Mentre il clero fa mea culpa sugli orchi, ecco i dati ufficiali della Congregazione per Dottrina della Fede: solo nel 2017 si contano ben 410 denunce “verosimili”. Dal 2013 a oggi in media è stato segnalato, ogni giorno, un nuovo prete pedofilo. Il pontefice ha spretato, nel 2016, sedici sacerdoti
Il summit sulla pedofilia del clero cattolico voluto da papa Francesco dura quattro giorni. I capi dei vescovi ascoltano le drammatiche storie di alcune delle vittime degli orchi in tonaca. Fanno mea culpa. E propongono nuove linee guida per estirpare il fenomeno che sta distruggendo la credibilità della Chiesa.
Ebbene negli stessi quattro giorni, alla Congregazione per la dottrina della fede, arriveranno cinque nuove denunce “verosimili” contro altrettanti sacerdoti, accusati di abusi sessuali su minorenni.
Almeno a leggere i dati ufficiali, che qui diamo in anteprima, che evidenziano come il fenomeno non riguardi solo casi già noti e confinati al passato. Al contrario, la questione della pedofilia ha ancora oggi dimensioni gigantesche: da quando Bergoglio è diventato papa, nel marzo del 2013, fino al 31 dicembre del 2018 in Vaticano sono arrivate poco più di 2.200 nuove denunce dai vescovadi sparsi per il mondo. Si tratta in media di 1,2 nuovi casi al giorno.
Il trend è impressionante. Le accuse sono raddoppiate rispetto al quinquennio che va dal 2005 al 2009, quando i casi sfioravano – nonostante l’eco dello scandalo “Spotlight” svelato dai cronisti del Boston Globe nel 2001 – i 200 l’anno.
Dal 2010 in poi le accuse si sono moltiplicate. Un tendenza che potrebbe indicare una maggiore fiducia nella giustizia ecclesiastica da parte delle vittime, certo. Ma che racconta anche la persistenza e pervicacia del fenomeno, nonostante gli annunci sulla “tolleranza zero” lanciati ormai da 15 anni prima da Benedetto XVI poi da Bergoglio.
Nel 2017, si legge nel report dell’Ufficio disciplinare della Congregazione che ha il compito di aprire processi canonici contro le tonache che si sono macchiate di atti “contra sextum”, cioè di “delitti contro il sesto comandamento con minori”, sono arrivate a Roma ben 410 denunce “verosimili”. Dunque già vagliate e giudicate credibili dai vescovi in loco, che hanno l’obbligo – una volta verificate le accuse – di spedire il fascicolo in Vaticano.
Per la precisione, alla Congregazione per la dottrina della fede, dove gli “Officiali” dell’ufficio disciplinare guidati oggi dal cardinale Luis Ladaria lavorano la segnalazione, che può condurre a un’archiviazione o a un processo canonico contro il presunto molestatore.
Nel 2016, scartabellando i dati vaticani, gli abusi denunciati dalle vittime sono invece 415. Nello stesso anno scopriamo che papa Francesco ha dimesso dallo stato clericale, spretandoli, alcuni prelati: su 143 casi presentati dall’ex Sant’Uffizio al Sommo Pontefice, solo 16 sono stati spretati. Altri 127 casi hanno portato a «dispense da tutti gli oneri sacerdotali».
Non sappiamo quanti sacerdoti abbia spretato papa Francesco nei primi sei anni del suo pontificato. Sappiamo però che solo nel 2011 e nel 2012 il predecessore Benedetto XVI ridusse allo stato laicale rispettivamente 125 e 67 persone.
Dei nomi e dei motivi dei sedici prelati spretati da Bergoglio non sappiamo nulla: tutti i rinvii a giudizio, i processi e le decisioni del tribunale dell’ex Sant’Uffizio sono protetti da “perpetuo riserbo”. Fonti vaticane spiegano all’Espresso che i provvedimenti della Congregazione avallati poi dal papa «sanzionano quasi sempre crimini sessuali, perché per gli altri reati provvede la Congregazione per il Clero». In genere solo in casi straordinari, come quello dell’ex cardinale Theodore McCarrick, espulso dalla Chiesa dopo le accuse di pedofilia dei giudici americani, la Santa Sede pubblicizza urbi et orbi la sentenza.
Nel 2015 le denunce per atti sessuali su bambini e bambine hanno toccato i 518 casi. Nel 2014 sono state circa 500, nel 2013 le accuse sono 401.
Tutte le vicende, i nomi delle vittime ma anche quelle dei presunti carnefici, sono “sub segreto pontificio”. Protetti da “perpetuo riserbo”. I dipendenti vaticani che ne parlano rischiano il licenziamento, persino la scomunica. A causa di norme mai modificate, il Vaticano guidato da Francesco ha negato alla procura di Cremona, nel 2015, gli atti istruttori e processuali su don Mauro Inzoli, già condannato per pedofilia dalla Congregazione e poi condannato a 4 anni e 7 mesi dalla magistratura italiana, nonostante la rogatoria andata a vuoto.
Mentre ad ottobre del 2018 la Santa Sede ha invocato l’immunità per lo stesso cardinale Ladaria, convocato da alcuni giudici francesi a comparire in un tribunale per il caso del potente cardinale Philippe Barbarin, accusato di aver insabbiato abusi nella sua arcidiocesi.
Gli ottimisti sperano che domenica il summit possa concludersi con un annuncio importante del Vaticano. In modo da evitare che un evento significativo e altamente simbolico si trasformi in un altra occasione mancata.
Le vittime, parte importante della comunità cattolica e i laici progressisti chiedono da tempo una riforma strutturale delle leggi vaticane sulla pedofilia clericale: come l’eliminazione del segreto pontificio, che impedisce una reale trasparenza sulle azioni dei predatori e degli insabbiatori, e un obbligo giuridico (e non solo morale) di denuncia, da parte di vescovi e prelati che vengono a conoscenza del reato, alle autorità civili del paese dove quest’ultimo si compie.
In caso contrario, i risultati del summit rischino di essere dimenticati allo scoppio del prossimo scandalo.
http://m.espresso.repubblica.it/inchieste/2019/02/22/news/vaticano-pedofilia-papa-francesco-1.332000
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