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Il braccio destro di papa Francesco è accusato da molte vittime e sopravvissuti di aver protetto i sacerdoti che avevano compiuto abusi sui bambini quando era in servizio in Australia. Tra lussi sfrenati e un passato ingombrante, ecco chi è il porporato chiamato a Roma da Bergoglio per fare trasparenza nei conti del Vaticano
«Il mio predecessore Little ha nascosto le lettere di denuncia delle vittime? Di certo in alcune occasioni non ha agito come avrebbe dovuto. Io ho ancora il pieno sostegno del papa».
Eppure è noto che i rapporti tra i due siano peggiorati già un anno fa, quando qualcuno inviò al papa tutte le voci di spesa della neonata segreteria per l’Economia, che Bergoglio aveva affidato qualche mese prima proprio a Pell, il cardinale chiamato dall’Australia per raddrizzare usi e abitudini nefaste della curia che ha spadroneggiato durante l’era di Benedetto XVI. Bergoglio inforcò gli occhiali, scorse la lista, una ventina di pagine fitte di numeri e fatture, e raggiunta l’ultima pagina scosse la testa sconsolato: il suo protetto – oltre alle beghe australiane – aveva investito centinaia di migliaia di euro per voli in business class, vestiti su misura, mobili di pregio, perfino per un sottolavello da 4600 euro.
Un elenco di spese pazze che ha raggiunto per appena sei mesi di attività del nuovo dicastero un totale di oltre mezzo milione di euro. Il prelato venuto da Melbourne per mettere a posto i conti del Vaticano, però, non ha battuto ciglio di fronte ai mugugni. E a chi lo criticava ha risposto secco di fidarsi di lui, di aver comprato solo quello che serviva per il suo lavoro. Eppure le carte raccontate in anteprima da “L’Espresso” e poi pubblicate integralmente nel libro inchiesta “Avarizia” parlano chiaro, e Oltretevere sono in tanti a essere rimasti di stucco davanti alle uscite del centro di costo del ministero (numero D70000) nato con l’obiettivo dichiarato di moralizzare il corrotto clero di Roma.
Da luglio 2014 a gennaio 2015 gli esborsi hanno infatti toccato i 501 mila euro, tra computer, stampati interni, stipendi monstre per amici degli amici, vestiti messi in conto al Vaticano, affitti, biglietti aerei, arredi di lusso e tappezzeria su misura. Non male, per un ente che non era ancora operativo (gli statuti sono stati approvati solo il 22 febbraio 2015) e per un ufficio dove lavoravano appena tre persone. Per fare un confronto, il neo consiglio per l’Economia ha speso nello stesso periodo 95 mila euro, meno di un quinto, nonostante sia composto da ben 15 membri. Le cifre sono un paradosso per chi, come Pell, in un rapporto interno sulle “Politiche di Financial Management” ha invitato gli altri cardinali a capo di ministeri vaticani a “rafforzare il processo di pianificazione affinché le risorse economiche siano destinate alla missione della Chiesa secondo criteri di efficienza, efficacia e una gestione saggia e ragionevole delle risorse”.
Il primo atto di George è stato quello di assumere il suo economo personale, Danny Casey, con un appannaggio da 15 mila euro al mese. Esentasse, naturalmente. Il monsignore per il suo commercialista di fiducia vuole il meglio. Così la segreteria gli ha pure affittato una casa da 2900 euro al mese a via dei Coronari e ha pagato arredi di qualità per l’ufficio e per l’abitazione: le tabelle segnano alla voce “tappezzeria” 7292 euro, quasi 47 mila euro per “mobili e armadi” (tra cui il “sottolavello” da 4600 euro), oltre a lavoretti vari da 33 mila euro.
Spulciando i rendiconti di spesa si scopre che il cardinale (o uno dei suoi segretari) ha messo in nota spese anche gli acquisti fatti al negozio Gammarelli, sartoria storica che dal 1798 veste la curia della città eterna: in genere i porporati pagano di tasca loro tuniche e berretta, ma stavolta la segreteria ha fatturato direttamente abiti per 2508 euro. Il nuovo boss del Vaticano non ha risparmiato nemmeno per i viaggi. Il “Ranger” per andare da Roma a Londra lo scorso 3 luglio ha speso 1103 euro. Un prezzo da business class.
Quando vola, il cardinale al lusso non rinuncia mai: quattro giorni dopo si è fatto rimborsare dal suo ministero un volo Roma-Dresda, in Germania, da 1150 euro, un altro per Monaco da 1238, mentre lo scorso settembre la Scuola dell’Annunciazione del Devon, di cui l’ultraconservatore è diventato “patrono”, ha dovuto sganciare per un Roma-Londra 1293 euro. Pell e Casey si accomodano in business anche quando devono partire per Malta, dove vanno ad ascoltare i consigli del finanziere Joseph Zahra. Ma sono tutti gli uomini vicini al cardinale a volare in business, da lord Christopher Patten (ex presidente della Bbc che dovrebbe riformare la comunicazione della Santa Sede) all’industriale di Singapore George Yeo, membro della Commissione per la riforma del Vaticano.
“Su Pell, Bergoglio ha preso un granchio colossale”, è il refrain ripetuto all’ombra delle sacre mura. “L’avevamo avvertito subito dell’inchiesta sulla pedofilia in Australia. Lui ha fatto di testa sua. Così, mentre da un lato il papa ha fatto arrestare l’ex nunzio polacco Józef Wesolowski, accusato di pedofilia (poi deceduto a fine agosto del 2015), abbiamo Pell che paragona i preti maniaci ai camionisti che molestano le autostoppiste. È imbarazzante.”
L’ex vescovo di Melbourne e di Sydney (che Bergoglio ha voluto prima dentro il C9 – il gruppo dei “magnifici” chiamati a consigliare il pontefice nel governo della Chiesa universale – poi come prefetto del nuovo superministero che gestirà tutte le finanze vaticane) nell’agosto del 2014 è stato interrogato una prima volta dalla Commissione d’inchiesta creata dal governo di Canberra, a causa di alcune decisioni prese quando era arcivescovo, e per lo schema di risarcimenti da lui introdotto a partire dal 1996, il cosiddetto “Melbourne Response”, che stabilì un protocollo con cui la diocesi doveva affrontare ogni caso di pedofilia gli si profilasse davanti.
“In realtà si trattava di un sistema progettato per controllare le vittime, contenere gli abusi e proteggere la Chiesa,” ha spiegato la ricercatrice e editorialista Judy Courtin, che insieme a molti altri osservatori considera le azioni di Pell volte – più che ad aiutare i sopravvissuti – a “minimizzare i reati, occultare la verità, manipolare, intimidire e sfruttare le vittime”. Di certo uno studio di un avvocato australiano, Kieran Tapsell, dimostra che in media le famiglie che hanno accettato lo schema di Pell hanno avuto solo 33 mila dollari australiani (circa 22 mila euro), mentre coloro che hanno ottenuto giustizia attraverso i tribunali ordinari hanno intascato risarcimenti molto più alti, di circa 382 mila dollari. Chiamato a rispondere del suo operato, Pell s’è giustificato paragonando i sacerdoti pedofili ad autotrasportatori e la Chiesa a un’azienda di tir: “Da un punto di vista legale non credo che una compagnia di trasporti possa essere considerata responsabile delle azioni dei suoi camionisti”. Una frase che ha choccato le vittime presenti all’udienza e i giornali di mezzo mondo (tranne quelli italiani, che al tempo non hanno scritto una riga sulla vicenda), provocando un diluvio di polemiche.
Se le persone violentate da preti australiani hanno firmato lettere in cui parlano di “vergogna e oltraggio”, Tapsell ha ipotizzato che il cardinale voglia solo proteggere i soldi della diocesi “nascosti in un trust che controlla immobili” da possibili risarcimenti milionari ordinati dai giudici. Le prime controversie sulla figura di Pell risalgono a oltre dieci anni fa.
Nel 2003, quando Giovanni Paolo II decise di promuoverlo con la porpora, furono molti a biasimare apertamente Wojtyla.
Ultraconservatore, oratore schietto dotato di grande ironia, Pell qualche mese prima era stato infatti costretto ad autosospendersi dalla carica di arcivescovo dopo essere stato accusato di abusi sessuali su un ragazzino di dodici anni. Un’infamia da cui fu scagionato nel 2002 per mancanza di prove. Non solo. Se nel 2008 un’altra presunta vittima incolpò il cardinale di aver coperto un sacerdote maniaco (alcune lettere assai imbarazzanti firmate da Pell furono rese pubbliche da un programma d’inchiesta della tv nazionale Abc), i progressisti ricordano che il presule ex campione di football australiano è stato portato in tribunale anche da un ex chierichetto, John Ellis. Nel 2007 i legali del cardinale furono costretti ad ammettere gli abusi compiuti da un prete poi deceduto, ma riuscirono a convincere la Corte d’Appello che “la Chiesa non esiste come entità legale”. La causa è costata alla diocesi di Pell la bellezza di 750 mila dollari, ma la sentenza ha permesso alla Santa Sede di risparmiare milioni di dollari di risarcimenti.
Difficile battere uno come Pell. Furbo, intelligente e scaltro, è figlio di un barista di Ballarat, città di ottantamila anime a cento chilometri da Melbourne. Affabile con tutti (capacità appresa servendo alcolici dietro il bancone del pub di famiglia), riuscì da bambino a sopravvivere a un tumore al collo, appassionandosi negli anni al football australiano, al canottaggio e al pugilato. Iniziò a frequentare il seminario nel 1960, poi volò a Oxford dove ottenne un dottorato in Storia della Chiesa. Nel 1996 il grande salto, quando viene nominato – su volere della gerarchia vaticana che ne apprezzava l’intransigenza dottrinaria – vescovo di Melbourne. Dopo aver risanato i conti della diocesi grazie all’aiuto del suo economo di fiducia Danny Casey che ora ha voluto con sé a Roma, negli anni si fa notare anche per dichiarazioni sorprendenti: da quelle sui preti pedofili (“È colpa anche del celibato e della diffusione della pornografia”) alle battute sull’Islam (“È una religione guerresca per natura”), fino alle aspre critiche rivolte al dimissionario Benedetto XVI. Ma sono le indagini della Commissione speciale a far finire il nome di Pell sui giornali anglosassoni: davanti ai giudici sono molte le vittime a tirarlo in ballo per i suoi modi spicci e intransigenti.
Tra loro c’è Anthony Foster, padre di due bambine molestate da un prete (una si suicidò, l’altra è su una sedia a rotelle dopo un incidente causato dall’alcolismo) che definì a verbale Pell come un uomo con “una sociopatica mancanza di empatia”. Visto il clima, il ragazzo che nei sogni del padre doveva diventare un medico o un grande avvocato decide che è arrivato il momento di lasciare l’emisfero australe. Nel 2010 prova a trasferirsi a Roma per la prima volta, pregando Ratzinger di nominarlo prefetto della Congregazione per i vescovi. L’operazione non riesce. Arrivato Francesco, l’ex atleta gioca davanti al nuovo papa nuove carte, e si presenta come esperto di finanza in grado di mettere in ordine la babele vaticana: dopo gli scandali, il suo piano di rifondazione dello Ior e dell’Apsa convince Bergoglio, che lo nomina di fatto suo braccio destro. Prima delle deposizioni di questi giorni, le ultime tegole cadute in testa a Pell risalgono all’inizio del 2015: il cardinale amante del buon vino quando era vescovo di Melbourne non avrebbe agito da buon cristiano, negando con forza le accuse delle vittime e offrendo risarcimenti ridicoli in sede civile.
“Pell così facendo voleva scoraggiare altri potenziali querelanti dal citare in giudizio la Chiesa per abusi sessuali,” si legge sul rapporto preliminare della Commissione nazionale d’inchiesta sulla pedofilia voluta dal governo australiano. “Il prelato mancò di agire equamente da un punto di vista cristiano. L’arcidiocesi preferì difendere il suo patrimonio piuttosto che dare giustizia e compassione”. Ma Pell è stato attaccato anche da Peter Saunders, un laico irlandese abusato da ragazzo, che Francesco in persona ha voluto come membro della neonata Pontificia commissione per la tutela dei minori e che poi è stato allontanato proprio per le critiche rivolte al cardinale: “Personalmente penso che la posizione di Pell sia insostenibile, perché ora ha un catalogo di smentite. Ha ripetutamente denigrato le persone e ha agito con insensibilità, durezza di cuore, in modo quasi sociopatico”.
Anche un vescovo in pensione, Geoffrey Robinson, parlando ai giudici australiani a fine agosto 2015, ha spiegato non solo che in Australia gli abusi venivano coperti sistematicamente e che i preti sospettati erano trasferiti da una parrocchia all’altra, ma che Pell – ideando il Melbourne Response – aveva “distrutto” la possibilità di risposta unitaria della Chiesa nei confronti dello scandalo delle violenze sessuali nel paese. Per replicare alle dichiarazioni giurate di testimoni e vittime, Pell non è volato in Australia per rendere testimonianza giurata, ma ha mandato un comunicato stampa in cui nega di essere stato complice o di aver coperto sacerdoti pedofili.
“I suicidi di tante vittime sono una tragedia enorme, i crimini commessi contro di loro da preti e fratelli sono profondamente malvagi e completamente ripugnanti per me”. È improbabile che Pell perda oggi la poltrona di prefetto della segreteria per l’Economia. Ed è impossibile che possa essere inquisito dal tribunale vaticano, a cui recentemente Francesco ha dato nuovi poteri per perseguire i vescovi insabbiatori. Non solo perché a Roma nessuno ha mosso, nemmeno nei media, critiche formali a Pell, ma perché è stato Bergoglio in persona a promuoverlo prima tra i membri del cosiddetto C9 (il gruppo di cardinali che deve consigliare il papa nel governo della Chiesa universale) e poi prefetto del nuovo dicastero. È probabile che quando compirà 75 anni lascerà l’incarico andando in pensione. Sarebbe difficile per la Chiesa fare marcia indietro dopo le deposizioni di queste ore: i contraccolpi, anche mediatici, rischierebbero di essere devastanti.
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