Ieri l’ultima delle telefonate alla comunità incontro del discusso sacerdote. Da Roma al Vietnam, guai giudiziari di ogni genere, prima della tegola definitiva: rinvio a giudizio per abusi a minori.
L’ultima occasione pubblica è stata ieri. A Natale, si sa, siamo tutti più buoni. E anche il premier, Silvio Berlusconi, per sentirsi migliore non esita a dedicare il suo natale a chi ha più bisogno: luogo prediletto per un saluto di vicinanza e di beneficienza è, da anni, la comunità Incontro di Don Piero Gelmini, ad Amelia, in Umbria. Se non di persona, almeno telefonicamente il presidente del Consiglio non rinuncia mai ad elogiare pubblicamente il lavoro dell’amico Piero.
SIMILITUDINI – Ieri, per la seconda volta in due anni consecutivi, il Cavaliere ha scelto la comunicazione telefonica alla festa di Natale dell’associazione terapeutica che accoglie tossicodipendenti e sieropositivi nella campagna Umbria del paesino in provincia di Terni.
Nel corso della telefonata Berlusconi non manca di divagare sul piano personale. Soprattutto, sugli attacchi che gli vengono rivolti in continuazione. «Cerco di imitarti — dice a don Gelmini — come tieni botta tu, tengo botta io. Se c’è qualcuno che è oggetto di diffamazione quotidiana sono io, mi hanno accusato di tutto, dalle stragi alla mafia». Ma è un motivo in più per non ritirarsi: «Non dobbiamo avere dubbi nell’andare avanti perchè deluderemmo tutti i nostri sostenitori, tutte le persone che hanno fiducia in noi».
Così le parole della telefonata su Repubblica, e un parallelo davvero azzeccato: Berlusconi, come don Gelmini, “terrebbe botta” davanti ai reiterati attacchi di chi gli vorrebbe male. Di chi non avrebbe intenzione di lasciarlo in pace. E davvero, da Don Gelmini potrà trovare conforto, Berlusconi: se non altro perchè il sacerdote ha alle spalle una lunga sequela di guai con la giustizia, lunga quasi quanto quella del Premier. E’ fin dagli anni ‘70 il prete che svolge la meritoria attività di accogliere, indistintamente ed in tutto il mondo, diseredati, tossicodipendenti, sieropositivi, galeotti, ex-carcerati, per offrirgli l’occasione di una redenzione, di una nuova vita in comunità, un luogo in cui poter parlare liberamente dei propri problemi senza la paura di essere giudicati; ma accanto a tutto questo, don Gelmini è un cliente affezionato delle procure italiane. Un uomo in cui, come nell’abito talare, il bianco ed il nero si mischiano un po’.
PADRE JAGUAR – E’ un vecchio articolo della Stampa, ripreso in tutte le salse dalla rete, a raccontarci l’identikit di don Piero Gelmini. Si era nei favolosi anni ‘70, ma la vita pubblica del sacerdote, allora, era appena iniziata.
C’è stato un altro don Pierino prima di don Pierino. Un prete che ha sempre sfidato le convenzioni, ma che di guai con la giustizia ne ha avuti tanti, ed è pure finito in carcere un paio di volte. A un certo punto è stato anche sospeso «a divinis», salvo poi essere perdonato da Santa Romana Chiesa. E’ il don Gelmini che non figura nelle biografie ufficiali. I fatti accadono tra il 1969 e il 1977, quando don Pierino era ancora considerato un «fratello di». Una figura minore che viveva di luce riflessa rispetto al più esuberante padre Eligio, confessore di calciatori, amico di Gianni Rivera, frequentatore di feste, fondatore delle comunità antidroga «Mondo X» e del Telefono Amico. Anni che furono in salita per don Pierino e che non vengono mai citati nelle pubblicazioni di Comunità Incontro. Per forza. Era il 13 novembre 1969 quando i carabinieri lo arrestarono per la prima volta, nella sua villa all’Infernetto, zona Casal Palocco, alla periferia di Roma. E già all’epoca fece scalpore che questo sacerdote avesse una Jaguar in giardino. Lui, don Pierino, nella sua autobiografia scrive che lì, nella villa dell’Infernetto, dopo un primissimo incontro-choc con un drogato, tale Alfredo, nel 1963, cominciò a interessarsi agli eroinomani. In tanti bussavano alla sua porta. «Ed è là che, ospitando, ancora senza tempi o criteri precisi, ragazzi che si rivolgono a lui, curando la loro assistenza legale e visitandoli in carcere, mette progressivamente a punto uno stile di vita e delle regole che costituiranno l’ossatura della Comunità Incontro».
Così Francesco Grignetti sul quotidiano torinese ripercorre i primi anni della vita di “Padre Jaguar”. Fratello, come abbiamo visto, di un altro sacerdote, quel padre Eligio che lo accompagnerà anche in alcune vicende giudiziarie ma che, come si apprende, era di casa nel jet-set del pallone italiano. Dalla sua casa di viale Vaticano, in cui abitava in quanto segretario di un alto cardinale, dopo l’incontro con questo tale Alfredo Nunzi, si trasferisce nella periferia residenziale di Roma, all’Infernetto.
Mise, quindi, progressivamente a punto uno stile di vita e delle regole che costituirono l’ossatura e un’iniziale struttura organizzativa della Comunità Incontro. Si passava, così, dalla semplice attenzione al singolo all’elaborazione di un programma comunitario. Con l’apertura del Centro di Mulino Silla, il 27 settembre 1979, nasceva la prima realtà che darà l’impronta a tutti i Centri successivi. Attualmente, sono circa 200 le comunità presenti in tutte le regioni d’Italia e all’estero (Spagna, Thailandia, Canada, Bolivia, Costa Rica, Francia, Svizzera, Slovenia, Brasile, Stati Uniti).
Così, riassuntivamente, la sua pagina di Wikipedia.
All’epoca, Gelmini aveva un certo ruolo nella Curia. Segretario di un cardinale, Luis Copello, arcivescovo di Buenos Aires. Ma aveva scoperto la nuova vocazione. «Rinunciai alla carriera per salire su una corriera di balordi», la sua battuta preferita. I freddi resoconti di giustizia dicono in verità che fu inquisito per bancarotta fraudolenta, emissione di assegni a vuoto, e truffa. Lo accusarono di avere sfruttato l’incarico di segretario del cardinale per organizzare un’ambigua ditta di import-export con l’America Latina. E restò impigliato in una storia poco chiara legata a una cooperativa edilizia collegata con le Acli che dovrebbe costruire palazzine all’Eur. La cooperativa fallì mentre lui rispondeva della cassa. Il giudice fallimentare fu quasi costretto a spiccare un mandato di cattura. Don Pierino, che amava farsi chiamare «monsignore», e per questo motivo si era beccato anche una diffida della Curia, sparì dalla circolazione.
Via di corsa dunque: destinazione, il sud-est asiatico, dove si poteva dare una mano a diseredati dalla guerra vietnamita e, quando avanzava tempo, anche truffare la famiglia presidenziale.
Si saprà poi che era finito nel cattolicissimo Vietnam del Sud dove era entrato in contatto con l’arcivescovo della cittadina di Hué. Ma la storia finì di nuovo male: sua eminenza Dihn-Thuc, e anche la signora Nhu, vedova del Presidente Diem, lo denunciarono per appropriazione indebita. Ci fecero i titoloni sui giornali: «Chi è il monsignore che raggirò la vedova di Presidente vietnamita».
IN GALERA – Gelmini dunque, non riesce a stare fermo, e ovunque va finisce sulle prime pagine dei giornali per cause non sempre limpidissime. Fallita l’esperienza vietnamita, capisce che forse il gioco non vale la candela e che il suo paese lo chiama. Torna in Italia e affronta le conseguenze delle sue azioni precedenti all’espatrio.
Dovette rientrare in Italia. Però l’aspettavano al varco. Si legge su un ingiallito ritaglio del Messaggero: «Gli danno quattro anni di carcere, nel luglio del ‘71. Li sconta tutti. Come detenuto, non è esattamente un modello e spesso costringe il direttore a isolarlo per evitare “promiscuità” con gli altri reclusi». Cattiverie. Fatto sta che le biografie ufficiali sorvolano su questi episodi. Non così i giornali dell’epoca. Anche perché nel 1976, quando queste vicende sembravano ormai morte e sepolte, e don Pierino aveva scontato la sua condanna, nonché trascorso un periodo di purgatorio ecclesiale in Maremma, lo arrestarono di nuovo.
Insomma, fin dalla carcerazione all’inizio degli anni ‘70 si iniziano a manifestare pubblicamente alcune sue tendenze: diciamo che il prelato avrebbe avuto difficoltà a restare dentro i ranghi del voto di continenza sessuale. Il direttore del carcere, imbarazzato, ogni tanto disponeva a suo danno l’isolamento. Tornato in libertà, e scontata anche la pena ecclesiale, don Gelmini finisce di nuovo in carcere insieme al fratello, questa volta, per una storia di traffico di beni alimentari con l’Africa che poi risultò infondata. Ma il nome di Gelmini era ormai di dominio pubblico, e per il prete pensò che forse era il caso di tornare a dedicarsi all’attività umanitaria.
INCONTRO – E’ la creazione della comunità Incontro
Passata quest’ennesima bufera, comunque, don Pierino tornò all’Infernetto. Sulla Stampa la descrivevano così: «Due piani, mattoni rossi, largo muro di cinta con ringhiera di ferro battuto, giardino, piscina e due cani: un pastore maremmano e un lupo. A servirlo sono in tre: un autista, una cuoca di colore e una cameriera». Tre anni dopo, nel 1979, sbarcava con un pugno di seguaci, e alcuni tossicodipendenti che stravedevano per lui, ad Amelia, nel cuore di un’Umbria che nel frattempo si è spopolata. Adocchiò un rudere in una valletta che lì chiamavano delle Streghe, e lo ottenne dal Comune in concessione quarantennale. Era un casale diroccato. Diventerà il Mulino Silla, casa-madre di un movimento impetuoso di comunità.
Fondata la comunità, le polemiche intorno a padre Gelmini si arrestano? Neanche per sogno: nonostante la concessione quarantennale da parte del Comune, la comunità Incontro inizia ad espandersi in maniera incontrollata e non sempre legale. Abusi edilizi, la nuova grana in cui Gelmini si infila, tanto che finisce in contenzioso addirittura col comune della cittadina umbra. Il decreto che disponeva l’invio degli atti alla procura venne firmato dall’allora sindaco della cittadina umbra: Luciano Lama, il grande segretario della CGIL del 1977. Si era, al tempo dell’illecito urbanistico, all’inizio degli anni 90.
Per una buona mezz’ ora Luciano Lama, senatore della Quercia, rinuncia al conforto della pipa. E parla senza pause. Parla e spiega come, da sindaco di Amelia, poltrona che ricopre da tre anni, sia balzato in sella a una mini-crociata “mani pulite” con la determinazione militante di un vecchio leone che non depone le armi. Lo scenario è da Peppone e don Camillo, ma stavolta, nella disfida, non tira aria di ricomposizione pacifica. Dall’ altra parte della barricata, c’ è don Pierino Gelmini, che governa una specie di città dentro la città, quella che ospita ben otto comunità per tossicodipendenti nel solo comune umbro di Amelia (targate Gelmini, sono 150 in Italia, qualche decina nel mondo). Lama ha denunciato il prete per abuso edilizio e ha scelto di firmare personalmente l’ atto d’ accusa, che poteva essere siglato da un semplice funzionario. “Quell’ uomo – sentenzia – gode di tali protezioni che non ho voluto consegnare ad altri la responsabilità di spedire gli atti in procura”, dice. La vicenda, la racconta lui stesso. “A seguito di un’ indagine dell’ ufficio tecnico, abbiamo scoperto che don Gelmini ha realizzato alcune opere senza licenza edilizia: un campo sportivo, una mensa, l’ allargamento di una strada con abbattimento di alberi, lo spostamento di alcuni muri di sostegno. Il tutto in un podere, quello di Cenciolello, che tredici anni fa il comune gli affidò in comodato, quindi gratis. Poi abbiamo deciso di vendere, e si sono spulciate le carte che prima non si era tenuti a verificare. Risultato: quelle licenze potevano benissimo essere autorizzate, però il prete se n’ è ben guardato di chiederle con prassi regolare. E sa perché? Perché si sente onnipotente e intoccabile”. La denuncia era obbligatoria. Ma è stata lo show down di anni di frizioni tra Amelia e il suo “scomodo” ospite. I quasi mille ex drogati, il 70 per cento dei quali sieropositivi o già ammalati di Aids, sfiorano infatti il dieci per cento della popolazione del comune e suscitano reazioni di rigetto da parte della gente infastidita di vederli circolare liberamente. L’ anno scorso, duecento genitori insorsero perché due bambini sieropositivi furono iscritti alla scuola pubblica. Alcune famiglie minacciarono di ritirare i propri figli. “Ma la gente si irrita soprattutto per l’ invadenza del personaggio e per la sua ‘ disinvoltura’ affaristica – nota Lama, col fervore di un paladino dei deboli contro un potente che non ha mai nascosto le sue simpatie craxiane -. Don Gelmini ha soldi in quantità. Lo Stato e la Regione lo foraggiano, e ci sono i cospicui lasciti dei privati. Così apre cantieri che il bilancio del comune neppure si sogna. Prenda Silla, alle porte di Amelia. Una città “gelminiana”. Lì sorgerà il centro internazionale delle comunità ‘ Incontro’ . Un investimento immobiliare imponente. Si dice anche che il prete abbia messo gli occhi sul vecchio carcere in disuso, proprio di fronte al municipio, dove andranno i drogati col trattamento di semilibertà previsto dalla legge. E appena dieci giorni fa ha acquistato il monastero di Santa Monica (700 milioni) dove ha fatto sapere che abiteranno dieci suore. In realtà, sembra che ci finiranno alcuni suoi ex ospiti che continuano a collaborare come istruttori della comunità. Un specie di albergo di lusso. Le altre comunità, come ‘ Abele’ , funzionano benissimo senza questa frenesia del mattone. Ad Amelia rischia invece di incrinarsi la pace sociale davanti a un signore che fa quel che gli pare. E, badi, non c’ è nessuna intenzione persecutoria da parte nostra. Tant’ è che abbiamo già dato via libera a 60 mila metri quadri di cemento.
Così raccontava la storia la Repubblica.
LA POLITICA – Le amicizie con la politica, dunque, per la prima volta saltano fuori nel discorso pubblico che riguarda don Gelmini da Amelia. E ricordiamocele, perchè ci torneranno utili fra pochissimo: salteranno di nuovo fuori nel luogo più inimmaginabile. Intanto la segnalazione di illecito urbanistico cammina, e don Gelmini finisce sotto l’inchiesta formale che la procura apre.
Il fondatore della comunità “Incontro” è finito sotto inchiesta perchè è vicepresidente della cooperativa “Terra nostra”, una delle tante create dai suoi ragazzi impegnati anche in varie attività per uscire dal tunnel della droga. Analogo provvedimento è stato preso anche nei confronti del presidente della società Claudio Legramante. La cooperativa, secondo la denuncia presentata dal Comune, avrebbe realizzato abusivamente un campo di calcio, un forno, costruzioni ad uso abitativo, scale e viali lastricati, una rimessa per attrezzi agricoli, alcuni muretti e, sempre in località Cenciolello, risulterebbe non in regola l’ installazione di alcuni prefabbricati destinati a cucine e refettori. Don Pierino Gelmini per queste costruzioni aveva a suo tempo presentato tutte le richieste di autorizzazione necessarie. Ma in Comune furono respinte. Venerdì il magistrato compirà un primo sopralluogo nella zona delle costruzioni abusive.
Ma forse erano stati i ragazzi ad essersi allargati un po’ troppo, e Gelmini era responsabile solo in veste strettamente formale. D’altronde, la comunità Incontro era diventata ormai un’istituzione che accoglieva centinaia di uomini e donne in difficoltà, gli spazi iniziavano a servire, e qualcuno evidentemente per gettare il cemento non aveva aspettato tutte le autorizzazioni necessarie. Ma insomma, fosse stato solo questo il problema: le questioni serie, e serie davvero, stavano per arrivare.
ABUSI SESSUALI – Don Gelmini è stato di recente rinviato a giudizio per casi di pedofilia e abusi sessuali all’interno della comunità Incontro. Sono oltre 12 le persone che lo accusano, alcune delle quali minorenni al tempo del fatto: secondo chi si pretende vittima, il prete avrebbe abusato del proprio carisma e della propria autorità per costringere gli ospiti della sua struttura a tribiutargli le attenzioni che lui chiedeva. Nel corso delle indagini preliminari, oltre 10 persone accettano di sottoporsi all’incidente probatorio, in modo che la loro deposizione possa essere cristallizzata e utilizzata come prova indiscutibile.
Una decina di ragazzi sarebbero stati costretti a subire le sue attenzioni, obbligati a soddisfare i suoi desideri particolari. Tra loro, anche due giovani che all’epoca dei fatti erano minorenni. La Procura di Terni chiede il rinvio a giudizio di don Pierino Gelmini. Un anno dopo l’avvio degli accertamenti sul suo conto, sollecita il processo per il fondatore della comunità Incontro per violenza sessuale. I magistrati ritengono dunque attendibili i racconti di quegli ospiti della struttura di Amelia, in Umbria, che cercavano di uscire dalla tossicodipendenza e hanno affermato di essere stati «molestati, palpeggiati, costretti ad atti sessuali». E chiedono che vengano giudicati anche i collaboratori più stretti, Giampaolo Nicolasi e Pierluigi La Rocca. Li accusano di favoreggiamento per aver tentato di convincere i testimoni a ritrattare. «Pressioni in cambio di soldi », dice l’accusa. E per sostenere la fondatezza di questa circostanza elenca i viaggi e i contatti con le presunte parti lese. Ma chiede anche il processo per Patrizia Guarino, la madre di uno dei ragazzi che avrebbe subito le violenze. La donna avrebbe avvertito don Gelmini delle indagini in corso e avrebbe poi accettato denaro per condizionare il figlio. In particolare è stata trovata traccia di un vaglia online di 500 euro. A mettere nei guai il sacerdote sono state le testimonianze di oltre trenta persone che hanno raccontato come don Gelmini li chiamasse nella sua stanza e poi li inducesse a partecipare a giochi erotici. Ma poi si è deciso di inserire nel capo di imputazione soltanto gli episodi che, secondo l’accusa, «erano certamente provati».
Piccoli favori, pochi spiccioli in denaro, storie ovattate di comunità di recupero, tu dai a me, io do a te: dai, su, che sarà mai.
AIUTATI CHE DIO T’AIUTA – E invece qualcuno si risente. Anche perchè don Gelmini, per convincere i suoi ospiti a concedersi a lui, metteva sul banco da vendita utilità di ogni genere: e vista l’eterogeneità dei suoi ospiti, qualche piatto ricco che poteva convincerli c’era sempre. Come la promessa, fatta magari a qualche detenuto in attesa di giudizio affidato alla sua comunità, o qualche arrestato ai domiciliari presso Incontro, di oliare le rotelle giuste per favorirlo.
Nelle carte depositate al termine delle indagini c’è il verbale di Michele Iacobbi, 34 anni, il principale accusatore di don Pierino, che all’epoca era agli arresti domiciliari presso la comunità. È stato lui a presentare la prima denuncia. E ha accusato il sacerdote di aver sfruttato anche le sue amicizie politiche per convincere lui e gli altri giovani tossicodipendenti a soddisfare le proprie esigenze. «Mi disse — ha messo a verbale Iacobbi — che siccome io ero accusato di mafia lui poteva parlare con Berlusconi, con Taviani e anche con l’ex senatore Imposimato per farmi avere una pena più lieve». La sua testimonianza è stata ritenuta pienamente attendibile e nel capo di imputazione a don Gelmini viene contestato di aver violentato i ragazzi «minacciando di avvalersi della sua autorità e della conoscenza di numerosi personaggi politici influenti e promettendo favori tramite dette conoscenze». Una tesi che il difensore Filippo Dinacci ha contestato nella sua memoria sottolineando la «completa infondatezza delle denunce presentate».
Il processo per don Gelmini, rinviato a giudizio dalla procura che ha giudicato queste prove sufficienti per aprire una vicenda processuale, comincerà nel marzo prossimo. Il prete incassa la solidarietà di Silvio Berlusconi, che, assimilandolo a lui, lo considera un perseguitato dalle toghe rosse “che lo accusano di tutto”. Ad accusarlo, in verità, sono gli ospiti della sua comunità che si affermano vittime delle sue attenzioni illecite. Ma difendere un compagno di politica, per il centrodestra italiano, sembra essere prioritario.
Al sacerdote è giunto il sostegno del centrodestra, schieramento per il quale era da tempo un punto di riferimento. “In Italia e in ogni parte del mondo centinaia di migliaia di ragazzi e di famiglie ritrovano la vita e il sorriso grazie all’opera infaticabile di don Pierino Gelmini”, ha detto il deputato di An Maurizio Gasparri, la cui “devozione nei confronti di uno dei pochi eroi civili del nostro tempo è convinta e totale”. L’Udc Luca Volontè ha parlato di “furore anticattolico” e ha invitato il ministro della Giustizia Mastella a inviare degli ispettori nella procura di Terni. Vladimir Luxuria, deputata di Rifondazione Comunista, ha invece chiesto di “non fare assoluzioni preventive” e di non “assolvere una persona indagata per reati così gravi solo perché è un sacerdote”.
Così le dichiarazioni degli esponenti politici al tempo dell’apertura delle indagini su Gelmini. Maurizio Gasparri era stato il presidente del comitato dei festeggiamenti per gli 80 anni del sacerdote. Silvio Berlusconi, lo abbiamo visto, lo chiama ogni anno per dargli solidarietà. Alle sue vittime, forse, penseranno i giudici, prima di essere investiti dall’ennesima accusa di essere toghe politicizzate che usano le loro funzioni per colpire gli avversari politici. L’assoluzione politica per il prete che ammoniva contro l’invasione dell’Islam ai danni dell’Europa nei convegni di Alleanza Nazionale è invece già stata assicurata.
Da Giornalettismo.com
Scopri di più da Rete L'ABUSO
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.