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Home Cronaca

LA COMPLICITÀ COI PRETI PEDOFILI – il caso Pennsylvania

Redazione Web by Redazione Web
24 Agosto 2018
in Cronaca
Reading Time: 5 mins read
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di Marco Marzano

Vaticano – Il report del governo Usa conferma che gli abusi ci sono ovunque nella Chiesa e vengono sempre coperti. Ma il Papa, anche nella sua lettera ai fedeli, continua a trattare le molestie come un problema spirituale invece che penale

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Molta cronaca, poca critica. Così la stampa italiana racconta gli abusi su minori nella Chiesa

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Il report del Grand Jury della Pennsylvania sugli abusi sessuali commessi dal clero cattolico in sei diocesi di quello Stato americano è un catalogo di orrori a danno di minorenni, ripetuti nel tempo e aggravati dal riguardare un’intera organizzazione: quella di cui facevano parte sia gli abusatori che i loro complici, tutti coloro che li hanno aiutati a sottrarsi alla giustizia.

Il documento somiglia agli altri analoghi prodotti in tutti i luoghi in cui si sia tentato di far luce sui delitti sessuali commessi da membri del clero cattolico. Ovunque si indaghi, a Boston come a Ratisbona, in Australia come in Irlanda, si scopre lo stesso marciume. Come si legge nelle prime righe del rapporto: “Sapevamo che queste storie accadevano qui e là. Ora conosciamo la verità e sappiamo che accadeva dappertutto”.

Quel che colpisce in questo caso sono le dimensioni del lavoro investigativo, le centinaia di migliaia di pagine di documenti riservati (che le diocesi sono state costrette a consegnare) esaminate con cura, le testimonianze raccolte e il fatto che i sacerdoti coinvolti siano più di 300, le vittime identificate sono almeno un migliaio, anche se tutto fa ritenere che, come si legge nel rapporto, siano in realtà tante di più, che di molti crimini si siano perse le tracce o che tante vittime abbiano deciso di non rivelare quel che hanno subito. Molti degli abusati sono maschi di tutte le età, ma non mancano anche le bambine. Tutti costoro hanno subito violenze sessuali di ogni genere da parte di abusatori più o meno seriali. Le loro storie vengono ricostruite nel rapporto con meticolosa precisione.

E tuttavia quel che impressiona di più è la descrizione del comportamento dei responsabili delle diocesi, dei vescovi. Nel report si legge che, malgrado qualche piccola differenza di stile, in tutte le diocesi prevaleva un codice di comportamento standardizzato. Grazie anche alla collaborazione di alcuni agenti del FBI esso è stato finalmente portato alla luce. Il codice consiste di sette norme: a) far sempre uso di eufemismi nel descrivere i crimini, non parlare mai di “stupro”, ma di “condotta inappropriata”; b) non far condurre indagini approfondite da personale qualificato e preferire ad esse le testimonianze degli amici e dei colleghi del carnefice; c) al fine di fornire un’apparenza di integrità, inviare il prete abusatore presso un centro di trattamento psichiatrico nel quale venga però considerata valida esclusivamente la sua versione dei fatti; d) se si rivelasse proprio necessario rimuovere un prete dal proprio incarico, non precisare mai le cause e parlare di “malattia” o “esaurimento nervoso”; e) anche se un prete è uno stupratore, continuare a fornirgli il pieno sostentamento, ignorando il fatto che possa continuare a stuprare; f) se si viene a sapere che un prete è un abusatore, trasferirlo ad un’altra parrocchia dove nessuno lo conosca; g) non riferire nulla polizia, non denunciare mai.

Il “codice” è stato applicato ovunque e ha comportato la sistematica sordità alla sofferenza delle vittime, la costante protezione dei carnefici e soprattutto, almeno fino a qualche tempo fa, la tutela della reputazione dell’istituzione ecclesiastica. Il fatto che oggi ne venga rivelata l’esistenza testimonia che la società civile, insieme alla stampa e alle istituzioni pubbliche americane, non sono più disposte a tollerare le implicazioni criminali dell’operato della Chiesa Cattolica. Gli autori del report fanno mostra di un cauto ottimismo. E tuttavia la malattia non è certo estinta (nel report ci sono casi molto recenti), deve rimanere alta la pressione sulla Chiesa affinché essa non torni ai vecchi vizi si sa che quasi sempre (le vittime hanno bisogno di tempo per far emergere il ricordo delle violenze subite), vanno introdotti cambiamenti nella legislazione degli Stati al fine di rendere più facile individuare e perseguire i preti autori di violenze sui minori.

Soprattutto sarebbe necessario che venissero avviate in tutto il mondo iniziative giudiziarie come questa della Pennsylvania, così come sarebbe vitale che al stampa facesse quel che ha fatto il Boston Globe nel caso Spotlight, il vero avvio della lotta ai crimini sessuali della Chiesa cattolica americana. Sarebbe anche necessario che da Roma giungessero segnali meno ambigui e reticenti. Da questo punto di vista, la recente “lettera al popolo di Dio” di papa Francesco è inadeguata. E lo è in particolare laddove si concentra su una lettura degli abusi come difetto spirituale e sull’esercizio della preghiera e del digiuno come principale pratica riparatoria. Ma preghiera e digiuno sono proprio i farmaci più di frequente somministrati nel passato da vescovi e pastori ai loro confratelli colpevoli di aver compiuto qualche azione esecrabile nei confronti di un minore. Quell’atto, una molestia o addirittura una violenza carnale ai danni di un bambino, veniva interpretata precisamente come una mancanza spirituale, come un peccato, un’offesa a Dio, che richiedeva, come riparazione, preghiera e digiuno. Due pratiche compatibili con il segreto attorno al reato, con la protezione del chierico peccatore dalle grinfie della giustizia civile e con l’indifferenza verso la sofferenza della vittima.

Da vertici della Chiesa davvero interessati a combattere il fenomeno e a cambiare verso ci aspetteremmo tutt’altro. Ci attenderemmo, in luogo di una generica richiesta di perdono, un invito solenne rivolto a tutte le vittime del mondo di reati commessi da membri del clero a presentarsi dinanzi alle autorità ecclesiastiche e a quelle civili per denunziare i loro carnefici. O un ordine tassativo rivolto ai vescovi di tutto il pianeta a fare ciò che quelli della Pennsylvania sono stati costretti a fare: aprire i loro archivi, rendere pubblici i documenti che attestano le responsabilità che tantissimi dirigenti della Chiesa hanno avuto nel coprire, aiutare, sostenere gli autori di crimini sessuali.

Infine, ci attenderemmo l’indizione di un sinodo straordinario dedicato al tema del ministero sacerdotale, nel corso del quale potesse essere indagata, con l’ausilio di scienziati e ricercatori esperti nel campo, l’analisi della relazione tra la formazione seminariale, il celibato obbligatorio, il profilo sacrale del sacerdozio, da un lato e la commissione di reati sessuali sui minori e la protezione di casta accordata al clero dai dirigenti ecclesiastici dall’altra. Si tratterebbe di un passaggio doloroso, ma di un epocale momento di parresia, nel quale la Chiesa potrebbe davvero iniziare una stagione nuova, rifondando su basi nuove i propri rapporti con la comunità dei fedeli e con la società civile. Sarebbe qualcosa di davvero rivoluzionario e di ben diverso dai balbettii di scuse che si sentono pronunciare in questi giorni di fronte ai racconti dell’orrore che giungono dalla Pennsylvania.

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