La vicenda del cardinale Pell, incriminato per abusi sessuali, e le politiche incompiute in difesa dei minori
Con perfetta sincronia da sceneggiatura e montaggio alternato, tipica di un thriller hollywoodiano, mentre il cardinale George Pell faceva ingresso in sala stampa e prendeva posto al microfono, trafitto dai flash dei fotografi, a pochi metri gli altoparlanti della piazza diffondevano a tutto volume l’Alleluia diHaendel, offrendo una improbabile colonna sonora e dando voce, involontariamente ma verosimilmente, a un mal celato entusiasmo di curia, che trasuda sul volto accaldato di non pochi porporati, per la caduta del gigante australe.
Poi qualcuno deve essersi accorto della gaffe e lo speaker, in attesa dell’arrivo di Bergoglio per la celebrazione dei Santi Pietro e Paolo, è passato sobriamente alla recita dei misteri del rosario: comunque gloriosi.
Benvenuti sul set della Vatileaks infinita, dove la realtà supera da tempo qualunque immaginazione, tra un pontefice dimissionario e un successore rivoluzionario.
Alle 9,30, quando è cominciata la liturgia, l’afa stringeva già in una morsa la città dei papi, sotto la cappa di un cielo plumbeo: atmosfera pesante, non solo meteorologica, in grado d’infondere un presagio vagamente luciferino nei retro-pensieri delle menti più facilmente impressionabili.
“Portae inferi non prevalebunt”, ha subito intonato la Schola Cantorum, a mo’ di esorcismo rassicurante. Né l’adagio evangelico, tuttavia, né la lontananza di Melbourne, situata notoriamente, materialmente all’altro capo del mondo, fugavano la sensazione che a trovarsi sul banco degli imputati, dal 18 luglio, data d’inizio del processo, sarà l’intera Chiesa, sotto il tiro e i riflettori del media system anglosassone, in un colossale regolamento dei conti, dagli esiti esponenziali e imprevedibili. Con speciale riguardo all’impianto della Commissione Pontificia per la Tutela dei Minori, dopo la defenestrazione, in un caso, e defezione, nell’altro, delle due figure più simboliche, abusate in gioventù entrambe: l’inglese Peters Saunders, posto “in aspettativa” per avere chiesto le dimissioni di Pell; e la irlandese Mary Collins, che ha compiuto al contrario un passo indietro, rassegnata e indignata, dopo l’impatto, frustrante, con il muro di gomma della Congregazione per la Dottrina della Fede.
In “aspettativa” è da oggi anche Pell, il quale vede ampliarsi, nell’Orbe, l’outback e terra bruciata delle critiche nei suoi confronti, mentre si è progressivamente ristretto, in Urbe, l’ambito di prerogative un tempo amplissime.
A seguito del Motu Proprio Fidelis Dispensator et Prudens, il “canguro” aveva in effetti beneficiato nel febbraio del 2014 di un balzo istituzionale senza precedenti, ottenendo di rapportarsi direttamente al Papa e collocandosi de facto sullo stesso piano del Segretario di Stato: al punto che in termini del diritto costituzionale comparato si potrebbe parlare di un regime, unico al mondo, con due primi ministri.
Da quel momento Pell è assurto al rango di nemico pubblico, riuscendo nell’impresa di compattare contro di sé le diverse correnti ecclesiali. E ingaggiando altresì, su terreni scivolosissimi, una serie di duelli personali: con il cardinale Francesco Coccopalmerio, giurista meneghino, artefice degli statuti dei nuovi organismi e abile ad imbrigliarlo come un Gulliver a Lilliput, in un groviglio estenuante di lacci e laccioli. Con il “socialdemocratico” Reinhard Marx, Coordinatore del Consiglio per l’Economia, solerte a sventare in extremis sul tavolo del Pontefice il suo tentativo di costituire una SICAV, società d’investimento a capitale variabile con sede in Lussemburgo, ravvisandovi lo start della deriva verso forme di speculazione finanziaria, notoriamente aborrite da Bergoglio. Con il Cardinale Parolin e il suo vice, arcivescovo Angelo Becciu, che hanno sospeso il diktat con cui lo zar (altro soprannome di Pell) autorizzava PricewaterhouseCoopers, proprio consulente strategico, ad accedere no-limit ai bilanci di 120 enti vaticani.
E infine con il bertoniano, poi bergogliano, Domenico Calcagno, presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, spogliato dapprima e quindi reintegrato, con il Motu Proprio del 4 luglio 2016, nella gestione del patrimonio immobiliare. Un provvedimento che ha ridimensionato George Pell da ministro “con” a senza “portafoglio”. Retrocedendo il “ranger” dal posto del guidatore a quello di controllore, sull’autobus delle finanze papali, e proclamando la summa divisio tra vigilanza e amministrazione.
E’ stato proprio nei confronti dell’APSA che il cardinale, 90 chili di stazza per un metro e novanta di altezza, figlio del campione australiano dei pesi massimi, ha menato a vuoto, in maggio, l’ultimo fendente: sottoscrivendo una lettera congiunta con il Revisore Generale, Libero Milone, nel frattempo dimissionario (dimissionato?) e denunciando l’ennesima, presunta invasione di campo.
“Sono innocente, considero l’idea stessa di abuso sessuale un crimine orribile. La notizia delle accuse ha rafforzato la mia determinazione e il processo giudiziario mi darà l’opportunità di difendere il mio nome e tornare al mio lavoro a Roma”.
Dal Colle Vaticano, che in questi anni ha sovente trasformato in un ring e in cui non prenderà più parte a cerimonie sino a quando la sua posizione non sarà chiarita, il “peso massimo” della Chiesa si accinge adesso a montare sulla pedana più ostica, sebbene casalinga, della sua vita. Dove in palio c’è la corona dell’onore. Mentre su di lui, nell’attesa del verdetto, grava come un countdown la formula di rito, che marca di provvisorietà, e precarietà, il prosieguo del suo mandato. Riservando al Papa, in ogni momento, e a seconda degli eventi, la facoltà di procedere ad altra designazione: “Donec aliter provideatur”.
http://www.huffingtonpost.it/2017/06/29/il-processo-che-rischia-di-trascinare-sul-banco-degli-imputati-l_a_23008562/
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