bimbo alla sua famiglia per “il suo bene”. Ci si faceva peraltro forti di uno dei precetti del “XII Concilio di Toledo” del 681, che vietava ad un ebreo convertito di poter tornare all’ebraismo. Da evidenziare che questa pratica rimase in vigore fino alla bolla “Apostolicum Pascendi” emanata da Clemente XIII nel 1765, che la vietò.
Ma Leone XII (1760 – 1829) ripristinò l’Editto ed emanò anche dure regole nei confronti degli ebrei, circostanza che dette il via di nuovo a quei rapimenti fino alla Breccia di Porta Pia nel 1870. Ma particolarmente attivo in questa macabra pratica fu Benedetto XIV (Papa dal 1740 al 1758), che usava spesso l’analogia tra la condizione degli ebrei e quella degli schiavi che andavano liberati e che fu peraltro anche uno strenuo assertore della veridicità dell’assassinio del Simonino a Trento da parte degli ebrei.
Ma dove venivano portati e reclusi questi bambini ebrei romani? Presto detto: presso la “Casa dei Catecumeni e dei neofiti” (Collegium Ecclesiasticum Adolescentium Neophytorum), tutt’ora esistente nel Rione i Monti a Roma, istituita nel 1542 da Ignazio di Loyola, fondatore dell’Ordine dei Gesuiti, per convertire gli “infedeli” (ebrei ed islamici). Si calcola che lì siano stati fatti circa 2.000 battesimi forzati di ebrei dal 1614 al 1797. Interessante evidenziare che i costi di questa struttura erano stati beffardamente posti a carico proprio degli ebrei della Capitale. Incuriosito ed inorridito da quanto sopra ho voluto fare maggiori approfondimenti e così è emerso che su questo tema c’è una vastissima bibliografia. Fra i numerosissimi casi certificati mi limito a citare solo quello di Edgardo Mortara, prelevato dai gendarmi dello Stato Pontificio nella notte del 24 giugno del 1858 a Bologna e posto sotto la custodia di Papa Pio IX, evento molto ben descritto nel libro “Prigioniero del Papa Re”, dello storico David Kertzer (New York, 20 febbraio 1948), specializzato in storia politica, demografica e religiosa d’Italia, vincitore del Premio Pulitzer nel 2015.
Del caso “Mortara” si occupò allora anche il “Times”, che con svariati articoli lo portò alla ribalta mondiale. Il Conte Camillo Benso di Cavour manifestò il suo dissenso e l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe con l’imperatore di Francia, Napoleone III, fecero specifici appelli perché il bambino tornasse alla sua famiglia. Papa Pio IX, che nel frattempo aveva imposto di nuovo agli ebrei di vivere chiusi nel Ghetto di Roma, non volle sentire ragioni e rispose con un secco “non possumus”, cioè “non possiamo”, che è la risposta che gli apostoli Pietro e Giovanni dettero ai membri del Sinedrio che chiedevano loro di smettere di parlare ed insegnare nel nome di Gesù. E chiuse dicendo: “Avevo il diritto e l’obbligo di fare ciò che ho fatto per questo ragazzo, e se dovessi farlo lo farei di nuovo”.
Aggiunse poi successivamente: “Or gli Ebrei, che erano figli nella casa di Dio, per la loro durezza e incredulità, divennero cani. E di questi cani ce n’ha pur troppi oggidì in Roma, e li sentiamo latrare per tutte le vie, e ci vanno molestando per tutti i luoghi”. Dato il clamore di questa vicenda, Edgardo Mortara si trasferì a Poitiers, in Francia, dove nel 1870 fu ordinato sacerdote con il nome di don Pio Mortara, in omaggio al Papa. Morì l’11 marzo 1940 a Liegi, dopo aver passato diversi anni in un monastero. Nel settembre 2000 Giovanni Paolo II ha beatificato Papa Pio IX, definendo calunnie queste accuse. Tesi ripresa a viva voce da Vittorio Messori, ma purtroppo smentita da una valanga di inoppugnabili documenti.
https://www.ildolomiti.it/blog/riccardo-petroni/dai-crimini-della-chiesa-contro-i-bambini-metis-e-inuit-in-canada-almeno-4mila-sono-morti-a-quelli-commessi-sui-bimbi-degli-ebrei-anche-a-roma
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