Richard Scorer e David Enright, avvocati di quasi 50 presunte vittime di molestie sessuali da parte del clero, pubblicano una lettera in cui accusano l’arcivescovo Vincent Nichols, primate di Inghilterra e Galles, di non aver salvaguardato i minori e ne chiedono le dimissioni. Da un rapporto pubblico emergono ombre pure sul cardinale Murphy-O’Connor, morto nel 2017.
Una nuova porpora nella tempesta. Si tratta del cardinale Vincent Gerard Nichols, primate di Inghilterra e Galles, da giorni al centro di un nuovo scandalo abusi che vede protagonista la Chiesa cattolica nel Regno Unito.
I legali di quasi 50 presunte vittime di molestie sessuali, che sarebbero state perpetrate da sacerdoti cattolici infedeli, hanno pubblicato una lettera sul settimanale The Tablet, nella quale chiedono le dimissioni dell’arcivescovo di Westminster. “Avendo fallito nei suoi ruoli di leadership sia a Birmingham che a Westminster, in futuro non potrà guidare in modo credibile la Chiesa cattolica su questi temi. I problemi sistemici nella Chiesa cattolica in relazione alla salvaguardia non possono essere risolti da un singolo individuo. Ma la Chiesa ha bisogno di leader che chiedano rispetto su questi temi. Il cardinale Nichols non lo è. È chiaro per noi e per quelli che rappresentiamo che è giunto il momento per lui di dimettersi”. Con queste parole, gli avvocati Richard Scorer e David Enright hanno invocato pubblicamente il passo indietro del porporato britannico, il cui nome è finito nel rapporto dell’Indagine indipendente sugli abusi sessuali su minori (IICSA), annunciata nel 2014 dall’allora segretario agli Interni, Theresa May.
Il primate d’Inghilterra e Galles è stato ascoltato la scorsa settimana dal team d’inchiesta che sta esaminando 134 casi di abusi. La Commissione ha indagato anche su fatti avvenuti nell’arcidiocesi di Birmingham di cui Nichols fu titolare dal 2000 al 2009: nel mirino è finito il modo in cui i vertici ecclesiastici locali hanno gestito il potenziale rischio molestie per i bambini. Uno dei casi su cui si è concentrata l’indagine è quello di padre John Tolkien, figlio dell’autore de “Il Signore degli Anelli” e scomparso nel 2003 senza condanne penali ma più volte accusato di molestie a partire dagli anni Novanta. I due episodi di molestie sarebbero avvenuti nel 1957 nella zona di Sparkhill a Birmingham e la presunta vittima, Christopher Rooney, li aveva denunciati per la prima volta nel 1993 all’allora arcivescovo Maurice Couve de Murville (1929-2007). Rooney, che nel frattempo aveva cambiato nome in Carrie e scritto un libro sulla sua vicenda, avrebbe ripetuto l’accusa nel 2000 a Nichols, succeduto a Couve de Murville nella guida dell’arcidiocesi.
L’attuale primate avrebbe avviato un’indagine interna sul conto di padre Tolkien, durante la quale sarebbe emersa l’esistenza di una nota risalente al 1968 nella quale si faceva riferimento ad alcuni comportamenti inappropriati avuti dal sacerdote con un gruppo di boyscout. Pur senza alcuna ammissione di responsabilità dell’accusato, l’arcidiocesi aveva così riconosciuto a Rooney un risarcimento extragiudiziale di 15.000 sterline. In questi giorni la vicenda è riemersa e contro il cardinale Nichols è piovuta l’accusa di aver preferito tenere nascosto il contenuto della nota. Davanti alla Commissione, il porporato britannico si è difeso sostenendo che quanto scritto nella nota su padre Tolkien era stato divulgato alla polizia. Al tempo stesso, il presule ha dichiarato di aver agito dando la priorità al “desiderio di risolvere questa richiesta di risarcimento in modo che queste situazioni certamente difficili per il signor Carrie e per la famiglia Tolkien […] potessero essere chiuse”.
L’IICSA – più che concentrarsi sul caso in sé, per il quale non ci sono state condanne penali – ha posato la sua lente sul comportamento tenuto all’epoca dall’arcidiocesi nella salvaguardia dei minori e delle persone vulnerabili in una situazione di potenziale rischio. Nel rapporto viene messo in evidenza che “la nota dimostra che la Chiesa era consapevole del rischio che padre Tolkien rappresentava per i bambini e tuttavia l’arcidiocesi ha fatto pochi o nessun passo per proteggere i bambini da quei rischi”. Lo stesso Nichols non ha negato quest’interpretazione dei fatti durante la sua testimonianza al team d’indagine, affermando che “ciò che è accaduto allora non era giusto; era sbagliato” e dichiarandosi “pentito sinceramente”, oltre a scusarsi per questo.
Non è solo il periodo a Birmingham a creare più di un grattacapo al porporato britannico, bensì in generale il comportamento da lui tenuto di fronte ai casi di abusi addebitati al clero. Secondo quanto riportato dal Guardian, durante l’audizione all’IICSA, l’avvocato Brian Altman, ex procuratore e principale consulente del team, ha criticato il primate d’Inghilterra per la lentezza nell’attuare le riforme di salvaguardia per le vittime e potenziali tali e per aver ignorato le lamentele di una donna che sosteneva di aver subito molestie da un membro del clero. Dal rapporto sembrerebbe emergere che una vittima – indicata con il nome in codice A710 – avrebbe accusato di molestie il cardinale Cormac Murphy-O’Connor, morto a 85 anni nel 2017. Quest’ultimo, che fu predecessore di Nichols, oltre ad un’inchiesta delle autorità civili poi archiviata, aveva subito anche un’indagine da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Sulle accuse contro Murphy-O’Connor, giudicate infondate già nel 2011 dall’allora prefetto, il cardinale Levada, l’attenzione dell’ex Sant’Uffizio si mantenne almeno fino al 2013. E proprio l’indagine sul porporato inglese scomparso nel 2017 è ritornata d’attualità con il retroscena diffuso dal vaticanista Marco Tosatti – e poi rilanciato successivamente dall’ex nunzio apostolico negli Usa, monsignor Carlo Maria Viganò – secondo cui sarebbe stato papa Francesco in persona a chiedere all’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinal Gerhard Müller, di chiudere il prima possibile l’indagine sull’ex presidente della Conferenza episcopale inglese. Lo stesso Müller avrebbe dato il suo assenso ai responsabili del portale LifeSiteNews a scrivere in una sua intervista che fu il pontefice a chiedere lo stop dell’inchiesta su Murphy-O’Connor.
La menzione di questa vicenda nel memoriale Viganò è riaffiorata in questi giorni quando, nell’ambito del clamore suscitato dalle conclusioni dell’IICSA, è emersa la testimonianza dei vescovi di Portsmouth e di Northampton ai quali il cardinal Nichols avrebbe suggerito di non fare un intervento pubblico a favore delle vittime di abusi commessi dal clero per non correre il rischio di prestare il fianco ai critici di papa Francesco.
Durante la sua audizione di fronte alla Commissione, l’attuale arcivescovo di Westminster ha negato questa interpretazione dell’invito fatto ai due vescovi, sostenendo di aver privilegiato la tutela delle vittime e non quella dell’immagine del pontefice. Davanti alle domande incalzanti dell’ex procuratore Altman, il cardinale Nichols ha ammesso che in generale la Chiesa cattolica inglese ha fallito nella gestione dei casi di abusi sessuali e che “le ruote del cambiamento hanno girato lentamente” in questi anni. Il mea culpa del porporato, però, non è bastato agli avvocati delle vittime, Scorer ed Enright, per i quali “nonostante tutta la retorica, non esiste un approccio unico alla salvaguardia” e “il trattamento dei sopravvissuti è stato costantemente scarso, anche nella diocesi del cardinale Nichols”.
https://lanuovabq.it/it/non-ha-salvaguardato-i-minori-il-cardinale-nichols-nei-guai
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