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Vaticano, Pell e le altre grane giudiziarie della Santa Sede

Rete L'ABUSO by Rete L'ABUSO
1 Aprile 2018
in Mondo
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Se il tribunale di Melbourne è chiamato a decidere se rinviare o meno a giudizio il porporato accusato di abusi sessuali, a Roma continua il procedimento Caloia. Mentre i bilanci della Santa Sede sono in un limbo. Il punto. 

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nelle mani di una giudice, l’australiana Belinda Wallington del tribunale di Melbourne, Stato di Victoria, almeno un pezzo del futuro delle finanze vaticane. Sarà infatti lei a dover decidere se avrà luogo o meno il processo contro il cardinale George Pell, 76 anni, accusato di aver commesso abusi sessuali su minori nella seconda metà degli Anni 90, quando era arcivescovo di Melbourne, e ancora molti anni prima, all’epoca in cui operava nella diocesi di Ballarat, località di cui è originario.

LA SEGRETERIA PER L’ECONOMIA SENZA GUIDA. Il fatto è che Pell, fino a poco meno di un anno fa, si trovava alla guida della Segreteria per l’Economia del Vaticano, il nuovo dicastero della Curia romana incaricato di garantire una gestione corretta, trasparente ed efficiente delle risorse finanziarie di ogni organismo della Santa Sede e di chiudere la lunga stagione dell’opacità o, più semplicemente, della confusione finanziaria. Papa Francesco ha spedito il suo ‘ministro’ in Australia a rispondere delle gravi accuse che lo riguardavano, lo ha sospeso dall’incarico senza nominare un sostituto.

OCCHI PUNTATI AL 17 APRILE. Dal 5 al 29 marzo davanti al Tribunale dello Stato di Victoria, nel frattempo, si sono svolte numerose udienze – in gran parte a porte chiuse – durante le quali sono stati ascoltati più di 50 testimoni e ora si attende la decisione del giudice Wallington. Il 17 aprile accusa e difesa presenteranno le loro conclusioni e successivamente il magistrato dovrà prendere una decisione: o valuterà che vi siano sufficienti elementi per far proseguire il processo, oppure il procedimento si concluderà. Un’ipotesi, quest’ultima, che non è così remota.

LE CARTE DELLA DIFESA. Le testimonianze contro Pell, che fanno riferimento a fatti molto lontani negli anni, non sempre sono coerenti, ma soprattutto la difesa del cardinale contesta una certa volontà persecutoria nei suoi confronti da parte degli investigatori, tradottasi nell’omissione di elementi che potevano indebolire l’impianto accusatorio. Inoltre, ci sono una serie di testimonianze importanti a favore del cardinale. D’altro canto è pure emerso che un’indagine sull’alto prelato australiano era iniziata già nel 2013, segno che un lungo e complesso lavoro giudiziario è stato portato avanti.

Pell, per altro, era stato ascoltato negli anni scorsi da una commissione d’inchiesta governativa australiana che ha ricostruito i casi di abusi sessuali sui minori in vari ambiti educativi, compresa la Chiesa. Ne era emerso un quadro sconcertante, in particolare per le responsabilità del clero nell’arco di diversi decenni.

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IL LIBRO SCANDALO. In quel frangente il cardinale era stato chiamato in causa, insieme con altri prelati, per aver insabbiato casi anche gravi di violenze. A far da detonatore alle accuse rivolte questa volta direttamente al cardinale, era stato, giusto un anno fa, un libro della giornalista Louise Mulligan, The Cardinal: The Rise And Fall of George Pell (Il cardinale: ascesa e caduta di George Pell) nel quale si faceva riferimento a presunti abusi da parte di Pell su due coristi nella cattedrale di St. Patrick a Melbourne a metà degli Anni 90.

UN CASO CONTROVERSO. Il caso, dal punto di vista giudiziario, appare piuttosto controverso. Settori dell’opinione pubblica hanno contestato la campagna condotta contro il cardinale da parte di alcuni media e commentatori; sul fronte opposto si sostiene che l’ex arcivescovo di Melbourne e Sydney deve rispondere dei propri comportamenti. Il clima generale non è certo favorevole al porporato australiano che, per altro, si è dichiarato sempre innocente in modo deciso. A suo favore gioca il fatto che non si sia sottratto al processo e che in questi anni abbia sempre risposto alle sollecitazioni delle autorità australiane. Tuttavia una parte significativa della verità risiede nel valore delle testimonianze ascoltate nelle ultime settimane dalla corte.

IL LIMBO DEI BILANCI VATICANI. In ogni caso, se il giudice Wallington deciderà che non ci sono elementi sufficienti per processare il cardinale, potremmo assistere a un colpo di scena clamoroso. E cioè il ritorno di Pell in Vaticano. Il porporato, infatti, avrebbe manifestato, anche in questi giorni, la volontà di portare a termine il suo lavoro alla guida della Segreteria per l’Economia. Al contrario la decisione di un rinvio a giudizio costituirebbe la fine della carriera di Pell ai vertici vaticani e della Chiesa. A quel punto è probabile che Papa e Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, procedano alla scelta di un nuovo prefetto per il dicastero economico della santa Sede. Il tempo perso, infatti, è già molto, senza contare la turbolenta uscita di scena di Libero Milone, ex revisore generale dei conti vaticani, accusato di aver indagato indebitamente su alcune personalità di alto rango della Chiesa (Milone ha replicato di aver operato cercando di portare avanti la politica di trasparenza finanziaria). L’unica certezza è che i nuovi bilanci vaticani, redatti in base a principi contabili aggiornati, restano sepolti in qualche limbo.

Sul fronte processuale ci sono però anche altre novità di rilievo in arrivo. Il 9 maggio, infatti, prenderà il via il procedimento – interno al Vaticano questa volta – contro Angelo Caloia, presidente dello Ior per un ventennio, dal 1989 al 2009. Gli succedette Ettore Gotti Tedeschi che restò in carica per altri tre anni, fino al 2012, quando si dimise per contrasti con il board laico dell’istituto e con il Segretario di Stato Tarcisio Bertone.

IL VENTENNIO DI CALOIA ALLO IOR. Caloia è stato un protagonista della finanza ‘bianca’ italiana. La sua storia allo Ior è legata a una fase di riorganizzazione della banca vaticana dopo gli anni drammatici degli scandali del Banco Ambrosiano, di Michele Sindona, Roberto Calvi e monsignor Paul Marcinkus. Ma le cronache – come il lavoro di riforma avviato in questi anni nei sacri palazzi – hanno raccontato come pure nel ventennio di Caloia l’istituto non sia stato un modello di trasparenza finanziaria, anzi. L’ex presidente dello Ior è stato accusato – insieme con l’ex direttore generale dello ior Lelio Scaletti, scomparso qualche anno fa, e l’avvocato Gabriele Liuzzo – di peculato e autoriciclaggio.

L’AVVERTIMENTO DEL MONEYVAL. In breve, i tre, dal 2001 al 2008, avrebbero svenduto pezzi importanti del patrimonio immobiliare dello Ior per ricomprarli tramite società fittizie a loro riconducibili e rivendere gli stessi immobili a prezzo di mercato (per un guadagno – e un danno per l’istituto – di circa 60 milioni di euro). Nel 2014, mentre era iniziata l’opera di revisione dei conti dello Ior, secondo l’accusa circa 17 milioni derivanti da quell’operazione sarebbero stati bloccati, da lì la denuncia interna. L’indagine ha un suo valore perché ha coinvolto altre giurisdizioni oltre quella vaticana, tuttavia il processo Caloia, come altri relativi a indagini per riciclaggio, si è rimesso improvvisamente in moto in seguito all’avvertimento che Moneyval – l’organismo vigilante su riciclaggio e finanziamento al terrorismo del Consiglio d’Europa – ha lanciato al Vaticano.

IN GIOCO LA CREDIBILITÀ VATICANA. Nel suo ultimo rapporto risalente al dicembre scorso, Moneyval ha elogiato la normativa antiriciclaggio della Santa Sede ma ha chiesto soprattutto di passare dalle parole ai fatti visto che in questi anni non è stato avviato dalle autorità vaticane alcun processo in materia di contrasto al riciclaggio di denaro. Da qui l’accelerazione sul caso Caloia – pure annunciata dal promotore di giustizia vaticano, Gian Piero Milano in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario un paio di mesi fa – che languiva da qualche anno. Quel che è certo è che si tratta di un procedimento delicato, ne va infatti della credibilità finanziaria e giudiziaria internazionale del Vaticano.

LA CONDANNA DI CIPRIANI E TULLI. Infine, sempre a febbraio, è arrivata la condanna del tribunale vaticano di Paolo Cipriani e Massimo Tulli, rispettivamente ex direttore generale dello Ior e il suo vice, per “mala gestione”. I due erano già stati condannati esattamente un anno prima dal tribunale di Roma per violazione della normativa antiriciclaggio.

http://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2018/04/01/vaticano-finanze-pell-caloia-ior-santa-sede-papa-francesco/219116/

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