L’AUTORE: Annamaria Zarrelli
I preti pedofili non hanno diritto ad alcuno sconto di pena, nemmeno quando agiscono «al di fuori del sacerdozio».
Se gli abusi su un minore sono commessi da un sacerdote, la pena sarà aggravata e ciò vale anche quando la violenza sia perpetrata al di fuori della funzioni del ministero e del cultosacerdotale o in ambiti che esulino da quelli propri della realtà parrocchiale. A confermarlo è stata la Corte di Cassazione che, con una recentissima sentenza, [1] ha fatto ulteriore chiarezza sul punto.
La pedofilia è un abominio. È vero, il pedofilo può non essere un assassino e, a dirla tutta, si tratta spesso di personalità apparentemente “pie”, soggetti “dall’aria buona”, che non farebbero male ad una mosca. Il pedofilo il più delle volte non è un omicida, ma uccide comunque. Uccide ciò che di più vulnerabile ed innocente ci sia al mondo: l’animo di un bambino. Anche il più spietato degli “Avvocati del diavolo” avrebbe serie difficoltà a difendere un pedofilo, figuriamoci un pedofilo che sia anche un prete.
Per queste ragioni, quanto meno “confortante” è da ritenersi la citata sentenza depositata dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione il 17 gennaio scorso.
Detta sentenza ha il “merito” di inasprire la punizione per il prete pedofilo, il quale non potrà più tentare di “alleggerire” la sua posizione asserendo che al momento dell’abuso non stava agendo in quanto prete, ma in quanto “comune mortale cittadino”.
Ma facciamo un passo indietro per comprendere.
Il nostro codice penale prevede, tra le circostanze che aggravano la pena, quella del c.d. “abuso di potere”[2]. Se un soggetto, dunque, nel compiere un reato abusa e, quindi, si approfitta dei propri poteri, della figura che rappresenta o della qualifica che ricopre, la sua pena sarà aumentata.
La predetta circostanza aggravante, precisamente sussiste quando il fatto è stato commesso «con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero nella qualità di ministro di un culto».
Ciò detto, ci si potrebbe porre le seguenti domande.
Cosa succede se un prete abusa di un ragazzino nel momento in cui non sta esercitando le funzioni ed i servizi del suo ministero? Si applicherà lo stesso l’aggravante, o il sacerdote potrà sperare in una pena “più mite”?
Ebbene, la Cassazione è stata molto chiara al riguardo. Il prete che si rende colpevole di reati sessuali risponde in maniera aggravata sempre e comunque.
L’aggravante, infatti, si applicherà sia quando il sacerdote abbia agito nell’espletamento delle funzioni del culto (si pensi agli abusi commessi durante la confessione di un bambino) sia quando la qualità sacerdotale abbia solo agevolato la commissione del delitto.
Più precisamente, a detta dei giudici «nei reati sessuali, è configurabile l’aggravante dell’abuso dei poteri o della violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di culto, non solo quando il reato sia commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero sacerdotale, ma anche quando la qualità sacerdotale abbia facilitato il reato stesso, essendo il ministero sacerdotale non limitato alle funzioni strettamente connesse alla realtà parrocchiale, ma comprensivo di tutti quei compiti riconducibili al mandato evangelico costitutivo dell’ordine sacerdotale».
Va di fatti sottolineato – come afferma la giurisprudenza unitaria – che, considerata anche la dottrina cattolica contemporanea, il ministero sacerdotale non si estrinseca solo nell’ambito delle funzioni strettamente connesse alla realtà parrocchiale, ma è comprensivo di tutti quei compiti riconducibili al mandato evangelico connotante l’ordine sacerdotale. Sono quindi ricomprese, per esempio, anche le attività svolte a servizio della comunità, quelle ricreative, di assistenza, di missione e di aiuto psicologico ai fedeli, «ivi comprese le relazioni interpersonali che il sacerdote intraprenda in occasione dello svolgimento di tali attività».
In conclusione, afferma la Cassazione, «in tema di aggravante dell’abuso dei poteri o della violazione dei doveri inerenti alla qualità di ministro di culto, non è necessario che il reato sia commesso nella sfera tipica e ristretta delle funzioni e dei servizi propri del ministero sacerdotale, ma è sufficiente che a facilitarlo siano serviti l’autorità ed il prestigio che la qualità sacerdotale, di per sé, conferisce e che vi sia stata violazione dei doveri anche generici nascenti da tale qualità».
D’altronde, un prete resta pur sempre un prete e quando agisce contro un bambino non ci può essere giustificazione legale che regga (quasi verrebbe da dire, «non c’è Santo che tenga …»).
Un prete pedofilo non ha diritto ad alcuno sconto di pena, nemmeno se la violenza avvenga «fuori dal sacerdozio».
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