Depositate le motivazioni della condanna a nove anni per l’ex direttore della Caritas Indagini adesso trasferite sui fronti dei soldi Caritas spariti e dell’accoglienza degli immigrati.
In 132 pagine il giudice Antonio Cavasino ha raccolto le motivazioni della condanna a nove anni pronunciata nei confronti dell’ex direttore della Caritas trapanese, don Sergio Librizzi. Librizzi fu arrestato dalla sezione di pg della Forestale a fine giugno 2014, in esecuzione di un provvedimento emesso dal gip su richiesta della Procura di Trapani. La sentenza è stata pronunziata, a conclusione di un processo svoltosi col rito abbreviato, il 30 ottobre 2015, lo scorso 28 aprile è avvenuto il deposito delle motivazioni. Librizzi è stato ritenuto colpevole dei reati di concussione e violenza sessuale. Per il giudice ha profittato del proprio ruolo di componente della commissione ministeriale incaricata del rilascio dei nulla osta per la concessione degli asili politici, per compiere violenza sessuale nei confronti dei richiedenti, extracomunitari, ospiti dei centri di accoglienza trapanese. Buona parte della sentenza ripropone per intero le intercettazioni ambientali e telefoniche che condotte dalla pg della Forestale nel periodo delle indagini hanno condotto il gip ad applicare nei confronti del sacerdote la misura cautelare, prima in carcere, poi ai domiciliari, con obbligo di dimora al di fuori della provincia di Trapani. Dietro il paravento di assicurare assistenza ai bisognosi, anche a immigrati, il sacerdote si è macchiato di gravi reati, come l’abuso sessuale. Don Librizzi è stato travolto da un’indagine che ha messo in evidenza come ha approfittato del suo ruolo di componente della commissione prefettizia-ministeriale, incaricata del rilascio dello status di rifugiato politico agli extracomunitari arrivati sulle nostre coste e trattenuti presso i centri di accoglienza del trapanese, al fine di “abusare” sessualmente dei malcapitati che si rivolgevano a lui per essere aiutati. Le intercettazioni ma anche le denunce, lo hanno incastrato. Ma ciò che emerge anche dalla sentenza è la circostanza che le “abitudini” di don Librizzi non erano del tutte segrete nelle stanze della Curia, e non solo. Ci sarebbe stato chi voleva denunciare don Librizzi e si sarebbe sentito dire da “persone importanti”, lo scenario sembra potere riguardare giudici e anche investigatori delle forze dell’ordine, che era meglio lasciar perdere. La sentenza di condanna riporta anche una discussione che Librizzi ebbe al telefono con don Pietro Messana, addirittura ascoltato a consigliare prudenza a don Sergio, “nascondendosi – si legge – dietro la foglia di fico delle male lingue, gli consiglia di essere più attento”. E don Messana sollecitava don Sergio a stare attento, “..devi guardarti dal di dentro Sergio…c’è gente che dice cose e le giura pure”, lui rispondeva con sfottò “minchia allora sistemato sono…veramente”. “Non lo so ma guarda dico che purtroppo c’è gente, c’è gente, giurano che è così, anche tra questi terzomondiali, per questo riguardati…mi dispiace dirti così ma non è che è la prima volta che te lo dico, è la prima volta che te lo dico?”. Il “caso” Librizzi, insomma, prima di diventare caso giudiziario, con l’arresto nel giugno 2014, era già noto “ma si faceva finta di nulla”. Avrebbe saputo per esempio il vescovo Francesco Miccichè e su questo punto l’indagine su don Librizzi si è intrecciata con quella dove è indagato proprio l’ex vescovo Miccichè. Non bisognava dar fastidio a don Librizzi che da direttore della Caritas sarebbe stata, per il vescovo Miccichè, la classica “gallina dalle uova d’oro”. Per via di quei denari che invece di essere destinati alle opere di carità, la cifra pare superi il milione di euro, sarebbero finiti sui conti correnti alla mercé di mons. Miccichè, indagato per appropriazione indebita. Ma non c’è solo questo. Un altro capitolo investigativo si è aperto proprio prendendo spunto dall’inchiesta sull’ex direttore della Caritas. E’ il filone di indagine ancora in corso e tenuto ancora parecchio secretato dalla Procura e che è relativo al cosidetto “business” dell’accoglienza degli immigrati. Su questo tema i magistrati trapanesi, guidati dal procuratore Viola, recentemente sono stati sentiti dal commissari parlamentari di San Macuto che si stanno occupando degli affari illeciti nel settore dell’accoglienza dei migranti. Commissari che la prossima settimana saranno a Trapani per fare altre audizioni. Comune denominatore di tutte queste indagini, Librizzi, Miccichè, Immigrazione, sarebbe proprio il ruolo di alcuni politici. A cominciare dal senatore Antonio D’Alì che si occupò di fare avere l’incarico a don Librizzi nella commissione ministeriale, per continuare con altri politici, come Giammarinaro e Fratello che avrebbero un ruolo negli affari dell’accoglienza degli immigrati. Il processo nei confronti di don Librizzi ha messo molto in evidenza le sponsorizzazioni politiche a favore dell’ex direttore della Caritas. Don Librizzi era tenuto bene in considerazione da un gotha di soggetti appartenenti anche alle istituzioni o ai salotti buoni di Trapani, “sordi alle numerose segnalazioni e allarmi lanciati dai soggetti più deboli, immigrati senza arte né parte, trasparenti, inesistenti nella scala sociale, numeri che vagano nei centri di accoglienza, fantasmi in fondo utili solo per il business o per le voglie del Librizzi ..”.
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