Tiziana Tavella – LA SICILIA – Oltre 300 preti in Italia sono stati coinvolti in indagini per pedofilia: il dieci percento circa sarebbe attivo (o lo sarebbe stato) in Sicilia, dove c’è anche una comunità che lavora al loro recupero. Degli oltre 300 sacerdoti indagati, la metà ha subito condanna definitiva e la proporzione si mantiene anche per la situazione siciliana.
A fare l’analisi ragionata di un fenomeno che resta ancora sommerso, nonostante l’aumento delle denunce da parte delle vittime degli abusi che chiedono con incrollabile coraggio e dignità che venga fatta giustizia , Francesco Zanardi, fondatore nel 2012 della “ Rete l’abuso – associazione sopravvissuti agli abusi sessuali del clero” che ha dato vita, tra le tante attività di sostegno e tutela delle vittime anche ad “ mappatura” online facilmente fruibile da tutti, dal sito dell’associazione, con nomi e foto dei preti indagati per reati sessuali o già condannati. E’ anche possibile consultare il database dell’associazione.
“ Purtroppo i casi sono molti di più di quelli che sembrano ad un primo impatto guardando la mappa – spiega Zanardi- realizzata per aiutare tutti a conoscere chi arriva in una comunità magari dopo un trasferimento e su cui non si sa assolutamente nulla all’esterno.
Per aiutare la fruizione della mappa che è in continuo aggiornamento abbiamo indicato in rosso tutti i casi di condanna in 3°grado, reo confessi o coloro che hanno patteggiato, di questi oltre una dozzina sono preti che sono stati attivi in Sicilia, mentre in giallo quelli in attesa di giudizio e quelli di cui non si è più saputo nulla e sono più o meno della stessa consistenza numerica. Abbiamo anche inserito, contrassegnandoli in nero i casi di sacerdoti indagati all’estero e nascosti in Italia ed in blu le comunità di recupero per preti con problemi.”
La “Rete l’abuso” nasce dall’esperienza diretta di Francesco Zanardi, savonese, che subisce, negli anni ottanta, ad 11 anni le inaccettabili attenzioni di un sacerdote che segneranno la sua vita indirizzandola poi verso un cammino che lo porterà ad avere già incontrato oltre 1300 vittime di predatori sessuali in ambito ecclesiastico. La scorsa estate Zanardi è stato anche in Sicilia, dove sta seguendo tra gli altri anche il caso dell’ennese Don Giuseppe Rugolo venuto a galla dopo la denuncia di un giovane minorenne al momento dei fatti, per cui l’associazione è stata ammessa parte civile e la cui terza udienza si terrà a porte chiuse il 23 dicembre.
In Sicilia, terra dalla forte identità religiosa, negli ultimi mesi i casi di cronaca su pedofilia in ambito ecclesiastico sono aumentati. “ C’è un rischio protezione di questi preti che certamente può essere alimentato dal radicamento sociale dell’idea di fede e che nel meridione ha una struttura più solida. Questo complica l’emersione dei casi e rischia di esporre le vittime come paradossali colpevoli. Per la vittima diventa più complesso denunciare anche per il rischio isolamento e destabilizzazione della vittima all’interno della comunità, capovolgendo i ruoli di vittima e colpevole.
Non posso dimenticare, ad esempio, una fiaccolata a sostegno di un prete fatta passare dai fedeli sotto casa della bambina da lui abusata.” Quando ha iniziato il percorso della “Rete”, racconta Zanardi “era praticamente impossibile trovare ascolto per le vittime. Io stesso ho denunciato quando i fatti erano già prescritti, quando mi rendo conto di quanto questo trauma abbia travolto la mia vita. Ma pur essendo prescritto, ho fornito elementi utili a trovare vittime nuove, consentendo ugualmente di arrivare ad una condanna per il prete, sebbene lieve.”
Una denuncia che diventa un atto di rinascita e che porta ad una catena di incontri che portano anche a far nascere l’Eca che opera a livello internazionale e che porterà il tema ad essere dibattuto anche all’Onu. “ Sebbene sia un atto certamente importante quello di arrivare all’Onu, va però considerato il rovescio di questa medaglia. In Italia l’ascolto di queste vittime è ancora a livello bassissimo, nonostante i proclami che arrivano anche dal Vaticano, incluso il Motu proprio del Papa. Noi come rete accogliamo le vittime che si rivolgono a noi e diamo loro assistenza legale e cerchiamo anche di offrire ascolto con dei gruppi di auto aiuto. Non c’è soltanto contatto diretto con me, ma le vittime possono incontrarsi tra loro per scambiare le loro esperienze, scaricando così emozioni e vissuto consapevoli di essere compresi ed accettati.”
Tiziana Tavella
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