Papa Francesco ha chiesto pubblicamente perdono alle vittime di abusi sessuali da parte dei religiosi. Le sue parole, però, non sono sufficienti a lenire il dolore di tanti: uno di loro ci racconta la sua storia di Barbara Gabbrielli .
Si tengono dentro la paura e la vergogna per anni. E anche quando riescono a raccontare il loro segreto, difficilmente ritrovano la serenità. Sono le vittime di abusi sessuali da parte di religiosi: 3.420 i casi accertati tra il 2004 e il 20 13. Una spina nel fianco dei vertici della Chiesa, ormai nel mirino del Comitato Onu contro la tortura. “Gravi crimini che pesano sul mio cuore e sulla mia coscienza». Con queste parole papa Francesco, pochi giorni fa, ha chiesto scusa alle vittime e invocato il perdono per “i peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa». Perché in chi è stato costretto a scappare da un prete la ferita è doppia: dopo l’abuso, c’è la solitudine per l’indifferenza del mondo clericale in cui aveva creduto.
La testimonianza
«Non vado più a Messa: credo ancora in Dio, ma la vista di un sacerdote mi terrorizza» ci confida un uomo di 38 anni, che chiameremo Marco per proteggerne la privacy. La sua storia inizia in una scuola media di Napoli, all’ora di religione. Il prete che fa lezione è simpatico, autorevole, giusto. “Mi pareva una persona eccezionale, sempre pronto ad aiutarti» prosegue Marco. “Solo dopo ho capito la sua strategia bastarda. Ma allora io avevo 12 anni, ero un bambino e lui il mio professore. Non potevo pensare che fosse cattivo». La storia
Sembra un copione già scritto. Sono i dettagli a suscitare rabbia e disgusto. «Un giorno m’invitò a casa sua. Iniziò a toccarmi e a baciarmi. “Non ti preoccupare” mi diceva, “è una cosa buona, è amore”. Quel giorno la mia mente si è annullata, bloccata. Ipnotizzato, tornavo tutte le volte che lui voleva. Trovavo la tivù accesa con film di esorcisti, in modo che avessi paura e mi stringessi a lui. Quando abusò di me completamente, rientrai a casa annullato, mi sdraiai sul letto e non riuscii ad andare a scuola il giorno dopo. Raccontarlo? Neppure sotto tortura. Mi teneva in pugno. Verso i 17 anni iniziai a realizzare e decisi di ribellarmi. Allora il prete comprò una bella moto e la lasciò a mia disposizione.
lo smisi di andare da lui, ma la cosa assurda era che mia madre considerava un onore essere amico di un prete. Tanto che, quando a poco più di 20 anni decisi di sposarmi per chiudere questo capitolo, lei pretese che fosse lui a celebrare le mie nozze e poi a battezzare i miei due figli». Marco, oggi, è seguito da uno psichiatra, cerca la calma nei farmaci. Ed è riuscito a parlare solo quattro anni fa. «Più che la vergogna, è stata la paura a scavare dentro di me. Ero convinto di essere malato.
E stavo male veramente, avevo dolori all’addome e giramenti di testa. A un certo punto il mio corpo non ce l’ha più fatta: sono svenuto. Pensavo che sarei morto, allora come ultimo desiderio sono andato da mia madre e le ho raccontato tutto». Marco ha sporto denuncia, ha scritto decine di mail al vescovo e una anche al Vaticano, chiedendo attenzione. “La Chiesa mi chiuso le porte in faccia» dice sconso-lato. «Ma la mia vita ormai è rovinata». E il prete? Dopo essere stato trasferito a 10 chilometri di distanza, sempre in una scuola, ora se ne sono perse le tracce.
Barbara Gabbrielli