Città del Vaticano – Il caso del prete pedofilo di Ponticelli, a Napoli, è a una svolta definitiva. Dopo gli imbarazzati silenzi di questi mesi del cardinale Crescenzio Sepe, le pressioni esercitate dalla Segreteria di Stato e – soprattutto – dopo che Papa Francesco in persona aveva dato ordine di riaprire il caso di don Silverio Mura, il parroco accusato di avere abusato di un ragazzino verso la fine degli anni Novanta – oggi un uomo sposato di 40 anni che si è battuto con coraggio per fare emergere la terribile vicenda nonostante tante difficoltà, omertà e omissioni – la vicenda approda in un tribunale ecclesiastico per essere giudicata. Gli atti sono stati trasmessi al tribunale ecclesiastico di Milano, regione dove don Silverio Mura aveva inspiegabilmente trovato rifugio e dove lavorava sotto copertura come parroco, con falso nome, in una diocesi lombarda.
Il caso era finito in un cono d’ombra. L’istruttoria condotta nel 2014 dalla curia di Napoli era stata trasmessa in Vaticano che, sulla base dei documenti a disposizione «riteneva non fossero emersi elementi sufficienti per avviare un processo penale a carico di don Silverio Mura» si legge in un comunicato diffuso a suo tempo da monsignor Luigi Ortaglio, cancelliere della curia di Napoli. Evidentemente non tutto era stato approfondito anche se don Silverio Mura era poi stato mandato dal cardinale Sepe fuori Napoli «per un periodo sabbatico di riposo e distacco dalla parrocchia, presso una comunità religiosa, fuori dalla diocesi».
A febbraio era stato Papa Francesco a richiedere «ulteriori e immediati» accertamenti dopo una inchiesta pubblicata sul Mattino di Napoli. Voleva capire se le indagini svolte durante questi anni dalla diocesi di Napoli e, in seguito, dalle autorità competenti vaticane, relative alle accuse di abusi e terminate nel 2016 con un’archiviazione, erano state fatte o meno accuratamente. Voleva capire se la procedura investigativa fosse stata adeguatamente rispettata in tutte le fasi previste.
La vicenda a Ponticelli era affiorata nel 2010 con la denuncia di una vittima, Arturo Borrelli. All’epoca dei fatti era ragazzino di appena 13 anni. «Ero dominato dalla sua personalità, lusingato da questa amicizia. Quando succedeva ero impietrito. Diceva che il mio seme lo aiutava a stare meglio, a curarsi. Solo a 16 anni mi sono sottratto al suo dominio, all’epoca non ne parlai con nessuno per vergogna».
Parecchio tempo dopo, nel 2010, ormai adulto, marito e padre, fu colpito da gravi attacchi di panico e ricorse ad una psicoterapia. Fu allora che dalle ombre della sua memoria riemerse qualcosa di terribile che aveva rimosso per autotutela: gli abusi subiti un tempo, i traumi sepolti nel silenzio. Seguirono le denunce: una ai Carabinieri (ma il reato dopo 10 anni senza una sentenza cadde in prescrizione), e l’altra alla diocesi napoletana, che avviò subito le procedure standard di verifica.
In alcuni documenti dell’arcivescovado si elencano i vari passaggi dell’inchiesta, la difesa di don Silverio Mura (che ha sempre negato le accuse), e il suo trasferimento misterioso in un luogo sconosciuto ma poi scoperto da una trasmissione delle Iene, in una diocesi lombarda.
La Congregazione per la Fede chiese di analizzare di nuovo la vicenda. Il 2 ottobre 2014, l’ex Sant’Uffizio richiamò la diocesi, chiedendole di effettuare una investigazione previa a norma del canone 1717 del codice canonico.Nel frattempo la vittima si faceva coraggio e affidava alla pubblica opinione la sua vicenda, fino agli ultimi sviluppi. Ora la parola passa al tribunale ecclesiastico di Milano.
https://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/papa_francesco_napoli_curia_sepe_abusi_pedofilia_mura_vittima_vaticano-3879222.html
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