PEDOFILIA, L’APPELLO DEL PEDAGOGISTA: “TORNATE A PARLARE CON I VOSTRI FIGLI”
Aboliamo immediatamente un luogo comune: non è il voto di castità a cui sono sottoposti alcuni sacerdoti o il delirio di onnipotenza che dà una pistola nella fondina a fare di un uomo un pedofilo. Anzi, diciamo pure che generalizzare e pensare che alcune categorie abbiano un maggior numero di casi rispetto ad un’altra è una mera idiozia. Preti e poliziotti, spesso bersagli innocenti quando si parla dell’atroce reato sui minori, sono frequenti vittime dei pregiudizi socio politici usati per colpire la categoria che rappresentano e per motivi per motivi che nulla hanno a che fare con la scienza. La pedofilia non ha ceto o estrazione sociale ed è una malattia che affonda le sue colpe non nelle divise e negli abiti talari, ma in dinamiche psicopatologiche complesse e molto più diffuse di quanto si possa pensare. È quanto sostiene il dottor Sergio Caruso, pedagogista, esperto in minori, famiglia e prevenzione, criminologo clinico e docente master criminologia a Catanzaro, chiamato a spiegare in modo oculato e scientifico che cos’è realmente la pedofilia, quando ci si trova davanti a un caso del genere e se si può guarire.
Intanto, che cos’è la pedofilia?
«La pedofilia è una parafilia (anomalia del comportamento per cui la soddisfazione dell’istinto sessuale può essere raggiunta solo attraverso atti eccentrici o perversi, ndr) in cui il desiderio sessuale prevalente ha i tratti della morfologia estetica caratterizzata dalla personalità e l’espressione dei caratteri sessuali specifici di un minore. L’immaturità psicologica, infatti, accomuna sia il pedofilo che la vittima».
Il Pedofilo ha un profilo psicologico ben delinato?
È errato pensare che sia uno soltanto. La letteratura scientifica distingue, senza elencare i sottotipi, tre tipologie: i preferenziali, i seduttivi e i sadici. Questi ultimi sono coloro i quali, nel 95% dei casi, il recupero è impossibile, poiché un pedofilo sadico generalmente seduce, violenta, importuna e uccide il minore. L’esempio più noto è quello di Luigi Chiatti, il famigerato pedofilo di Foligno. E a tal proposito, si faccia attenzione a non usare la parola mostro. È un termine mediatico nemico della scienza, che genera confusione per alimentare la saga del crimine, per alimentare una sorta di terrorismo psicologico che non aiuta a comprendere la problematica ma anzi elimina il nesso scientifico per aumentare la paura. Il pedofilo è una persona malata. Nella stragrande maggioranza dei casi abbiamo non solo dei riscontri di psicopatologie in cui la realtà è alterata, ma come caso del sadico, una volta su tre il pedofilo è vittima della sindrome dell’abusato/abusatore, ovvero è stato anch’egli abusato, quasi sempre da persone vicine. Cosicché tende a fare gesti simili».
Quando un adulto gioca ‘affettuosamente’ con un bambino, ad esempio fare “il cavalluccio”, tenendolo in braccio o accarezzandolo, si è sempre in presenza di un pedofilo?
«Questo è il caso dei pedofili seduttivi, che adottano uno schema ludico per esercitare vere e proprie violenze, non per forza relative all’ambito biomeccanico della penetrazione e delle violenza sessuale in genere. Coinvolgere il minore psicologicamente in giochi erotici, in situazioni erotizzanti, con la scusa del “cavalluccio”, farsi le foto insieme, farsi accarezzare, provoca comunque dei danni nella personalità del minore».
Cosa succede a un minore che subisce violenza fisica o psicologica?
«Da pedagogista, esperto della tutela dell’età evolutiva, alla luce della ricerche che abbiamo condotto presso il laboratorio scientifico del mio maestro, il Professor Matteo Villanova, Roma 3, laboratorio O.L.T.R.E.E., posso dire con certezza che il soggetto subisce danni psicologici irreparabili. Tende a somatizzare, a chiudersi, a non rivelarlo a nessuno. Con questa sofferenza, se tenuta dentro, iniziano a subentrare malesseri psicofisici, quali per esempio il vomito, paure, fobie, ansie, fino a vedere gli adulti come persone distante o avverse. Questi minori esprimono un forte disagio, che non scompare in età adulta ma si enuclea fino a sfociare, in alcuni casi, in psicopatologie».
Quando non si verifica un vero e proprio atto di violenza, come nel caso di giochi apparentemente innocenti, il minore comprende di essere oggetto di attenzioni sessuali da parte dell’adulto?
«Inizialmente no, principalmente per due motivi: il primo è per la fiducia che nutre nella persona adulta con la quale “gioca” e che considera un punto di riferimento, il secondo è perché per un bambino giocare rappresenta la normalità. Quindi non se ne rende conto, non è capace di una presa di coscienza. Successivamente si creano delle situazioni sempre più sessualizzanti in cui si mettono in atto azioni sessuali esplicite ed è lì che il bambino capisce».
I pedofili appartengono, per ceto sociale o altra caratteristica, a una precisa categoria?
«Assolutamente no, categorizzare è estremamente sbagliato. È una mera invenzione mediatica affermare che i preti o poliziotti, per esempio, sono le categorie nelle quali si riscontra il maggior numero di casi di pedofilia. Ci sono determinate trasmissioni televisive che farei chiudere seduta stante, perché le informazioni distorte, anziché aiutare a risolvere il problema, lo peggiorano. La pedofilia è la conseguenza di una dinamica destrutturante insita nell’individuo che non è legata ad alcun ceto o estrazione sociale. Quando si va a colpire una categoria non si vuole gettare la croce sull’individuo, ma sulla categoria che rappresenta, per motivi socio-politici che vanno al di là della scienza».
Quali sono i sintomi per i quali una famiglia dovrebbe allarmarsi?
«Prima del sintomo, che si ha a violenza già avvenuta, dovremmo fare fare una cosa essenziale e che purtroppo nelle famiglie e nelle scuole non avviene più: l’ascolto emozionale. Dovremmo istituire centri d’ascolto specifici per i minori che possano collegare le due più grandi agenzie strutturanti delle personalità e della società, che in questo preciso momento storico sono crollate. Solo attraverso l’educazione affettiva possiamo accorgerci di dinamiche che in un’osservazione superficiale , sepuur quotidiana, sicuramente non vediamo. Bisogna incentivare l’ascolto, sia esso per un momento di difficoltà, di paura, per un episodio di bullismo, fino ad arrivare a casi ancora più gravi. E anche noi professionisti, quali medici e giornalisti, dovremmo attivarci per l’istituzione della prevenzione evolutiva e pedagogica, affinché il bambino possa essere ascoltato prima del danno, prima del reato, prima della violenza».
Dalla pedofilia si guarisce?
«In alcuni casi sì. Però è necessario capire di fronte a quale tipo di pedofilo ci si trova e valutare con minuzia quale tipo di intervento di riduzione recidiva deve essere attuata dall’equipe psichiatrica. Ripeto, nel caso del pedofilo sadico la guarigione è quasi impossibile, ma anche nel caso del seduttivo la questione rimane comunque complicata».
La detenzione è una pena giusta in questi casi?
«La detenzione ci deve essere perché il reato di pedofilia è atroce e inqualificabile. Ma guai se avessimo un sistema penale che non affiancasse la cura alla detenzione. Ci sono alcuni reparti dello Spinazzoli a Trani, nel carcere di Castrovillari o Poggio Reale, solo per fare un esempio, in cui è possibile eseguire un trattamento clinico forense per questa precisa tipologia di reato. Sì, i pedofili devono rimanere dentro, anche perché, se non curati, rimane sempre alto il rischio di recidiva».
http://www.francescalagatta.it/pedofilia-reato-atroce-parla-il-criminologo-ed-esperto-sergio-caruso/
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