In “Lussuria” di Emiliano Fittipaldi un’indagine sulla pedofilia nella Chiesa
di PAOLO CENDON
II libro di Emiliano Fittipaldi “Lussuria”(Feltrinelli, pagg. 208, euro 16,00), tratta delle questioni della pedofilia nella Chiesa. È un repertorio puntiglioso degli scandali, esplosi o soffocati negli anni, per abusi sessuali sui bambini, ad opera di preti di tutto il mondo. Scorrono sotto gli occhi del lettore decine di episodi; alcuni già noti, attraverso i media, altri meno conosciuti. Vicende orrende e strazianti, denunce, suicidi. Sacerdoti spesso non puniti, anzi promossi, vescovi che insabbiano; le luci e le ombre di Ratzinger, carriere brillanti a Roma, malgrado tutto, la cosiddetta lobby gay in Vaticano, gli sforzi di papa Francesco.
Più d’una le (tristi) curiosità che il testo accende: sul mondo delle vittime, sulle figure degli abusanti, sui comportamenti dei terzi – famiglie, comunità dei fedeli, avvocati, Diocesi, giudici.
Come le violenze incominciano. Si sente spesso dire: «La vittima è lusingata dall’essere stata ‘prescelta’ da quell’adulto; che ha preferito lei ad altri coetanei, fin lì più titolati». Vero in certi casi; altrove prevalgono fattori diversi. Quel bambino si annoiava, sempre gli stessi svaghi, maestri pigri, indaffarati, un quartiere immobile: il parroco invece la raccontava e infiocchettava così bene! Quella scolaretta era sola, taciturna, bisognosa di tepore, di sorrisi: beni che altrove non riceveva; il religioso se n’è reso conto, ha incoraggiato confidenze, abitudini. Alle spalle una famiglia opaca magari, sbrigativa, dove era appena nata una sorellina spodestante.
Ancora. Un riparo offerto, in canonica, contro ambienti esterni minacciosi, popolati da bulli; «Resta con me pulcino, qua non entreranno». Un bisogno di identità, di cittadinanza spicciola, a cominciare dall’abbigliamento; la divisa blu parrocchiale, quel distintivo, una tunica a righe verticali. Voglia di sport: si sa che all’oratorio uno spiazzo per il calcio non manca mai; senza contare il ping pong, la sartoria per bambole, le freccette: e alla fine una doccia calda, «Proveremo insieme quel sapone al cocco, che arriva dalle missioni nigeriane».
Anche per il molestatore la chiave non è sempre il desiderio di fare agli altri – in veste di diavolo, vent’anni dopo – quanto lui aveva patito in gioventù. A decidere è solo un gran senso di solitudine, sovente: incomprensioni lontane, vuoti, il famoso bacio della mamma che non arrivava. Lì è nata la voglia di giochi appartati, di un regno segreto; «noi due e basta», una bambolina che faccia sempre «sì, sì»: non quegli adulti esigenti, bisbetici.
E una volta che le brutture sono iniziate? Sensi di colpa spesso: «Sono stato io a stuzzicarlo, ho le mie responsabilità». Meglio così piuttosto che sentirsi una larva schiavizzata, un oppresso. Meccanismi dissociativi poi; spezzarsi in due non è tanto difficile: basterà introdurre – nell’arco della giornata (tra la fase della “normalità famiglia-scuola”, e quella della “lussuria in parrocchia”) – una stanza di decompressione: in cui ritrovare, anima e corpo, la maschera appropriata al luogo in cui si sta andando. Più tardi, quando servirà, la fase di evitamento-amnesia verrà anch’essa più facile.
I momenti di oggettiva complicità “erotica”, umidiccia, inturgidita, sulla pelle, «Ti piace vero?»: capitolo fra i più discussi, fonte sovente di assurdi, vergognosi malintesi – ben sfruttati dai legali, sempre in cerca di argomenti nei tribunali. Talora un progetto alla luce del sole, niente di losco: così sembrava inizialmente; le atmosfere torbide sono arrivate in seguito, striscianti; poco dopo si è scivolati nella mollezza, nei bocconi avvelenati, nella serialità. Scatta a un certo punto la dimensione pervasiva, monopolistica, propria di tante religioni; quel sound che le rende – ciascuna a suo modo – irresistibili: «Tutto quanto la Chiesa sa, dogma di fede, tutto può insegnare ai suoi cuccioli; ciò che verrà da lì è buono e nobile, per definizione: non penserai di poter scegliere, tu, di portare a casa solo quello che ti piace!».
Nemmeno il prete si accorge del male che fa: non sempre, certi non vedono proprio come il piccolo viva quei momenti: cosa gli succederà un giorno, da grande, neanche lo immaginano; «Se non farei torto a una mosca, io!», Norman Bates, finale di ‘Psycho’, ricordate? Al di fuori poi non si nota nulla, nessuna domanda congrua, intelligente; casa, scuola, grandi attori i bambini, a volte scorbutici, repulsivi, abili a sviare. Chi potrebbe/dovrebbe è attrezzato a capire? a cogliere segnali spesso vaghi, impercettibili? Risposta, no, non lo è, quasi mai.
E dopo, a dramma concluso? Tutto può succedere. Scatta una rimozione nella memoria? Difficilmente il corpo sopporterà, incasserà e basta; almeno quando le ferite siano state profonde. Contraccolpi di ogni tipo allora, dentro e fuori; tra i giovani amanti blocchi, indisponibilità. E una volta che gli orrori dimenticati siano riemersi? Occorre governarli, trovare il modo di sdemonizzarli; altrimenti è peggio di prima. Il processo? Un buon atout terapeutico, di norma; qua e là troppo impegnativo forse. Il prete nega sempre i fatti, sdegnato, oppure li sminuisce; «Che male gli ho fatto, era d’accordo!»; al mondo nessuno mai (salvo che in qualche romanzo russo) si sente colpevole di qualcosa. La comunità parrocchiale dei fedeli? Dalla parte del prete, finché si può; «Il nostro don Mario, lui no, impossibile, un bacetto, cosa sarà stato mai?», Il risarcimento? Non è sbagliato in sè, beninteso; preziose anzi le funzioni che svolge (araldica, economica, sanzionatoria). La Diocesi è pronta a tirar fuori i soldi – al posto del prete pedofilo (che non li ha) – lo fa volentieri, senza indugi? In un caso su cento. Possibile uscirne per la vittima? Perdonare all’orco, fa stare meglio?
Prendere le distanze, in che modo? Trovare nuovi centri di equilibrio? Può, colui che soffre, fare ciò che vuole di sè, dei propri sentimenti: dominando i suoi fantasmi più profondi, manipolando “i cespugli del cuore” – tu sì, tu no, tu così così? Non lo so.
http://ilpiccolo.gelocal.it/tempo-libero/2017/02/09/news/orchi-in-parrocchia-le-vittime-di-abusi-raccontano-l-inferno-1.14853287
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