Due giorni fa Ladaria è stato nominato da papa Francesco prefetto della Congregazione della Fede. Al posto del tedesco Muller, considerato da Bergoglio troppo timido nella lotta alla pedofilia. Ma il nuovo capo dell’ex Sant’Uffizio nel 2012, davanti a un sacerdote maniaco appena spretato, in un decreto ordinò il silenzio «per evitare scandalo tra i fedeli». Così l’orco violentò indisturbato altri bambini. L’esclusiva Espresso-Repubblica
Andiamo con ordine. Sappiamo che Don Trotta viene messo sotto processo in Vaticano nel 2009. Sappiamo anche che della vicenda non trapelò nulla e che Ladaria, segretario della Congregazione dal 2008 fino alla promozione di queste ore, e il suo superiore di allora, il prefetto William Levada, firmarono il decreto che condannò don Trotta alla pena massima, cioè la messa in stato laicale, per abusi sessuali su minori. Il documento venne inviato, presumibilmente, ai superiori dell’orco, che apparteneva alla congregazione della Piccola Opera della Divina Provvidenza, e risiedeva nel vescovato di Lucera, vicino Foggia.
Per il Vaticano Trotta è ufficialmente un pedofilo, ma nessuno si prende la briga di denunciarlo alle autorità italiane. I cardinali Ladaria e Levada scelgono un’altra strada. Nel documento, dopo aver comunicato che «Don Gianni Trotta è colpevole di delitti con minori contro il sesto comandamento» e che «Il Sommo Pontefice papa Benedetto XVI ha deciso con suprema e inappellabile sentenza che per il bene della Chiesa sia da irrogare la dimissione dallo stato clericale e dalla Piccola Opera della Divina Provvidenza», aggiungono che «ordinario faccia in modo per quanto possa, che la nuova condizione del sacerdote dimesso non dia scandalo ai fedeli». Un invito, in pratica, all’omertà.
Vero che nella missiva l’attuale prefetto Ladaria e il suo ex capo aggiungono che «l’ordinario», ossia coloro che avevano potestà diretta su don Trotta, avrebbe potuto rompere il patto dell’acquiescenza solo davanti a un nuovo «pericolo di abusi su minori», e che in quel caso si poteva «divulgare la notizia della dimissione, nonché il motivo canonico sotteso». Ma si tratta di una postilla pilatesta: invece di denunciare il pedofilo alla magistratura, il nuovo capo della Congregazione per la Dottrina della Fede spostava infatti ogni responsabilità di vigilanza sull’istituto di appartenenza del maniaco. Un controsenso, visto che il vescovo, il parroco e il superiore dell’Ordine non hanno più alcuna influenza su un sacerdote ormai spretato. Trotta decice di restare nel paesino, riciclandosi come allenatore di piccoli calciatori. Nessuno delle famiglie sa della sentenza, perché la curia e l’istututo tacciono.
Dal 2012 al 2014 oltraggia così (almeno secondo le accuse) una decina di ragazzini, tra pulcini delle giovanili e bimbe perseguitate in chat. Gianni distrugge in pratica la vita di un’intera generazione del borgo. Solo nell’aprile del 2015, grazie alla denuncia dei genitori di un bimbo di prima media che aveva trovato finalmente il coraggio di parlare, l’ex don viene arrestato per ordine di un pm di Bari, Simona Filoni. A luglio del 2016 Trotta è stato condannato in primo grado a otto anni di carcere per la violenza sul dodicenne, e tra qualche giorno inizierà un nuovo processo per gli abusi sugli altri bambini. «Se la Congregazione e la curia locale avessero denunciato alle autorità il sacerdote invece di scegliere la strada del silenzio, i piccoli sarebbero stati salvati dall’orrore: noi l’avremmo fermato», chiosa un investigatore che segue il caso.
Una scelta, quella di Ladaria e Levada, che è discutibile sotto il profilo etico, ma che resta impeccabile sotto il profilo canonico. La decisione inoltre è permessa dalla legge: grazie ai Trattati lateranensi in Italia gli ecclesiastici non hanno l’obbligo di denunciare le condotte dei loro sottoposti, anche se queste hanno rilevanza penale. L’opzione del silenzio, infine, permette oggi il solito scaricabarile. «Io non sapevo nulla di Trotta» ha spiegato il vescovo dell’epoca Domenico Cornacchia. Di certo c’è il dolore dei sopravvissuti, e il fatto che il nuovo prefetto voluto da Francesco forse avrebbe potuto salvare qualche bimbo, se solo avesse anteposto gli interessi dei più deboli a quelli della Chiesa.