Riceviamo e pubblichiamo
Ecc. Rev.ma,
Ho esitato molto prima di inviarle questa lettera in quanto nuovo presule di Treviso da settimane insediato nella nuova diocesi. Avrà mille cose da fare, incontri da presiedere, persone da incontrare e mani di stringere.
Ma visto che è proprio all’inizio del suo mandato episcopale è giusto che si aggiungano anche queste mie parole e che sia messo al corrente di alcune cose che magari altri non le hanno detto o non hanno ancora il coraggio di dirgliele.
Sulla scia del summit che si è svolto nei mesi scorsi in vaticano (o meglio nel luogo dove alberga Satana) sul grande tema della pedofilia e leggendo in questi mesi il libro di F. Martel “Sodoma” e alla luce delle tante testimonianze che ho ascoltato in questi ultimi anni di vittime di abusi da parte della gerarchia ecclesiastica, ho trovato anch’io la forza dopo più di 28 anni di denunciare gli abusi sessuali, le umiliazioni e le gravi vessazioni che ho subito durante l’anno di seminario che ho frequentato negli anni 1990-91 (in Comunità Vocazionale).
La mia vicenda è simile a quella di tanti ragazzi vissuti all’ombra del campanile, negli ambienti della chiesa fin da piccolo. All’età di 8 anni ho iniziato a fare il chierichetto, a 15 anni l’animatore nella mia parrocchia di Galliera Veneta e a frequentare i gruppi di AC in patronato.
A 18 anni ho iniziato a frequentare il Gruppo Diaspora (il gruppo di orientamento vocazionale per giovani) perché sentivo in me una sorta di chiamata a diventare prete e l’anno successivo, finita la maturità, sono entrato in comunità vocazionale dove ho conosciuto molti preti, sia della comunità vocazionale, del seminario minore e maggiore.
Ero un ragazzo normale, pieno di vita e di sogni, come tutti i ragazzi di quell’età. Volevo fare un’esperienza forte per capire meglio la mia vocazione.
Ma è stato proprio lì dentro, nelle maledette mura del seminario, altro luogo satanico che è avvenuto quello che mai avrei pensato mi succedesse. Per un anno intero non ho avuto la forza di andarmene e di denunciare quello che mi era successo, anche perché erano anni in cui ancora non si potevano denunciare e parlare di pedofilia e di abusi sessuali da parte di preti.
Una sera, addirittura, stanco e sfinito di essere maltrattato e abusato sessualmente e non solo, sono letteralmente fuggito dal seminario vagando per la città di Treviso tutto solo e in balia dei miei dolori, delle mie angosce e delle mie atroci sofferenze e pregno delle mie ferite lancinanti che sanguinavano.
Ricordo, dopo aver camminato per un’ora piangendo, di essermi seduto sfinito in una panchina e poi di aver deciso (quasi come un flash) di suonare alla porta dell’episcopio: volevo parlare con l’allora vicario generale mons. Angelo Daniel (arciprete di Galliera Veneta dal 1974 al 1989) ed oggi vescovo emerito di Chioggia (a cui non ho inviato questa lettera perché so che le sue condizioni di salute sono molto precarie), con il quale avevo una grande confidenza ed era stato per anni il mio padre spirituale.
Ricordo sempre quella sera di marzo, venne ad aprire la porta il suo predecessore, il Vescovo Magnani, il quale stupefatto e con quello sguardo sicuro e schivo che sempre lo ha caratterizzato, mi chiese cosa volessi. Io non gli risposi nemmeno, lo scansai e salì in fretta quelle scale cercando di parlare con don Angelo, il quale mi accolse da padre con un abbraccio e mi chiese che cosa avessi e per quale motivo lo stessi cercando e per quale motivo stessi piangendo in modo così copioso.
Nonostante avessi gli occhi gonfi di lacrime non ebbi il coraggio di raccontargli la verità. Gli dissi una bugia, che ero stanco, che volevo uscire dal seminario. Lui cercò di capire, ma io non gli detti il tempo di farlo.
Lo ringraziai per il tempo che mi aveva dedicato, l’allora segretario del vescovo Magnani e oggi suo Vicario Generale, mons. Adriano Cevolotto, mi chiese se volevo almeno un bicchiere d’acqua, ma rifiutai.
Me ne andai, scesi quelle scale con tanta rabbia dentro per non essere riuscito a raccontare nulla.
Al rientro in seminario trovai le porte chiuse a chiave e per tutta la notte dormii nella mia macchina fino alla mattina quando furono riaperte le porte e potei rientrare e andai subito a farmi una doccia.
Quella mattina non partecipai né alla messa, né mi feci vedere a colazione e a lezione, ma rimasi per tutta la giornata in camera a piangere e a farmi mille domande su quanto stavo vivendo.
Ho continuato, quindi, a resistere fino a giugno quando comunicai la decisione di uscire definitivamente dal seminario. Fu per me grande una liberazione: ricordo venne mia madre ad aiutarmi a portare a casa le mie cose, ma un prete vigliacco (un vero e proprio verme strisciante) non permise alla donna che mi ha donato la vita di salire al piano superiore perché, sempre secondo quel prete maledetto, il piano superiore era un luogo privato al quale potevano accedere solo i seminaristi. Io gli detti una spinta e lo minacciai che se non avesse acconsentito a far salire mia madre, avrei chiamato immediatamente mons. Daniel, il Vescovo Magnani e i carabinieri.
A quel punto lo vidi sparire e mia mamma, la donna che amo più della mia stessa vita, è salita e assieme con una gioia immensa preparammo le valigie. La abbracciai forte, era più di un anno che non sentivo un vero abbraccio, il vero Amore venirmi incontro. Ero felicissimo perché sapevo che stava finendo quell’incubo, che erano gli ultimi minuti in cui io avrei visto quelle maledette stanze dell’orrore.
Per più di 28 anni ho cercato di andare avanti, di dimenticare, di guardare oltre a quello che mi era successo, mi sono subito iscritto alla facoltà di filosofia a Padova dove dopo cinque anni mi sono brillantemente laureato.
Ma nulla è mai stato come prima dopo quell’ anno vissuto in quel terrificante posto. Mai potrò dimenticare quei terribili e nefandi pomeriggi a fare “direzione spirituale” all’interno della camera del verme strisciante: ma Eccellenza – chiedo a lei- si può fare direzione spirituale in camera? E perché non in uno studio come tutti gli altri preti?
Il trauma esce ancora oggi, mi attanaglia con qualsiasi cosa che può essere un ricordo, un sogno, una parola.
Quando venivo e vengo a Treviso sto tutt’oggi ancora male, evito di passare per quelle vie e guardare quegli edifici, troppo grande è il dolore.
Nulla, ripeto, dopo quello che mi è successo è più come prima e in questi giorni, mi creda, non ho più lacrime pensando a quei terribili momenti vissuti.
Ho pensato più volte anche di farla finita per porre fine ai ricordi dolorosi, poi per fortuna la svolta e la rinascita.
Sono partito per un anno di volontariato nel 2010 con una grande ONG ad Haiti e lì, all’interno della missione umanitaria, ho conosciuto un medico francese stupendo che mi aiutato e che mi ha dato la forza di ripartire. Oggi questo medico, da 9 anni, è il mio marito e compagno di vita ed è grazie a lui se ho trovato la forza di scriverle affinché lei sappia che anche all’interno della diocesi da lei governata, vi sono dei preti pedofili che ogni mattina celebrano la messa e fanno la comunione come se niente fosse.
Io sono stato spesso (e continuo ancor oggi nonostante siano passati più 28 anni) ad essere minacciato di morte da questi preti infami che hanno abusato sessualmente di me e che ancora oggi mi scrivono o mi fanno arrivare dei messaggi da altri preti o uomini di curia “Se parli, sei morto”.
I reati e i crimini che hanno commesso questi criminali sono andati ovviamente in prescrizione, ma in prescrizione non andranno mai il mio dolore, le mie lacrime, i miei traumi subiti. E se Papi, Cardinali, Vescovi archiviano (o meglio insabbiano ), Dio non archivia!!
L’anno scorso ho chiesto lo sbattezzo che mi è stato concesso perché io non credo più nell’esistenza di Dio. Dio è solamente un’invenzione dell’uomo e della gerarchia ecclesiastica per compiere questi abominevoli crimini. Perché, Vescovo Tomasi, se Dio esistesse non avrebbe permesso a me e ad altre decine di migliaia di minorenni e giovani di vivere un dolore simile e continuare fino ad oggi a perpetuare crimini così efferati permettendo che altri ragazzi innocenti in tutto il mondo provassero e provino quello che ho provato io.
Non credo, ovviamente, nemmeno più in questa chiesa che mi ha profondamente e irrimediabilmente deluso, ferito e umiliato, che mi ha piagato corpo, mente e anima, quella chiesa a cui io ho dato tanto fino la mia stessa vita e tutto ciò che di bello avevo dentro me stesso. Volutamente non ho inviato questa mio scritto all’Arcivescovo di Udine Andrea Bruno Mazzucato, altro suo precedessore che ha Treviso ha combinato solo veri e propri disastri finché la lungimiranza dei due suoi confratelli emeriti (Mons. Magnani e Mons. Daniel) non sono partiti per Roma e spiegando alla Santa Sede con grande saggezza e verità cosa stava succedendo a Treviso, subito dopo poche settimane si sono visti gli effetti positivi di quella visita in Vaticano e in pieno luglio è arrivato il decreto di nomina di Mazzocato a Udine (io sinceramente l’avrei mandato ancora più in là, magari in Slovenia in una sperduta diocesi in mezzo ai boschi e alle foreste). Si pensi che, quando l’amministrazione comunale guidata dal Sindaco Manildo ha installato le telecamere di vigilanza nei punti più importanti della città, un telecamera è stata piazzata anche in Piazza Duomo. A.B.M. ha subito telefonato al Sindaco dicendo che non era opportuna una telecamera in piazza Duomo e che non gradiva che fosse registrato e ripreso chi entrava e usciva dall’episcopio. Per forza, li ho visti io con i miei occhi ragazzi più che ventenni uscire dalla porta del Palazzo Vescovile alle 3 di notte. Erano andati a fare direzione spirituale, ci teneva (e ci tiene ancora) molto l’Arcivescovo alle vocazioni…….
Io oggi provo una grandissima felicità a non fare più parte della chiesa cattolica composta da preti vigliacchi, vescovi e cardinali approfittatori, ladri, disonesti, pedofili, falsi, criminali.
Nonostante ciò mi sono sentito in dovere di scriverle e di raccontarle (risparmiandole e tralasciando appositamente dettagli raccapriccianti sulla mia vicenda) quello che a me è successo e a metterla in guardia (se mi permette) sul fatto che anche la diocesi di Treviso ha all’interno del suo presbiterio, dei preti pedofili maledetti e infami.
Non cerco consolazione, commiserazione e compassione, ho già chi mi ama, chi ogni giorno quando riaffiorano alla mente certi pensieri, sa con amore come asciugare le lacrime che copiose scendono e rigano le mie guance e sa asciugarle accarezzandomi e asciugandomi il viso con le proprie mani donandomi tutto l’amore possibile.
Non cerco nemmeno una sua risposta, sappia però che se verrò chiamato a portare la mia testimonianza, dovrò raccontare tutto quello che ho raccontato a lei in questa mia lettera aggiungendo però altri particolari meno gradevoli, ma estremamente veri.
La informo, inoltre, che ho deciso di dare alla stampa locale e nazionale il contenuto di tale lettera e di fare i due nomi pubblicamente dei due sacerdoti pedofili che ho avuto l’orrore di conoscere: ora sono due parroci (don Paolo Carnio a San Donà di Piave e don Livio Buso a San Martino di Lupari), negli anni 90/91 erano rispettivamente il responsabile della Comunità Vocazionale e l’altro assistente della stessa. Ho dato, inoltre, mandato ai miei legali di comunicare i nomi dei due criminali alla Procura della Repubblica competente.
Spero solo questo mio scritto possa illuminarla sulla necessità, come vescovo ordinario pro tempore della diocesi di Treviso, di vigilare costantemente e di denunciare con determinazione e franchezza eventuali altri abusi di cui verrà o sarà già venuto a conoscenza.
La ringrazio di avermi letto, le auguro un buon lavoro all’inizio di questa sua nuova e prima missione da Vescovo e la saluto cordialmente.
Galliera Veneta, 16 dicembre 2019
Gianbruno Prof. Cecchin
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