Certo Mons. Negri non è responsabile dello scoppio delle due guerre mondiale, proprio come gli ebrei non sono responsabili del deicidio (ma c’è voluto il Vaticano II per scagionarli da un’accusa a lungo ripetuta da tanti uomini di Chiesa).
Tuttavia l’Arcivescovo è responsabile di parecchie cose in relazione alla violenza carnale compiuta da don Pietro e al silenzio pluridecennale che ne è seguito. È forse un fatto trascurabile che ci sia voluta la via impropria delle Iene per venire a conoscenza di fatti di tale gravità? Mons. Negri è responsabile di non aver assunto adeguate informazioni su una diocesi che ha coperto fin che ha potuto troppe ignominie. Basti pensare che lo scandalo conclamato di Mons. Mariotti è stato risolto solo in virtù di un intervento dall’alto. Oppure è sufficiente guardare ai tanti aspetti mai chiariti legati alle vicende di don Domenico Bedin. Per non parlare di un sommerso che ci è dato, in parte, di immaginare ma ci è precluso conoscere.
L’Arcivescovo è responsabile di non aver invitato la comunità ecclesiale diocesana ad assumere uno spirito di conversione (il lato penitenziale della solidarietà). È responsabile di non aprire in modo franco e maturo il discorso, ormai improrogabile, sul rapporto del clero con il sesso, in senso etero e omosessuale e purtroppo pedofilo. Grava su di lui il non aver pensato alla scelta coraggiosa di non abortire compiuta, più di trent’anni fa, da quella ragazza quattordicenne e dai suoi genitori.
Fermo restando la ricostruzione dei fatti, si tratta di un comportamento che avrebbe dovuto essere additato come esempio da parte di un uomo di Chiesa. Soprattutto Mons. Negri ha la responsabilità di non saper o non voler cogliere il momento straordinario legato all’inizio del pontificato di Francesco; siamo in un tempo opportuno per attuare un rinnovamento profondo nello stile ecclesiale.
L’appoggio corale dei vescovi costituirebbe infatti il baluardo più efficace contro lo sfruttamento mass-mediatico a cui è esposto il papa. Una vita ecclesiale che rifiorisce nelle diocesi si pone su un piano di concretezza non strumentalizzabile,
Le responsabilità non sono, è evidente, solo di Mons. Negri. Esse, come ha lucidamente documentato Massimo Faggioli in un suo intervento tenuto a Santa Francesca Romana nel luglio scorso, riguardano, per esempio, le modalità con le quali da troppo tempo sono scelti i vescovi di Ferrara-Comacchio. Ma su questo fronte possiamo farci poco. Altro è il discorso in relazione al clero locale, mai disposto, pure nella sua componente migliore, a manifestare pubblicamente qualche forma di costruttivo dissenso anche là dove sarebbe necessario farlo.
Infine Mons. Negri è inquivocabilmente responsabile di un comunicato che in alcune sue parti umilia la vita ecclesiale diocesiana. A questa responsabilità non è estraneo neppure l’addetto stampa (non dattilografo) don Massimo Manservigi che avrebbe dovuto, da esperto in comunicazione, invitare l’Arcivescovo a compiere gli opportuni tagli.
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