Hamilton, rispondendo alla domanda su che cosa avrebbe voluto dire a Karadima se il suo abusatore fosse stato davanti alla diretta tv in quel momento, ha risposto: «A Karadima non voglio dire niente. Ma vorrei dire ai vescovi insabbiatori che il maggior danno non è stato quello che mi ha fatto Karadima ma quello che mi hanno fatto loro. Mi hanno ucciso di nuovo quando sono venuto a chiedere il loro aiuto, quando stavo morendo dentro e loro hanno fatto di tutto per uccidermi per la seconda volta. Sono dei criminali».
Ecco, anche se potrebbe sembrare strano – come si può concretamente paragonare l’abuso sessuale con l’insabbiamento? – ciò che questa vittima di abusi ha percepito è stato l’essere ucciso una seconda volta. E dunque è arrivato a dire chi può essere peggiore di un prete abusatore. Un superiore, un vescovo che invece di accogliere, ascoltare, confortare la vittima che denuncia l’abuso, rifiuta di riceverla. Rifiuta di incontrarla. La considera un “nemico” del buon nome della Chiesa, minimizza i suoi racconti considerandoli certamente calunniosi prima ancora di averli ascoltati. Non si cura del bambino, del ragazzo, dell’adolescente o dell’uomo devastato, che domanda innanzitutto di essere preso sul serio, accolto, sostenuto, aiutato. Lo respinge, e invece di proteggere la vittima, protegge il carnefice, cioè il prete che ha compiuto quegli abusi che Papa Francesco ha paragonati ai sacrifici satanici.
Non si può comprendere la vicenda cilena, come a quella di tanti altri Paesi dove questa piaga (o questa «epidemia» per usare l’espressione cara alle tre vittime di Karadima) è diffusa, senza partire dalla sofferenza degli abusati. Sofferenza che le coperture e gli insabbiamenti hanno reso ancor più terribile, al punto da far apparire queste ultime persino più dolorose della stessa esperienza degli abusi.
Ciò che emerge dai racconti di questi tre uomini, le cui vite sono state distrutte dalla rapacità di padre Karadima ma anche dal vergognoso atteggiamento di chi lo ha coperto, garantendogli l’immunità e l’impunità per anni, nonostante le denunce, è dunque emblematico. E ci dice quanto importanti siano i gesti di accoglienza, di ascolto, di vicinanza. Come pure ci dice quanto sia importante che la ferita non venga chiusa frettolosamente e che la Chiesa cilena assuma quella consapevolezza penitenziale contenuta nella lettera di Francesco all’episcopato . Senza fare lo scaricabarile, ma riconoscendo le gravi mancanze commesse innanzitutto nell’aver respinto queste vittime di abusi abusando nuovamente di loro.
«Durante quasi dieci anni noi siamo stati trattati come nemici perché lottavamo contro l’abuso sessuale e le coperture nella Chiesa. In questi giorni abbiamo conosciuto un volto amichevole della Chiesa, totalmente diverso da quello che abbiamo conosciuto prima», hanno affermato Cruz, Hamilton e Murillo. Colpisce che quell’attenzione e quella accoglienza che non hanno potuto sperimentare nel loro Paese, le tre vittime di Karadima l’abbiano incontrata in Vaticano, visitando il successore di Pietro. «Per me è stato un incontro molto gratificante e riparatore – ha detto Hamilton parlando del lungo tempo trascorso a tu per tu con il Pontefice – e la sua richiesta di perdono era molto sincera. Ci siamo trovati di fronte ad un uomo non superbo. Dicendoci che lui si era sbagliato, era il segno che non è infallibile. Perché se si sbaglia e lo riconosce, si trasforma in infallibile! È stato davvero umano».
E Juan Carlos Cruz ha raccontato: «Ho parlato con il Papa delle coperture, nel dettaglio, approfonditamente. Io non ho mai visto uno così contrito nel chiedere perdono. Una richiesta di perdono che veniva dal cuore. Per me, nel mio caso, il Papa era veramente dispiaciuto e per me è stato veramente importante. “Io sono stato parte del problema, chiedo perdono”, ha riconosciuto. Ora il perdono richiede azioni nel futuro, spero che non gli tremi la mano nelle decisioni che deve prendere».
http://www.lastampa.it/2018/05/03/vaticaninsider/abusi-quel-dolore-delle-vittime-uccise-due-volte-zAmYiI11wwoikHxjtf1muI/pagina.html
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