Il presidente della Cei ha detto di non sapere nulla dell’abuso su un minore da parte di don Galli, coperto dall’arcivescovo Delpini. Una lettera lo smentisce. Caso archiviato secondo Tarquinio, direttore dell’ “Avvenire”. Ma il prete accusato è stato condannato
di Giorgio Gandola
“Chi segue me non camminerà nelle tenebre”. È sconfortante che un sacerdote si sia dimenticato del potente insegnamento di Gesù nel Vangelo di Giovanni e spenga la luce davanti alla verità. Lo è ancora di più se non si tratta di un parroco di campagna in un momento di smarrimento personale, ma di Gualtiero Bassetti, cardinale, arcivescovo di Perugia e presidente della Conferenza episcopale italiana, in una conferenza stampa internazionale. Il contesto è l’assemblea generale della Cei, il tema è quello scottante degli abusi dei preti sui minori. E l’effetto è il solito senso di straniamento davanti alla fragilità comunicativa delle tonache e alla loro insopprimibile determinazione a nascondere la polvere sotto il tappeto.
IL MOTU PROPRIO DEL PAPA
Al termine dell’assemblea è consuetudine dei vertici spiegare in un incontro con i giornalisti le linee guida che hanno ispirato l’augusto consesso e le decisioni prese. In questo caso l’occasione è molto importante perché la Cei ha deciso di applicare concretamente il motu proprio di papa Francesco Vos Estis lux mundi, che prevede tra l’altro la messa in stato d’accusa degli alti prelati che insabbiano gli atti di pedofilia nelle diocesi. Per dare un perimetro al fenomeno i vescovi italiani hanno introdotto un protocollo che rappresenta (in teoria) una svolta: l’obbligo morale di fare un esposto alle autorità civili. Morale, non giuridico, quindi esiste sempre un margine di discrezionalità nel quale muoversi “secondo coscienza”, come se la coscienza di un prete non coincidesse automaticamente con le sensibilità dell’istituzione da difendere. Si sa che la coscienza – come cantava Giorgio Gaber – qualche volta è un salvagente, qualche altra un canotto.
In ogni caso, se la denuncia è verosimile dopo l’indagine previa (prevista dal diritto Canonico) e la famiglia del minore non si oppone per ragioni sue, il fascicolo è bene che finisca sulla scrivania dei carabinieri o della polizia. Con trasparenza e rispetto per la verità dei fatti, come accade già in numerosi paesi del mondo ma non in Italia senza prima una modifica del Concordato. “È un passo avanti importante”, lo definisce il cardinal Bassetti davanti ai giornalisti. Qualche minuto dopo però lui stesso compie due passi indietro. Accade quando la vaticanista del Messaggero, Franca Giansoldati, prende il microfono e fa una domanda del tutto legittima sul caso di Mario Delpini, l’arcivescovo di Milano accusato dalla famiglia di un ragazzo abusato di avere coperto don Mauro Galli, semplicemente spostandolo da una parrocchia all’altra della stessa diocesi, sempre a contatto con adolescenti. Il quesito riguarda in pieno il tema dibattuto. Chi controlla i controllori?
Il presidente della Cei si innervosisce, risponde di non sapere nulla della vicenda, di non essere al corrente e che “di questo caso non si è parlato, non spetta a noi”. Tutto questo davanti ad accuse precise e a una richiesta scandita dalla mamma del giovane: “Delpini ha insabbiato, adesso si dimetta”. È del tutto inverosimile che il cardinal Bassetti non sia a conoscenza dell’imbarazzante situazione perché i giornali ne hanno parlato (non tutti). Ma anche se fosse stato incline all’ascetica meditazione, egli stesso – su carta intestata della Conferenza episcopale italiana e a sua firma – il 20 febbraio scorso ha risposto al presidente dell’associazione Rete l’abuso, Francesco Zanardi, che per conto della famiglia aveva esposto al suo ufficio la vicenda e altre simili in un j’accuse che facilmente si può lettere sul web.
Il carteggio si è sviluppato dopo che i genitori del ragazzo avevano scritto più volte al Vaticano, prima agli uffici della Congregazione per la dottrina della fede, poi alla Segreteria del Papa. Documenti protocollati con risposte in genere evasive ma con benedicenti formule finali. La lettera di Bassetti comincia con una frase che, letta oggi, suona imbarazzante: “La questione degli abusi costituisce un gravissimo reato, che è anche un gravissimo peccato”.
GIORNALISTA REDARGUITA
Però non è al corrente. Gelo in sala alla Cei, con la giornalista che si ritrova avvolta dal silenzio dei colleghi. Tutto ciò in un clima surreale perché è relativamente semplice condannare gli abusi in astratto, meno quando bisogna fare i conti con il volto di un ragazzo distrutto e con alle spalle tentativi di suicidio, di una mamma coraggiosa e di un arcivescovo avvolto dal proprio inattaccabile potere. Alla fine dell’incontro, mentre le telecamere si accalcano attorno al cardinal Bassetti, la giornalista viene affrontata da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire e intellettuale di indubbia sensibilità, che con aria da reprimenda le spiega: “Ti devi informare meglio perché la vicenda è stata archiviata”. Così archiviata che don Galli è stato condannato in primo grado per abuso sessuale a 6 anni e 4 mesi di carcere, come ha scritto anche il suo giornale. Purtroppo l’istinto manzoniano del troncare e sopire non passa mai di moda sul pianeta della fede. “Chi segue me non camminerà nelle tenebre”. Per qualcun altro, dopo 2000 anni, serve la pila.
(trascrizione da La Verità del 25 maggio 2019)
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