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INCHIESTA ONU; Le 30 mila lavandaie-schiave d’Irlanda E nessuno che almeno chieda loro scusa

Redazione Web by Redazione Web
2 Giugno 2014
in Cronaca
Reading Time: 6 mins read
Home Cronaca

Le donne “perdute” in custodia di quattro ordini religiosi, dal 1922 al 1996, chiuse a lavare panni gratis agli ordini delle suore cattoliche, a subire violenze psicologiche, fisiche, spesso sessuali. Il Comitato contro le torture delle Nazioni Unite chiede ora un’inchiesta, cosa che dovrebbe obbligare la Chiesa a rendere conto dell’accaduto

 di ALESSANDRA BADUEL

GINEVRA – Per le donne perdute d’Irlanda non c’è giustizia, né identità. Niente scuse, né indennizzi. Non ancora, dopo 18 anni. In 30mila, secondo le stime, sono passate per le lavanderie gestite da quattro ordini religiosi, fra il 1922 e il 1996. Scelte perché, appunto, Maddalene “perdute” alla causa di una famiglia cattolica osservante: categoria che tutto includeva, dalla madre nubile alla piccola ladra, passando per il carattere ribelle e quella troppo bella e corteggiata, arrivando fino a chi aveva l’unica “colpa” di essere stata violentata, come è accaduto a Mary-Jo McDonagh, una delle poche che poi hanno avuto la forza di testimoniare sui successivi abusi nella lavanderia che doveva “salvarla”. Espulse spesso adolescenti da famiglie e comunità che non le volevano, quelle ragazze finivano chiuse a lavare panni gratis agli ordini delle suore cattoliche, a subire – anche – regolari violenze psicologiche, fisiche, spesso sessuali. 

Non sono bastate le molte denunce. Ma non è bastata la prima scoperta di alcuni casi nel 1993, non è bastato il film di denuncia The Magdalene Sisters di Peter Mullan nel 2002, condannato senza incertezze dal Vaticano, né sono bastati libri, opere teatrali, canzoni di autori come Joni Mitchell (in Turbolent Indigo, album del ’94, poi di nuovo in Tears of stone nel ’99) e ancora poesie, poemi, racconti susseguitisi dagli anni 90 a oggi. Non è servito il documentario The Forgotten Maggies di Steven O’Riordan, che nel 2009 ha raccolto molte delle loro storie vere. Non è servito neppure l’esempio dello scandalo della pedofilia degli ultimi anni, davanti al quale la Chiesa è invece arrivata a scusarsi. Sulle Maddalene, gli ordini religiosi e lo Stato irlandese non ci sentono.

Nessuno chiede almeno scusa.
 In questi giorni a Ginevra il Comitato contro le torture dell’Onu ha chiesto all’Irlanda di aprire un’inchiesta sulla vicenda, gesto che peraltro dovrebbe obbligare anche la Chiesa e in particolare gli ordini religiosi coinvolti a rendere conto dell’accaduto. A denunciare la situazione al Comitato, che sta compiendo l’esame periodico delle condizioni dei diritti umani all’interno di ogni Stato membro, è stato il gruppo irlandese Justice for Magdalenes (Jfm), appoggiato dal parere favorevole dellaIrish Human Rights Commission. “Il governo – spiega Claire McGettrick del Jfm – continua a non scusarsi, a non ordinare un’inchiesta, a non risarcire le donne, perlomeno con una pensione, per quello che noi definiamo un sistema di tortura durato settant’anni, del quale a sua volta l’Irlanda dovrebbe chiedere conto ai quattro ordini religiosi che gestivano le lavanderie. 

Alcune di loro sono ancora nei conventi. Non saprebbero dove andare. Altre non hanno mai denunciato nulla. E ci sono i parenti, che non sanno niente del loro destino. Sono morte, spesso, ma senza un nome sulla tomba, come si scoprì nel ’93”. Fu la prima conferma di quello che l’arte aveva cercato di denunciare fin da Eclipsed, una commedia scritta all’inizio degli anni 90 da Patricia Burke-Brogan sulla sua esperienza di Maddalena trent’anni prima. I quattro ordini religiosi coinvolti hanno nomi serafici. The Sisters of Mercy, The Sisters of Charity, The Good Shepherd Sisters, The Sisters of Our Lady of Charity. All’inizio, quasi un secolo fa, le Maddalene erano davvero prostitute, come quella dei Vangeli, inviate dalle suore perché le spingessero verso la purificazione e la trasformazione in Sorelle di Santa Margherita. 

Da prostituta a “donna perduta”. Presto però il concetto di “prostituta” si allargò a molte altre: le “donne perdute”. Incluse quelle che la stessa polizia irlandese, o le assistenti sociali dello Stato, portavano a scontare in quei conventi-laboratorio una pena sospesa per qualche piccolo reato lavando camicie. Le lavanderie intanto diventarono un affare sempre più lucrativo, con di nuovo lo Stato irlandese coinvolto come committente per le lenzuola e i panni di esercito e ospedali, commesse per le quali le suore ricevevano buoni compensi, soprattutto a fronte di una mano d’opera che non costava nulla oltre al vitto, naturalmente scarso.

La Chiesa declina ogni responsabilità. Gli ordini religiosi non parlano. Nel 2010 il cardinale Sean Brady, allora primate della Chiesa d’Irlanda, oltre a tentare di scusarsi per le vittime della pedofilia – scandalo per il quale fu poi costretto a dimettersi, ricevette una delegazione di Justice for Magdalenes. Davanti alle loro richieste, replicò che l’esposizione dei fatti gli pareva onesta ed equilibrata, poi aggiunse: “Per gli standard di oggi, molto di quel che accadde all’epoca è difficile da comprendere”. E li invitò a capire che il problema non riguardava la Chiesa ma gli ordini religiosi che gestivano le lavanderie. La richiesta d’incontro rivolta da Justice for Magdalenes alla Conference of Religious of Ireland è stata respinta lo scorso ottobre.

Lo Stato nega il coinvolgimento. Ma anche i tentativi, in corso da anni, di coinvolgere lo Stato irlandese perché promuova un’inchiesta e assicuri un compenso alle sopravvissute, oltre a sostenere la loro causa verso la Chiesa, non hanno avuto risultati. Lo scorso 24 maggio, interrogato a Ginevra dal Comitato contro le torture delle Nazioni Unite in rappresentanza del governo irlandese, Sean Aylward, segretario generale del dipartimento della Giustizia e capo della delegazione convocata dall’Onu, ha replicato negando tutto. Secondo lo Stato irlandese, gli abusi sono avvenuti “tanto tempo fa e in istituzioni private”, il dipartimento non ha mai ricevuto denunce in materia, la maggior parte delle donne è entrata volontariamente nelle lavanderie o, se minorenne, con il consenso dei parenti o di chi ne aveva la tutela. Inoltre, una sola lavanderia, a Dublino, sarebbe stata usata dallo Stato come centro di carcerazione preventiva, solo per pochi giorni alla volta e inoltre con ispezioni che non riscontrarono abusi. Il governo, ha concluso Aylward, sta comunque considerando la maniera in cui affrontare il problema. Come l’Irlanda ripete da tempo, ma senza risolversi ad agire, perlomeno fino alla convocazione da parte del Comitato contro le torture Onu.

Si aspetta giustizia.
 Ora, come negli ultimi 18 anni, attendono giustizia sia quelle poche che hanno saputo denunciare, sia tutte le altre di cui nessuno sa quante siano: le molte rimaste in silenzio per paura e quelle, prive di mezzi, costrette a vivere ancora nelle congregazioni. Ci sono i corpi di quante morirono, ma non hanno una lapide. E ci sono i figli di quelle Maddalene imprigionate perché gravide o già mamme da nubili. Un altro numero imprecisato: quello dei bambini che grazie alle lavanderie della redenzione non hanno mai conosciuto le loro madri.

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http://www.repubblica.it/solidarieta/cooperazione/2011/06/04/news/le_30_mila_lavandaie_irlandesi_schiavizzate_e_nessuno_che_chiede_almeno_scusa-17220017/

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