Lo dice un editoriale del Washington Post citando il nuovo libro di Emiliano Fittipaldi
Sulla sfida più esplosiva e moralmente sovversiva fronteggiata dalla Chiesa cattolica romana – gli abusi sessuali sui bambini da parte di membri della Chiesa e la loro tolleranza da parte dei vescovi – papa Francesco ha detto le cose giuste ma ha fatto troppo poco. Anche oggi, a 15 anni dalle rivelazioni sulla complicità della Chiesa nel consentire e insabbiare gli abusi di preti americani che hanno danneggiato la vita di moltissimi giovani, nessun vescovo è stato esplicitamente riconosciuto colpevole o è stato privato del suo titolo. La posizione fiacca, inadeguata e compromessa del papa rispetto a questo scandalo è il soggetto di Lussuria, il nuovo – e atteso – libro dell’autorevole giornalista italiano Emiliano Fittipaldi. Il libro, che è stato pubblicato la settimana scorsa, non è solamente un’accusa contro una linea papale che non è riuscita a essere all’altezza delle inequivocabili promesse sulla “tolleranza zero” nei confronti degli abusi sessuali nella Chiesa, ma anche del papato di Francesco.
Fittipaldi racconta come da quando Francesco è diventato papa quattro anni fa, il numero dei reclami presentati alla Santa Sede in merito ad abusi sessuali sia rimasto sostanzialmente invariato rispetto al suo predecessore, papa Benedetto XVI, che è stato giustamente duramente criticato per la sua inattività sul tema. Cosa ancora più grave, il libro riporta i ripetuti casi in cui dei funzionari della Chiesa coinvolti nelle accuse di abuso e insabbiamento sono stati addirittura promossi, spesso in posizioni apicali all’interno della tentacolare gerarchia della Chiesa. Il cardinale Francisco Javier Errázuriz – ex arcivescovo di Santiago, in Cile – per esempio, è stato promosso da papa Francesco al Consiglio dei vescovi, una sorta di organo consultivo papale d’élite composto da nove membri, che si trova a Roma. Errázuriz viene da tempo accusato di aver ignorato le accuse di abusi sessuali mosse a un prete nella sua giurisdizione. C’è poi il cardinale George Pell, un ex vescovo australiano, che oggi è il più importante funzionario finanziario del Vaticano, da tempo accusato di aver ignorato i casi di pedofilia tra i preti durante il suo periodo in Australia. Quando l’anno scorso è stato interrogato da una commissione investigativa nel suo paese, Pell è ricorso alla vecchia storiella secondo cui la chiesa non è migliore né peggiore della società in generale, una formulazione superficiale che viene spesso usata dai funzionari del Vaticano per evitare di riconoscere in qualsiasi modo lo schema radicato di complicità istituzionale all’interno della chiesa.
Sugli abusi sessuali nella Chiesa lo stesso papa ha fatto delle dichiarazioni forti e compiuto degli atti simbolici per sottolineare la sua compassione per le vittime, in un caso incontrando a Philadelphia alcune persone che avevano subìto abusi sessuali da parte di preti. Le sue misure per far rispondere davvero i membri della Chiesa delle loro azioni, però, sono state vane. Papa Francesco ha provato senza successo a istituire un tribunale speciale per i casi di negligenza da parte dei vescovi, salvo poi emanare un decreto in cui si definiva il tribunale superfluo dal momento che il Vaticano ha già il potere di sollevare dall’incarico i vescovi che hanno chiuso un occhio sugli abusi nelle loro diocesi. Ora, sette mesi dopo, non ci sono molte indicazioni che suggeriscano che i vescovi siano chiamati a rispondere del loro operato. Finché non succederà, le parole del papa sono come nuvole di fumo.
http://www.ilpost.it/2017/01/23/sugli-abusi-sessuali-nella-chiesa-questo-papa-ha-fatto-poco/
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