di Marco Marzano
in “il Fatto Quotidiano” del 24 dicembre 2018 Il tema centrale del discorso prenatalizio del papa alla curia romana è stato quest’anno quello degli abusi sessuali commessi dal clero. Una scelta comprensibile: l’anno che si chiude è stato molto difficile per la Chiesa su questo fronte. Gli scandali e le rivelazioni clamorose si sono succeduti senza posa. Il vertice della Chiesa Cattolica è stato quasi ininterrottamente sotto attacco e la lotta agli abusi sessuali è diventata addirittura un’arma per i conflitti intestini, come quello avviato contro Francesco dall’ex nunzio apostolico Carlo Maria Viganò. Nel discorso del papa si è intravisto un cambiamento di accenti rispetto al passato. L’uomo che solo l’anno scorso, giunto in Cile, tagliava corto sulle enormi responsabilità del vescovo Barros nella copertura degli abusi commessi dal famigerato Fernando Karadima, oggi sembra finalmente consapevole del fatto che quella delle violenze e degli abusi clericali è per l’organizzazione che dirige la questione più spinosa, dolorosa e urgente. Il cambiamento di linea è da accogliere positivamente e consiste soprattutto nel fatto che la Chiesa si dichiara intenzionata a smettere di proteggere quei suoi sacerdoti che si macchiano di reati odiosi come gli abusi e le violenze sessuali. Vedremo se alle parole seguiranno i fatti, se le autorità ecclesiastiche saranno così solerti nel denunciare il proprio clero e nel collaborare con le autorità civili e con la stampa nella repressione degli abusatori. Riconosciuto questo, non si può però tacere il fatto che dal discorso di Francesco emerga una visione del problema che rende di fatto impossibile il contenimento e la prevenzione di questi reati. A giudizio di Francesco infatti, i preti che abusano sessualmente dei minori sono semplicemente dei pervertiti, dei corrotti, degli ipocriti che, in modo subdolo e colpevole, approfittano della tonaca e di tutti i privilegi simbolici che essa conferisce loro per compiere le loro azioni abbiette. Nel ritratto che ne fa Bergoglio gli abusatori sono dei mostri, delle cellule patogene e cancerose infiltratesi con l’inganno nel corpo sano e robusto della Chiesa Cattolica. Quest’ultima è in sé esentata da ogni responsabilità, ed è anzi quasi una vittima della malvagità di costoro, “lupi atroci pronti a divorare le anime innocenti”. Nessun cambiamento è dunque necessario, per Francesco, a livello ecclesiale, nessuna riforma organizzativa è indispensabile. É sufficiente che la Chiesa cambi atteggiamento, che i suoi dirigenti diventino più vigili e attenti nello scovare e annientare i parassiti che si annidano al suo interno. Una simile concezione è sbagliata e dannosa. Le falsità che il papa denuncia sono in buona misura un prodotto della stessa vita istituzionale, un effetto diretto e centrale della formazione clericale. Già da seminaristi infatti, i sacerdoti cattolici vengono sistematicamente educati a coltivare la doppiezza, a condurre l’intera propria esistenza affettiva in solitudine e dietro le quinte, al riparo da sguardi indiscreti, nel segno della menzogna e del segreto. L’istituzione si mostra generosa e protettiva, ma pretende in cambio dai suoi funzionari un amore assoluto ed esclusivo; il desiderio carnale e le pulsioni amorose vanno rimosse (almeno dalla vista) insieme al desiderio di autonomia intellettuale e morale, alla volontà di far di testa propria, alla tentazione della disobbedienza. Il prete ideale agli occhi dei vertici ecclesiastici diventa perciò proprio colui che si annulla nel ruolo, ovvero chi ha smarrito completamente se stesso e la sua dignità personale, divenendo un campione dell’obbedienza e dell’anaffettività, un esecutore seriale di riti perfettamente plasmato dall’istituzione, un esaltato adoratore del potere ecclesiastico in tutte le sue manifestazioni. Il sogno dell’istituzione totale è insomma quello di produrre tanti piccoli Eichmann, capaci di servire la Chiesa con entusiasmo e cieca adesione.
Ma è proprio tra le fila dei burocrati perfetti, tra i funzionari migliori, che spesso si annidano gli abusatori e i violentatori. La ragione è semplice: la sessualità e l’affettività che l’istituzione censura e reprime riemerge inevitabilmente in una doppia vita del tutto clandestina e segreta. In tanti casi, la doppia vita genera addirittura una doppia personalità che conduce ad una doppia esistenza: l’una edificante e solenne, l’altra oscura e violenta. Il pretino in talare che coscienzioso e modesto si impegna, col plauso di superiori e fedeli, nei riti diurni della devozione si trasforma, una volta lasciati i locali della parrocchia o talvolta anche al suo interno, nel celebrante di riti di tutt’altro genere e talvolta nell’attore di una sessualità compulsiva e violenta. Se anche la Chiesa si rivelasse (ed è tutto ma proprio tutto da dimostrare) spietata nell’individuazione e nella denuncia degli abusi e delle violenze commessa dal clero, pure essa non potrebbe considerarsi esente dalla responsabilità gravissima di aver dato a vita a molte delle condizioni che hanno reso quei reati possibili e concreti. Di questo bisognerebbe avere il coraggio di discutere se alla piaga tristissima delle violenze sessuali dei preti si vorrà davvero prima o poi porre un freno.
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