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Home Campania

Appello del cardinale «Indagini al palo chi sa deve parlare»

Redazione Web by Redazione Web
29 Aprile 2018
in Campania
Reading Time: 3 mins read
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La Curia riapre il caso di Diego Esposito ma aggiunge: qui nessuna altra denuncia

MariaChiaraAulisio

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L’ultima manifestazione di protesta organizzata per far sentire la sua voce e quella di chi denunciava di aver subito gli stessi abusi risale ai primi giorni di aprile quando Diego Esposito (nomedifantasia),con Francesco Zanardi presidente della Rete L’Abuso – che si occupa di dare sostegno e assistenza, legale e psicologica, a chi denuncia molestie e violenze da parte di sacerdoti – ha sfilato sul sagrato del Duomo di Napoli.

E all’ingresso della cattedrale ha inscenato un sit-in per denunciare lo stallo delle inchieste – da quelle affidate agli organi ecclesiastici, ai tribunali canonici, a finire a quelle consegnate in Procura e alla magistratura civile e per chiedere le dimissioni del cardinale Crescenzio Sepe; ma, soprattutto, per invocare una parola risolutiva di Papa Francesco.

Lo stesso Papa che lo scorso febbraio, in Vaticano, aveva deciso di riaprire il caso del prete di Ponticelli accusato di pedofilia che – secondo Esposito-avrebbe abusato anche di lui quando aveva appena tredici anni, e lo invitava a casa sua approfittando della soggezione psicologica del ragazzino.

Poi altre testimonianze, tra cui quella di G.S.,che raccontò di aver subito le stessi sorti di Diego confermando le accuse ai danni del prete. Da qui la necessità da parte del Santo Padre di richiedere «ulteriori e immediati» accertamenti. Bergoglio intendeva capire se le indagini svolte dalla diocesi di Napoli e,in seguito, dalleautorità competenti vaticane,relative alle accuse di abusi ai danni di alcuni bambini, e terminate con un’archiviazione, erano state fatte nel rispetto della verità. Inevitabile, da parte della Congregazione della Dottrina per la Fede, l’affidamento alla diocesi di Napoli dell’incarico di «procedere ai necessari adempimenti, secondo le norme canoniche».

In altre parole l’obbligo di riaprire un caso che per i vertici di largo Donnaregina era ormai morto e sepolto: nel 2016 infatti la Curia riteneva «non essere emersi elementi sufficienti per avviare un processo penale a carico del sacerdote in questione».

Ed ecco le novità delle ultime ore: «Nelle scorse settimane – si legge in un comunicato inviato dalla Curia arcivescovile di Napoli – sono state avviate le procedure relative all’indagine previa, riascoltando il sacerdote accusato». E fin qui tutto regolare. Peccato però che «tale indagine prosegue la nota di Crescenzio Sepe – presenta qualche difficoltà». Quale? «Non risulta pervenuta alla Cancelleria della nostra Diocesi alcuna nuova denuncia di persona diversa dal primo accusatore. Si sa soltanto di un’intervista fatta da un giornale quotidiano, nello scorso mese di febbraio, a un nuovo accusatore del quale, però,vennero indicate soltanto le iniziali G.S.».

Da qui l’appello dell’arcivescovo «a tutti coloro che sono in possesso di elementi utili per le indagini a darne comunicazione alla Cancelleria della Curia di Napoli, entro e non oltre trenta giorni dalla data del presente comunicato stampa.

Solo così – conclude la nota –si avrà modo di proseguire e concludere l’indagine che, una volta ultimata, sarà inviata alla Congregazione della Dottrina per la Fede per le competenti valutazioni e determinazioni». Immediata la replica di Francesco Zanardi: «La cosa sfugge solo al Cardinale Sepe, ma è piuttosto evidente che le vittime siano rimaste parecchio intimidite dopo aver visto il trattamento riservato a Esposito.

In seguito alla denuncia di otto anni fa alla curia napoletana Diego è stato prima umiliato con un risarcimento di 250 euro e poi ha perso anche il lavoro grazie a una segnalazione della stessa diocesi in questura: gli hanno ritirato il porto d’armi e, facendo di mestiere la guardia giurata, è rimasto anche senza lavoro. In quella occasione – aggiunge Zanardi –la diocesi si giustificò sottolineando che la segnalazione fu fatta per il suo bene.

Peccato non abbiano avuto lo stesso buonsenso e la stessa tutela quando hanno mandato don Silverio Mura, sotto falso nome, a Montù Beccaria…insegnava religione a 40 minori».

Il Mattino del 29-4-18

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