Pedofilia. La CEI ribadisce la regola dell’omertà: NON DENUNCEREMO PRETI
Le nuove linee guida sugli abusi sessuali del clero sanciscono l’impunità dei preti criminali
Denunciare un prete pedofilo?
Cei: “I vescovi non sono obbligati”
Le linee guida diffuse dalla Conferenza episcopale italiana guidata dal cardinal Bagnasco.
I vescovi non hanno alcun obbligo di denunciare i casi di pedofilia di cui vengono a conoscenza. Questa la sostanza delle linee guida rese note dalla Cei, la Conferenza episcopale italiana presieduta dal cardinal Angelo Bagnasco e per la quale pochi giorni fa monsignor Nunzio Galantino è stato nominato segretario generale.
“Il vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale – si legge nel documento – non ha l’obbligo giuridico, salvo il dovere morale di contribuire al bene comune, di denunciare all’autorità giudiziaria” notizie riguardanti casi di abuso sessuale nei confronti di minore da parte dei sacerdoti.
Le linee guida sono state diramate a due mesi dall’assemblea generale della Cei, che si terrà a maggio e verrà aperta da Papa Francesco.
Venerdì 28 marzo 2014 13.27
Venerdì 28 Marzo 2014
Recepite le indicazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede
Abusi sessuali, ecco le Linee guida
All’esito dell’iter di elaborazione e valutazione delle Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici, predisposte a approvate dalla CEI sulla base delle indicazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede, venerdì 28 marzo viene pubblicato il testo definitivo (in allegato).
L’iter delle Linee guida
Con lettera circolare del maggio 2011 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha fornito alcune indicazioni per i casi di abusi sessuali perpetrati da chierici ai danni di minori e ha invitato le Conferenze episcopali a predisporre su questa base, entro maggio 2012, delle proprie «linee guida», che tenessero “in considerazione le situazioni concrete delle giurisdizioni appartenenti alla Conferenza Episcopale”.
Facendo seguito a tali indicazioni è stato predisposto un testo di Linee guida della CEI, la cui prima bozza è stata presentata e discussa nel corso del Consiglio Permanente di settembre 2011; successivamente, tenuto conto delle indicazioni emerse nel dibattito, è stato preparato il testo delle Linee guida che ha ricevuto l’approvazione del Consiglio Episcopale Permanente della CEI nella sessione di gennaio 2012 e dell’Assemblea Generale nel maggio 2012. Questo testo – che non presenta carattere giuridicamente vincolante e quindi non necessita della recognitio della Santa Sede – è stato trasmesso alla Congregazione per la Dottrina della Fede con lettera del 27 maggio 2012 .
Con successiva comunicazione del 7 maggio 2013, la stessa Congregazione trasmetteva alla Conferenza episcopale italiana alcune osservazioni e suggerimenti circa il testo delle Linee guida predisposto dalla Conferenza.
Recependo tali indicazioni e suggerimenti, la Conferenza Episcopale Italiana ha provveduto a rivedere le disposizioni del testo originario ed a riformulare i periodi segnalati così come richiesto; il testo così rivisto è stato presentato al Consiglio permanente della CEI del gennaio 2014 e quindi trasmesso alla Congregazione con comunicazione del 13 febbraio 2014.
CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
LINEE GUIDA
PER I CASI DI ABUSO SESSUALE
NEI CONFRONTI DI MINORI
DA PARTE DI CHIERICI
Gennaio 2014
LINEE GUIDA PER I CASI DI ABUSO SESSUALE NEI CONFRONTI DI MINORI DA PARTE DI CHIERICI
SOMMARIO
Premessa pag. 1
I. Profili canonistici pag. 2
II. Profili penalistici e rapporti con l’autorità civile pag. 5
III. Il servizio della Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana pag. 7
ALLEGATI pag. 8
Premessa
Il triste e grave fenomeno degli abusi sessuali nei confronti di minori da parte di chierici sollecita un rinnovato impegno da parte della comunità ecclesiale, chiamata ad affrontare la questione con spirito di giustizia, in conformità alle presenti Linee guida.
In quest’ottica, assume importanza fondamentale anzitutto la protezione dei minori, la premura verso le vittime degli abusi e la formazione dei futuri sacerdoti e religiosi.
Il Vescovo che riceve la denuncia di un abuso deve essere sempre disponibile ad ascoltare la vittima e i suoi familiari, assicurando ogni cura nel trattare il caso secondo giustizia e impegnandosi a offrire sostegno spirituale e psicologico, nel rispetto della libertà della vittima di intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà più opportune.
Una speciale cura deve essere posta nel discernimento vocazionale dei candidati al ministero ordinato e delle persone consacrate, nell’iter di preparazione al diaconato e al presbiterato. Piena osservanza deve essere assicurata alle previsioni contenute nel Decreto generale circa la ammissione in seminario di candidati provenienti da altri seminari o famiglie religiose della Conferenza Episcopale Italiana (27 marzo 1999), riservando una rigorosa attenzione allo scambio d’informazioni in merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all’altro, tra diocesi diverse o tra Istituti religiosi e diocesi.
Il Vescovo tratterà i suoi sacerdoti come un padre e un fratello, curandone la formazione permanente e facendo in modo che essi apprezzino e rispettino la castità e il celibato e approfondiscano la conoscenza della dottrina della Chiesa sull’argomento.
In linea con quanto richiesto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nella Lettera circolare per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici del 3 maggio 2011, il presente testo è diretto a facilitare la corretta applicazione della normativa canonica vigente in materia nonché a favorire un corretto inquadramento della problematica in relazione all’ordinamento dello Stato (1).
I. PROFILI CANONISTICI
- Notizie di condotte illecite e giudizio di verosimiglianza
Quando il Vescovo abbia notizia di possibili abusi in materia sessuale nei confronti di minori ad opera di chierici sottoposti alla sua giurisdizione, deve innanzitutto procedere ad espletare gli accertamenti di carattere strettamente preliminare di cui al can. 1717 del codice di diritto canonico (2) [di seguito CIC] relativi alla verifica della verosimiglianza della notitia criminis, affidando il relativo incarico, qualora fosse ritenuto giusto ed opportuno, a persona idonea di provata prudenza ed esperienza e curando di tutelare al meglio la riservatezza di tutte le persone coinvolte.
Restano fermi i vincoli posti a tutela del sigillo sacramentale.
Durante tale fase spetta al prudente discernimento del Vescovo la scelta di informare o meno il chierico delle accuse e di adottare eventuali provvedimenti nei suoi confronti affinché si eviti il rischio che i fatti delittuosi ipotizzati si ripetano, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria (3).
Qualora, espletati i summenzionati incombenti preliminari e stimata positivamente la verosimiglianza della notitia criminis, l’indagine previa appaia «assolutamente superflua», il Vescovo potrà deferire il chierico direttamente alla Congregazione per la Dottrina della Fede per le determinazioni del caso (cf. can. 1717, § 1 CIC; art. 17 Normae de delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis seu Normae de delictis contra fidem necnon de gravioribus delictis).
Nel caso in cui invece escluda motivatamente la verosimiglianza della notizia di delitto, il Vescovo potrà emettere un decreto di archiviazione conservando nel suo archivio segreto documentazione idonea a consentirgli di attestare, ove risultasse necessario, l’attività svolta e i motivi della decisione.
- Indagine previa
Nel caso in cui, constatata la non manifesta infondatezza della notitia criminis, il Vescovo proceda allo svolgimento dell’indagine previa, dovrà essere osservato il disposto di cui al can. 1717 CIC. In particolare, qualora il Vescovo non ritenga di dovervi procedere personalmente, nomini a tal fine un presbitero investigatore esperto in materia processuale e prudente nel discernimento, nonché un presbitero con funzioni di Notaio. L’indagine dovrà ricostruire: i fatti della condotta delittuosa, il numero e il tempo degli atti delittuosi, le generalità e l’età delle vittime, il danno arrecato, l’eventuale commistione con il foro sacramentale, gli eventuali altri delitti connessi, quantunque non “graviora”. Nel corso dell’indagine potranno essere raccolti documenti, testimonianze e informazioni, anche rogando il Vescovo di altre diocesi ove l’indagato abbia dimorato; salvaguardata la fama attuale dell’accusato, dovranno essere ascoltati la/e vittima/e e raccolti tutti i documenti e provvedimenti dell’autorità civile, ove sussistenti; per quanto possibile, si dovrà trattare la questione del danno ex bono et aequo ex can. 1718, § 4 CIC.
A meno di gravi ragioni in senso contrario, il chierico accusato sia informato delle accuse e abbia l’opportunità di rispondere alle medesime.
Durante l’indagine previa il Vescovo ha il diritto di adottare, ove lo ritenga necessario affinché si eviti il rischio che i fatti delittuosi si ripetano, provvedimenti nei confronti del chierico accusato ex art. 19 delle Normae de delictis reservatis, ferma restando la presunzione di innocenza fino a prova contraria. A tal fine, il semplice trasferimento del chierico risulta generalmente inadeguato, ove non comporti anche una sostanziale modifica del tipo di incarico.
I provvedimenti eventualmente adottati, venendo meno la causa, devono essere revocati con successivo decreto e, comunque, cessano ipso iure al termine del processo penale (4).
I provvedimenti andranno presi ricercando per quanto possibile la cooperazione del chierico interessato, ma senza detrimento della loro efficacia (5); in ogni caso, l’adozione dei provvedimenti non potrà essere subordinata al consenso del chierico (6).
Specie ove l’addebito delle condotte in oggetto non sia notorio, dovrà essere adottata ogni idonea cautela intesa a evitare che quei provvedimenti pongano in pericolo la buona fama del chierico. I provvedimenti assunti potranno essere resi pubblici qualora sussistano valide ragioni. Delle attività svolte durante l’indagine previa dovrà essere conservata una completa documentazione, ai sensi del can. 1719 CIC. Terminata l’indagine il Vescovo la renderà nota alla Congregazione per la Dottrina della Fede in base al disposto dell’art. 16 delle Normae de delictis reservatis, così che la stessa Congregazione possa assumere le decisioni conseguenti.
- Procedura a seguito dell’indagine previa
Di norma i delicta graviora devono essere perseguiti «per via giudiziale» (art. 21, § 1, delle Normae de delictis reservatis).
Agli Ordinari è affidato, salvo il diritto della Congregazione per la Dottrina della Fede di avocare a sé la causa ex art. 16 delle Normae de delictis reservatis, il primo grado del processo penale, da compiere secondo le indicazioni del predetto Dicastero, il quale costituisce in ogni caso il Tribunale di seconda istanza. Appare opportuno assicurare in ogni diocesi la presenza di chierici, particolarmente distinti per prudenza ed esperienza giuridica, che possano eventualmente essere chiamati a far parte di un Collegio giudicante. Salvo dispensa della Congregazione per la Dottrina della Fede, tutti i soggetti indicati devono essere sacerdoti provvisti di dottorato in diritto canonico.
Nel caso in cui la Congregazione per la Dottrina della Fede disponga di procedere per decreto extragiudiziale (7), il Vescovo dovrà nondimeno garantire in modo pieno al chierico accusato l’esercizio del diritto fondamentale alla difesa (8).
Le misure canoniche applicate nei confronti di un chierico riconosciuto colpevole dell’abuso sessuale di un minorenne sono generalmente di due tipi: 1) misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori. Tali misure possono essere accompagnate da un precetto penale; 2) pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è la dimissione dallo stato clericale.
Le pene perpetue non possono essere inflitte o dichiarate attraverso decreto extragiudiziale (can. 1342, § 2 CIC), salvo il caso in cui la Congregazione per la Dottrina della Fede abbia previamente autorizzato in tal senso l’Autorità ecclesiastica incaricata tramite mandato ex art. 21, § 2, n. 1 delle Normae de delictis reservatis. In mancanza del predetto mandato, il Vescovo dovrà a tal fine rivolgersi alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che potrà anche far uso del potere di deferimento della decisione al Sommo Pontefice, secondo la previsione dell’art. 21, § 2, n. 2 delle Normae de delictis reservatis.
La Congregazione per la Dottrina della Fede ha anche la facoltà di portare direttamente davanti al Santo Padre i casi più gravi per la dimissione ex officio.
È opportuno che una documentazione del caso rimanga nell’archivio segreto della Curia (cf. cann. 489, 490, § 1 e 1719 CIC).
In ogni momento delle procedure disciplinari o penali sarà assicurato al chierico un giusto sostentamento, nonché la possibilità di esercitare il fondamentale diritto alla difesa.
Il chierico riconosciuto colpevole potrà attuare un percorso impegnativo di responsabilizzazione e di serio rinnovamento della sua vita, anche attraverso adeguati percorsi terapeutico-riabilitativi e la disponibilità a condotte riparative.
II. PROFILI PENALISTICI E RAPPORTI CON L’AUTORITÀ CIVILE
- Autonomia del procedimento canonico
Il procedimento canonico per gli illeciti in oggetto è autonomo da quello che si svolga per i medesimi illeciti secondo il diritto dello Stato.
Di conseguenza, il Vescovo, da un lato, non può far riferimento ad atti o conclusioni definitive o non definitive del procedimento statale onde esimersi da una propria valutazione e/o per far valere presunzioni ai fini del procedimento canonico. Dall’altro lato, anche se non risulti in atto un procedimento penale nel diritto dello Stato (ricomprendendosi in esso anche la fase delle indagini preliminari), dovrà ugualmente procedere senza ritardo secondo quanto previsto al numero 1 delle presenti Linee guida, ove abbia avuto notizia di possibili abusi, al giudizio di verosimiglianza e, se necessario, all’indagine previa e all’adozione degli opportuni provvedimenti cautelari.
- Cooperazione con l’autorità civile
Nel caso in cui per gli illeciti in oggetto siano in atto indagini o sia aperto un procedimento penale secondo il diritto dello Stato, risulterà importante la cooperazione del Vescovo con le autorità civili, nell’ambito delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile.
I Vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o detenuto per ragione del proprio ministero (cfr. artt. 200 e 256 del codice di procedura penale; artt. 2, comma 1, e 4, comma 4, dell’Accordo del 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede [L. 25 marzo 1985, n. 121]).
Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro.
Rimane ferma l’inviolabilità dell’archivio segreto del Vescovo previsto dal can. 489 CIC, e devono ritenersi sottratti a ordine di esibizione o a sequestro anche registri e archivi comunque istituiti ai sensi del CIC, salva sempre la comunicazione volontaria di singole informazioni.
Nell’ordinamento italiano il Vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico – salvo il dovere morale di contribuire al bene comune – di denunciare all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti oggetto delle presenti Linee guida. L’affermazione presente nella Guida alla comprensione delle procedure di base della Congregazione per la Dottrina della Fede riguardo alle accuse di abusi sessuali e poi ripresa nella Lettera circolare della stessa Congregazione del 3 maggio 2011, secondo la quale «va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale», deve essere intesa in linea con quanto previsto dal diritto italiano.
La presentazione della denuncia in ambito canonico non comporta né implica in alcun modo la privazione o la limitazione del diritto di sporgerla innanzi alla competente Autorità giudiziaria civile. Qualora il denunciante dovesse decidere di sporgere denuncia in sede civile, la competente Autorità ecclesiastica, nel rispetto della vigente normativa canonica e civile, provvederà a fornirgli tutto l’aiuto spirituale e psicologico necessario, con ogni premura verso le vittime.
III. IL SERVIZIO DELLA SEGRETERIA GENERALE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
- Nel quadro normativo brevemente richiamato, ferma restando la competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede, la procedura relativa ai singoli casi spetta di regola all’Ordinario del luogo ove i fatti stessi sono stati commessi.
Nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla Conferenza Episcopale Italiana.
La Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Italiana assicura la sua disponibilità per ogni esigenza che sarà rappresentata, in spirito di servizio alle Chiese che sono in Italia e di condivisa sollecitudine per il bene comune.
Il presente testo è stato approvato dal Consiglio Episcopale Permanente nella sessione del 27 – 29 gennaio 2014.
ALLEGATI
I. Normae de delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis seu Normae de delictis contra fidem necnon de gravioribus delictis (21 maggio 2010)
II. Lettera circolare della Congregazione per la Dottrina della Fede per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici (3 maggio 2011)
III. Codice di diritto canonico [canoni citati]
IV. Accordo del 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede (L. 25 marzo 1985, n. 121) [articoli citati]
V. Codice di procedura penale [articoli citati]
NORMAE DE DELICTIS CONGREGATIONI PRO DOCTRINA FIDEI RESERVATIS
SEU NORMAE DE DELICTIS CONTRA FIDEM NECNON DE GRAVIORIBUS DELICTIS
21 maggio 2010
Parte Prima
NORME SOSTANZIALI
Art. 1
§ 1. La Congregazione per la Dottrina della Fede, a norma dell’art. 52 della Costituzione Apostolica Pastor bonus, giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi contro i costumi o nella celebrazione dei sacramenti e, se del caso, procede a dichiarare o irrogare le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune sia proprio, fatta salva la competenza della Penitenzieria Apostolica e ferma restando la Agendi ratio in doctrinarum examine.
§ 2. Nei delitti di cui al § 1, previo mandato del Romano Pontefice, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha il diritto di giudicare i Padri Cardinali, i Patriarchi, i Legati della Sede Apostolica, i Vescovi, nonché le altre persone fisiche di cui al can. 1405 § 3 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1061 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
§ 3. La Congregazione per la Dottrina della Fede giudica i delitti riservati di cui al § 1 a norma degli articoli seguenti.
Art. 2
§ 1. I delitti contro la fede, di cui all’art. 1, sono l’eresia, l’apostasia e lo scisma, a norma dei cann. 751 e 1364 del Codice di Diritto Canonico e dei cann. 1436 e 1437 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
§ 2. Nei casi di cui al § 1, a norma del diritto spetta all’Ordinario o al Gerarca rimettere, se del caso, la scomunica latae sententiae e svolgere il processo giudiziale in prima istanza o extragiudiziale per decreto, fatto salvo il diritto di appello o di ricorso alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Art. 3
§ 1. I delitti più gravi contro la santità dell’augustissimo Sacrificio e sacramento dell’Eucaristia riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede sono:
1° l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate, di cui al can. 1367 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1442 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali;
2° l’attentata azione liturgica del Sacrificio eucaristico di cui al can. 1378 § 2 n. 1 del Codice di Diritto Canonico;
3° la simulazione dell’azione liturgica del Sacrificio eucaristico di cui al can. 1379 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1443 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali;
4° la concelebrazione del Sacrificio eucaristico vietata dal can. 908 del Codice di Diritto Canonico e dal can. 702 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, di cui al can. 1365 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1440 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, insieme ai ministri delle comunità ecclesiali che non hanno la successione apostolica e non riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale.
§ 2. Alla Congregazione per la Dottrina della Fede è riservato anche il delitto che consiste nella consacrazione a fine sacrilego di una sola materia o di entrambe, nella celebrazione eucaristica o fuori di essa. Colui che commette questo delitto, sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione o la deposizione.
Art. 4
§ 1. I delitti più gravi contro la santità del sacramento della Penitenza riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede sono:
1° l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, di cui al can. 1378 § 1 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1457 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali;
2° l’attentata assoluzione sacramentale o l’ascolto vietato della confessione di cui al can. 1378 § 2, 2° del Codice di Diritto Canonico;
3° la simulazione dell’assoluzione sacramentale di cui al can. 1379 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1443 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali;
4° la sollecitazione al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, di cui al can. 1387 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1458 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, se diretta al peccato con lo stesso confessore;
5° la violazione diretta e indiretta del sigillo sacramentale, di cui al can. 1388 § 1 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1456 § 1 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
§ 2. Fermo restando il disposto del § 1 n. 5, alla Congregazione per la Dottrina della Fede è riservato anche il delitto più grave consistente nella registrazione, fatta con qualunque mezzo tecnico, o nella divulgazione con i mezzi di comunicazione sociale svolta con malizia, delle cose che vengono dette dal confessore o dal penitente nella confessione sacramentale, vera o falsa. Colui che commette questo delitto, sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione o la deposizione, se è un chierico.
Art. 5
Alla Congregazione per la Dottrina della Fede è riservato anche il delitto più grave di attentata sacra ordinazione di una donna:
1° fermo restando il disposto del can. 1378 del Codice di Diritto Canonico, sia colui che attenta il conferimento del sacro ordine, sia la donna che attenta la recezione del sacro ordine, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica;
2° se poi colui che attenta il conferimento del sacro ordine o la donna che attenta la recezione del sacro ordine è un cristiano soggetto al Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, fermo restando il disposto del can. 1443 del medesimo Codice, sia punito con la scomunica maggiore, la cui remissione è pure riservata alla Sede Apostolica;
3° se poi il reo è un chierico, può essere punito con la dimissione o la deposizione.
Art. 6
§ 1. I delitti più gravi contro i costumi, riservati al giudizio della Congregazione per la Dottrina della Fede, sono:
1° il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore di diciotto anni; in questo numero, viene equiparata al minore la persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione;
2° l’acquisizione o la detenzione o la divulgazione, a fine di libidine, di immagini pornografiche di minori sotto i quattordici anni da parte di un chierico, in qualunque modo e con qualunque strumento.
§ 2. Il chierico che compie i delitti di cui al § 1 sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione o la deposizione.
Art. 7
§ 1. Fatto salvo il diritto della Congregazione per la Dottrina della Fede di derogare alla prescrizione per i singoli casi, l’azione criminale relativa ai delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede si estingue per prescrizione in vent’anni.
§ 2. La prescrizione decorre a norma del can. 1362 § 2 del Codice di Diritto Canonico e del can. 1152 § 3 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali. Ma nel delitto di cui all’art. 6 § 1 n. 1, la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto diciotto anni.
Parte Seconda
NORME PROCEDURALI
TITOLO I
Costituzione e competenza del Tribunale
Art. 8
§ 1. La Congregazione per la Dottrina della Fede è il Supremo Tribunale Apostolico per la Chiesa Latina, nonché per le Chiese Orientali Cattoliche, nel giudicare i delitti definiti negli articoli precedenti.
§ 2. Questo Supremo Tribunale giudica anche gli altri delitti, per i quali il reo viene accusato dal Promotore di Giustizia, in ragione della connessione della persona e della complicità.
§ 3. Le sentenze di questo Supremo Tribunale, emesse nei limiti della propria competenza, non sono soggette all’approvazione del Sommo Pontefice.
Art. 9
§ 1. I giudici di questo Supremo Tribunale sono, per lo stesso diritto, i Padri della Congregazione per la Dottrina della Fede.
§ 2. Presiede il collegio dei Padri, quale primo fra pari, il Prefetto della Congregazione e, in caso di vacanza o di impedimento del Prefetto, ne adempie l’ufficio il Segretario della Congregazione.
§ 3. Spetta al Prefetto della Congregazione nominare anche altri giudici stabili o incaricati.
Art. 10
È necessario che siano nominati giudici sacerdoti di età matura, provvisti di dottorato in diritto canonico, di buoni costumi, particolarmente distinti per prudenza ed esperienza giuridica, anche se esercitano contemporaneamente l’ufficio di giudice o di consultore in un altro Dicastero della Curia Romana.
Art. 11
Per presentare e sostenere l’accusa, è costituito un Promotore di Giustizia, che sia sacerdote, provvisto di dottorato in diritto canonico, di buoni costumi, particolarmente distinto per prudenza ed esperienza giuridica, che adempia il suo ufficio in tutti i gradi di giudizio.
Art. 12
Per i compiti di Notaio e di Cancelliere sono designati sacerdoti, sia Officiali di questa Congregazione, sia esterni.
Art. 13
Funge da Avvocato e Procuratore un sacerdote, provvisto di dottorato in diritto canonico, che viene approvato dal Presidente del collegio.
Art. 14
Negli altri Tribunali, poi, per le cause di cui nelle presenti norme, possono adempiere validamente gli uffici di Giudice, Promotore di Giustizia, Notaio e Patrono soltanto sacerdoti.
Art. 15
Fermo restando il prescritto del can. 1421 del Codice di Diritto Canonico e del can. 1087 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, alla Congregazione per la Dottrina della Fede è lecito concedere le dispense dai requisiti del sacerdozio, nonché del dottorato in diritto canonico.
Art. 16
Ogni volta che l’Ordinario o il Gerarca ha la notizia, almeno verisimile, di un delitto più grave, svolta l’indagine previa, la renda nota alla Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale, se non avoca a sé la causa per circostanze particolari, ordina all’Ordinario o al Gerarca di procedere ulteriormente, fermo restando tuttavia, se del caso, il diritto di appello contro la sentenza di primo grado soltanto al Supremo Tribunale della medesima Congregazione.
Art. 17
Se il caso viene deferito direttamente alla Congregazione, senza condurre l’indagine previa, i preliminari del processo, che per diritto comune spettano all’Ordinario o al Gerarca, possono essere adempiuti dalla Congregazione stessa.
Art. 18
La Congregazione per la Dottrina della Fede, nelle cause ad essa legittimamente deferite, può sanare gli atti, fatto salvo il diritto alla difesa, se sono state violate leggi meramente processuali da parte dei Tribunali inferiori che agiscono per mandato della medesima Congregazione o secondo l’art. 16.
Art. 19
Fermo restando il diritto dell’Ordinario o del Gerarca, fin dall’inizio dell’indagine previa, di imporre quanto è stabilito nel can. 1722 del Codice di Diritto Canonico o nel can. 1473 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, anche il Presidente di turno del Tribunale, su istanza del Promotore di Giustizia, ha la stessa potestà alle stesse condizioni determinate nei detti canoni.
Art. 20
Il Supremo Tribunale della Congregazione per la Dottrina della Fede giudica in seconda istanza:
1° le cause giudicate in prima istanza dai Tribunali inferiori;
2° le cause definite in prima istanza dal medesimo Supremo Tribunale Apostolico.
TITOLO II
L’ordine giudiziario
Art. 21
§ 1. I delitti più gravi riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede vanno perseguiti in processo giudiziale.
§ 2. Tuttavia, alla Congregazione per la Dottrina della Fede è lecito:
1° nei singoli casi, d’ufficio o su istanza dell’Ordinario o del Gerarca, decidere di procedere per decreto extragiudiziale, di cui al can. 1720 del Codice di Diritto Canonico e al can. 1486 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali; tuttavia, con l’intendimento che le pene espiatorie perpetue siano irrogate soltanto dietro mandato della Congregazione per la Dottrina della Fede;
2° deferire direttamente alla decisione del Sommo Pontefice in merito alla dimissione dallo stato clericale o alla deposizione, insieme alla dispensa dalla legge del celibato, i casi più gravi, quando consta manifestamente il compimento del delitto, dopo che sia stata data al reo la facoltà di difendersi.
Art. 22
Per giudicare una causa, il Prefetto costituisca un Turno di tre o di cinque giudici.
Art. 23
Se, in grado di appello, il Promotore di Giustizia porta un’accusa specificamente diversa, questo Supremo Tribunale può ammetterla e giudicarla, come se fosse in prima istanza.
Art. 24
§ 1. Nelle cause per i delitti di cui all’art. 4 § 1, il Tribunale non può rendere noto il nome del denunciante, né all’accusato, e neppure al suo Patrono, se il denunciante non ha dato espresso consenso.
§ 2. Lo stesso Tribunale deve valutare con particolare attenzione la credibilità del denunciante.
§ 3. Tuttavia, bisogna provvedere a che si eviti assolutamente qualunque pericolo di violazione del sigillo sacramentale.
Art. 25
Se emerge una questione incidentale, il Collegio definisca la cosa per decreto con la massima celerità.
Art. 26
§ 1. Fatto salvo il diritto di appello a questo Supremo Tribunale, terminata in qualunque modo l’istanza in un altro Tribunale, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
§ 2. Il diritto del Promotore di Giustizia della Congregazione di impugnare la sentenza decorre dal giorno in cui la sentenza di prima istanza è stata notificata al medesimo Procuratore.
Art. 27
Contro gli atti amministrativi singolari emessi o approvati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nei casi dei delitti riservati, si ammette il ricorso, presentato entro il termine perentorio di sessanta giorni utili, alla Congregazione Ordinaria (ossia, Feria IV) del medesimo Dicastero, la quale giudica il merito e la legittimità, eliminato qualsiasi ulteriore ricorso di cui all’art. 123 della Costituzione Apostolica Pastor bonus.
Art. 28
La cosa passa in giudicato:
1° se la sentenza è stata emessa in seconda istanza;
2° se l’appello contro la sentenza non è stato interposto entro un mese;
3° se, in grado di appello, l’istanza andò perenta o si rinunciò ad essa;
4° se fu emessa una sentenza a norma dell’art. 20.
Art. 29
§ 1. Le spese giudiziarie si paghino secondo quanto stabilito dalla sentenza.
§ 2. Se il reo non può pagare le spese, esse siano pagate dall’Ordinario o dal Gerarca della causa.
Art. 30
§ 1. Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.
§ 2. Chiunque viola il segreto o, per dolo o negligenza grave, reca altro danno all’accusato o ai testimoni, su istanza della parte lesa o anche d’ufficio sia punito dal Turno superiore con congrue pene.
Art. 31
In queste cause, insieme alle prescrizioni di questo norme, a cui sono tenuti tutti i Tribunali della Chiesa Latina e delle Chiese Orientali Cattoliche, si debbono applicare anche i canoni sui delitti e le pene e sul processo penale dell’uno e dell’altro Codice.
LETTERA CIRCOLARE DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
PER AIUTARE LE CONFERENZE EPISCOPALI
NEL PREPARARE LINEE GUIDA PER IL TRATTAMENTO
DEI CASI DI ABUSO SESSUALE
NEI CONFRONTI DI MINORI DA PARTE DI CHIERICI
3 maggio 2011
Tra le importanti responsabilità del Vescovo diocesano al fine di assicurare il bene comune dei fedeli e, specialmente, la protezione dei bambini e dei giovani, c’è il dovere di dare una risposta adeguata ai casi eventuali di abuso sessuale su minori commesso da chierici nella sua diocesi. Tale risposta comporta l’istituzione di procedure adatte ad assistere le vittime di tali abusi, nonché la formazione della comunità ecclesiale in vista della protezione dei minori. Detta risposta dovrà provvedere all’applicazione del diritto canonico in materia, e, allo stesso tempo, tener conto delle disposizioni delle leggi civili.
I. Aspetti generali
a) Le vittime dell’abuso sessuale
La Chiesa, nella persona del Vescovo o di un suo delegato, deve mostrarsi pronta ad ascoltare le vittime ed i loro familiari e ad impegnarsi per la loro assistenza spirituale e psicologica. Nel corso dei suoi viaggi apostolici, il Santo Padre Benedetto XVI ha dato un esempio particolarmente importante con la sua disponibilità ad incontrare ed ascoltare le vittime di abuso sessuale. In occasione di questi incontri, il Santo Padre ha voluto rivolgersi alle vittime con parole di compassione e di sostegno, come quelle contenute nella sua Lettera Pastorale ai Cattolici d’Irlanda (n. 6): «Avete sofferto tremendamente e io ne sono veramente dispiaciuto. So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata».
b) La protezione dei minori
In alcune nazioni sono stati iniziati in ambito ecclesiale programmi educativi di prevenzione, per assicurare «ambienti sicuri» per i minori. Tali programmi cercano di aiutare i genitori, nonché gli operatori pastorali o scolastici, a riconoscere i segni dell’abuso sessuale e ad adottare le misure adeguate. I suddetti programmi spesso hanno meritato un riconoscimento come modelli nell’impegno per eliminare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori nelle società odierne.
c) La formazione di futuri sacerdoti e religiosi
Nel 2002, Papa Giovanni Paolo II disse: «Non c’è posto nel sacerdozio e nella vita religiosa per chi potrebbe far male ai giovani» (n. 3, Discorso ai Cardinali Americani, 23 aprile 2002). Queste parole richiamano alla specifica responsabilità dei Vescovi, dei Superiori Maggiori e di coloro che sono responsabili della formazione dei futuri sacerdoti e religiosi. Le indicazioni fornite nell’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis, nonché le istruzioni dei Dicasteri competenti della Santa Sede, acquistano una crescente importanza in vista di un corretto discernimento vocazionale e di una sana formazione umana e spirituale dei candidati. In particolare si farà in modo che essi apprezzino la castità e il celibato e le responsabilità della paternità spirituale da parte del chierico e possano approfondire la conoscenza della disciplina della Chiesa sull’argomento. Indicazioni più specifiche possono essere integrate nei programmi formativi dei seminari e delle case di formazione previste nella rispettiva Ratio institutionis sacerdotalis di ciascuna nazione e Istituto di vita consacrata e Società di vita apostolica.
Inoltre, una diligenza particolare dev’essere riservata al doveroso scambio d’informazioni in merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all’altro, tra diocesi diverse o tra Istituti religiosi e diocesi.
d) L’accompagnamento dei sacerdoti
1. Il Vescovo ha il dovere di trattare tutti i suoi sacerdoti come padre e fratello. Il Vescovo curi, inoltre, con speciale attenzione la formazione permanente del clero, soprattutto nei primi anni dopo la sacra Ordinazione, valorizzando l’importanza della preghiera e del mutuo sostegno nella fraternità sacerdotale. Siano edotti i sacerdoti sul danno recato da un chierico alla vittima di abuso sessuale e sulla propria responsabilità di fronte alla normativa canonica e civile, come anche a riconoscere quelli che potrebbero essere i segni di eventuali abusi da chiunque compiuti nei confronti dei minori.
- I Vescovi assicurino ogni impegno nel trattare gli eventuali casi di abuso che fossero loro denunciati secondo la disciplina canonica e civile, nel rispetto dei diritti di tutte le parti.
- Il chierico accusato gode della presunzione di innocenza, fino a prova contraria, anche se il Vescovo può cautelativamente limitarne l’esercizio del ministero, in attesa che le accuse siano chiarite. Se del caso, si faccia di tutto per riabilitare la buona fama del chierico che sia stato accusato ingiustamente.
e) La cooperazione con le autorità civili
L’abuso sessuale di minori non è solo un delitto canonico, ma anche un crimine perseguito dall’autorità civile. Sebbene i rapporti con le autorità civili differiscano nei diversi paesi, tuttavia è importante cooperare con esse nell’ambito delle rispettive competenze. In particolare, va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale. Naturalmente, questa collaborazione non riguarda solo i casi di abusi commessi dai chierici, ma riguarda anche quei casi di abuso che coinvolgono il personale religioso o laico che opera nelle strutture ecclesiastiche.
II. Breve resoconto della legislazione canonica in vigore concernente il delitto di abuso sessuale di minori compiuto da un chierico
Il 30 aprile 2001, Papa Giovanni Paolo II promulgò il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela [SST], con il quale l’abuso sessuale di un minore di 18 anni commesso da un chierico venne inserito nell’elenco dei delicta graviora riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede [CDF]. La prescrizione per questo delitto venne fissata in 10 anni a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La normativa del motu proprio vale sia per i chierici Latini che per i chierici Orientali, sia per il clero diocesano che per il clero religioso.
Nel 2003, l’allora Prefetto della CDF, il Card. Ratzinger, ottenne da Giovanni Paolo II la concessione di alcune facoltà speciali per offrire maggiore flessibilità nelle procedure penali per i delicta graviora, fra cui l’uso del processo penale amministrativo e la richiesta della dimissione ex officio nei casi più gravi. Queste facoltà vennero integrate nella revisione del motu proprio approvata dal Santo Padre Benedetto XVI il 21 maggio 2010. Nelle nuove norme, la prescrizione è di 20 anni, che nel caso di abuso su minore, si calcolano a partire dal compimento del 18° anno di età della vittima. La CDF può eventualmente derogare alla prescrizione in casi particolari. Venne anche specificato il delitto canonico dell’acquisto, detenzione o divulgazione di materiale pedopornografico.
La responsabilità nel trattare i casi di abuso sessuale nei confronti di minori spetta in un primo momento ai Vescovi o ai Superiori Maggiori. Se l’accusa appare verosimile, il Vescovo, il Superiore Maggiore o il loro delegato devono condurre un’indagine preliminare secondo il can. 1717 CIC, il can. 1468 CCEO e l’art. 16 SST.
Se l’accusa è ritenuta credibile, si richiede che il caso venga deferito alla CDF. Una volta studiato il caso, la CDF indicherà al Vescovo o al Superiore Maggiore i passi ulteriori da compiere. Al contempo, la CDF offrirà una guida per assicurare le misure appropriate, sia garantendo una procedura giusta nei confronti dei chierici accusati, nel rispetto del loro diritto fondamentale per la difesa, sia tutelando il bene della Chiesa, incluso il bene delle vittime. È utile ricordare che normalmente l’imposizione di una pena perpetua, come la dimissio dallo stato clericale, richiede un processo penale giudiziale. Secondo il diritto canonico (cf. can. 1342 CIC) gli Ordinari non possono decretare pene perpetue per mezzo di decreti extragiudiziali; a questo scopo devono rivolgersi alla CDF, alla quale spetterà il giudizio definitivo circa la colpevolezza e l’eventuale inidoneità del chierico per il ministero, nonché la conseguente imposizione della pena perpetua (SST Art. 21, § 2).
Le misure canoniche applicate nei confronti di un chierico riconosciuto colpevole dell’abuso sessuale di un minorenne sono generalmente di due tipi: 1) misure che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori. Tali misure possono essere accompagnate da un precetto penale; 2) le pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è la dimissio dallo stato clericale.
In taluni casi, dietro richiesta dello stesso chierico, può essere concessa pro bono Ecclesiae la dispensa dagli obblighi inerenti allo stato clericale, incluso il celibato.
L’indagine preliminare e l’intero processo debbono essere svolti con il dovuto rispetto nel proteggere la riservatezza delle persone coinvolte e con la debita attenzione alla loro reputazione.
A meno che ci siano gravi ragioni in contrario, il chierico accusato deve essere informato dell’accusa presentata, per dargli la possibilità di rispondere ad essa, prima di deferire un caso alla CDF. La prudenza del Vescovo o del Superiore Maggiore deciderà quale informazione debba essere comunicata all’accusato durante l’indagine preliminare.
Compete al Vescovo o al Superiore Maggiore il dovere di provvedere al bene comune determinando quali misure precauzionali previste dal can. 1722 CIC e dal can. 1473 CCEO debbano essere imposte. Secondo l’art. 19 SST, ciò deve essere fatto una volta iniziata l’indagine preliminare.
Va infine ricordato che, qualora una Conferenza Episcopale, salva l’approvazione della Santa Sede, intenda darsi norme specifiche, tale normativa particolare deve essere intesa come complemento alla legislazione universale e non come sostituzione di quest’ultima. La normativa particolare deve perciò essere in armonia con il CIC / CCEO nonché con il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (30 aprile 2001) così come aggiornato il 21 maggio 2010. Nel caso in cui la Conferenza decidesse di stabilire norme vincolanti sarà necessario richiedere la recognitio ai competenti Dicasteri della Curia Romana.
III. Indicazioni agli Ordinari sul modo di procedere
Le Linee guida preparate dalla Conferenza Episcopale dovrebbero fornire orientamenti ai Vescovi diocesani e ai Superiori Maggiori nel caso fossero informati di presunti abusi sessuali nei confronti di minori, compiuti da chierici presenti sul territorio di loro giurisdizione. Tali Linee guida tengano comunque conto delle seguenti osservazioni:
a) il concetto di «abuso sessuale su minori» deve coincidere con la definizione del motu proprio SST art. 6 («il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore di diciotto anni»), nonché con la prassi interpretativa e la giurisprudenza della Congregazione per la Dottrina della Fede, tenendo conto delle leggi civili del Paese;
b) la persona che denuncia il delitto deve essere trattata con rispetto. Nei casi in cui l’abuso sessuale sia collegato con un altro delitto contro la dignità del sacramento della Penitenza (SST, art. 4), il denunciante ha diritto di esigere che il suo nome non sia comunicato al sacerdote denunciato (SST, art. 24);
c) le autorità ecclesiastiche si impegnino ad offrire assistenza spirituale e psicologica alle vittime;
d) l’indagine sulle accuse sia fatta con il dovuto rispetto al principio della privacy e della buona fama delle persone;
e) a meno che ci siano gravi ragioni in contrario, già in fase di indagine previa, il chierico accusato sia informato delle accuse con l’opportunità di rispondere alle medesime;
f) gli organi consultivi di sorveglianza e di discernimento dei singoli casi, previsti in qualche luogo, non devono sostituire il discernimento e la potestas regiminis dei singoli vescovi;
g) le Linee guida devono tener conto della legislazione del Paese della Conferenza, in particolare per quanto attiene all’eventuale obbligo di avvisare le autorità civili;
h) in ogni momento delle procedure disciplinari o penali sia assicurato al chierico accusato un sostentamento giusto e degno;
i) si escluda il ritorno del chierico al ministero pubblico se detto ministero è di pericolo per i minori o di scandalo per la comunità.
Conclusione
Le Linee guida preparate dalle Conferenze Episcopali mirano a proteggere i minori e ad aiutare le vittime nel trovare assistenza e riconciliazione. Esse dovranno indicare che la responsabilità nel trattare i delitti di abuso sessuale di minori da parte dei chierici appartiene in primo luogo al Vescovo diocesano. Infine, le Linee guida dovranno portare ad un orientamento comune all’interno di una Conferenza Episcopale aiutando ad armonizzare al meglio gli sforzi dei singoli Vescovi nel salvaguardare i minori.
William Cardinale Levada
Prefetto
+ Luis F. Ladaria, S.I.
Arcivescovo tit. di Thibica
Segretario
CODICE DI DIRITTO CANONICO
Can. 489
§ 1. Vi sia nella curia diocesana anche un archivio segreto o almeno, nell’archivio comune, vi sia un armadio o una cassa chiusi a chiave e che non possano essere rimossi dalla loro sede; in essi si custodiscano con estrema cautela i documenti che devono essere conservati sotto segreto.
§ 2. Ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando però un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva.
Can. 490
§ 1. Solo il Vescovo abbia la chiave dell’archivio segreto.
§ 2. Mentre la sede è vacante, l’archivio o l’armadio segreto non si apra se non in caso di vera necessità dallo stesso Amministratore diocesano.
§ 3. Non siano asportati documenti dall’archivio o armadio segreto.
Can. 1342
§ 1. Ogniqualvolta giuste cause si oppongono a che si celebri un processo giudiziario, la pena può essere inflitta o dichiarata con decreto extragiudiziale; rimedi penali e penitenze possono essere applicati per decreto in qualunque caso.
§ 2. Per decreto non si possono infliggere o dichiarare pene perpetue; né quelle pene che la legge o il precetto che le costituisce vieta di applicare per decreto.
§ 3. Quanto vien detto nella legge o nel precetto a riguardo del giudice per ciò che concerne la pena da infliggere o dichiarare in giudizio, si deve applicare al Superiore, che infligga o dichiari la pena per decreto extragiudiziale, a meno che non consti altrimenti né si tratti di disposizioni attinenti soltanto la procedura.
Can. 1425
§ 1. Riprovata la consuetudine contraria, al tribunale collegiale di tre giudici sono riservate:
1° le cause contenziose: a) sul vincolo della sacra ordinazione e sugli oneri ad essa connessi, b) sul vincolo del matrimonio, fermo restando il disposto dei cann. 1686 e 1688.
2° le cause penali: a) sui delitti che possono comportare la pena della dimissione dallo stato clericale; b) per infliggere o dichiarare la scomunica.
§ 2. Il Vescovo può affidare le cause più difficili o di maggiore importanza al giudizio di tre o cinque giudici.
§ 3. Il Vicario giudiziale chiami i giudici a giudicare le singole cause secondo un turno ordinatamente stabilito, a meno che il Vescovo in casi singoli non abbia stabilito diversamente.
§ 4. In primo grado di giudizio, se eventualmente non si possa costituire un collegio, la Conferenza Episcopale, fintantoché perduri tale impossibilità, può permettere che il Vescovo affidi la causa ad un unico giudice chierico, il quale si scelga, ove sia possibile, un assessore e un uditore.
§ 5. Il Vicario giudiziale non sostituisca i giudici una volta designati se non per gravissima causa, che deve essere espressa nel decreto.
Can. 1717
§ 1. Ogniqualvolta l’Ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull’imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua.
§ 2. Si deve provvedere che con questa indagine non sia messa in pericolo la buona fama di alcuno.
§ 3. Chi fa l’indagine ha gli stessi poteri ed obblighi che ha l’uditore nel processo; lo stesso non può, se in seguito sia avviato un procedimento giudiziario, fare da giudice in esso.
Can. 1719
Gli atti dell’indagine e i decreti dell’Ordinario, con i quali l’indagine ha inizio o si conclude e tutto ciò che precede l’indagine, se non sono necessari al processo penale, si conservino nell’archivio segreto della curia.
Can. 1720
Se l’Ordinario ha ritenuto doversi procedere con decreto per via extragiudiziale:
1° rende note all’imputato l’accusa e le prove, dandogli possibilità di difendersi, a meno che l’imputato debitamente chiamato non abbia trascurato di presentarsi;
2° valuti accuratamente con due assessori tutte le prove e gli argomenti;
3° se consta con certezza del delitto e l’azione criminale non è estinta, emani il decreto a norma dei cann. 1342-1350, esponendo almeno brevemente le ragioni in diritto e in fatto.
Can. 1722
L’Ordinario per prevenire gli scandali, tutelare la libertà dei testi e garantire il decorso della giustizia, può in qualunque stadio del processo, udito il promotore di giustizia e citato l’accusato stesso, allontanare l’imputato dal ministero sacro o da un ufficio o compito ecclesiastico, imporgli o proibirgli la dimora i qualche luogo o territorio, o anche vietargli di partecipare pubblicamente alla santissima Eucarestia; tutti questi provvedimenti, venendo meno la causa, devono essere revocati, e cessano per il diritto stesso con il venir meno del processo penale.
ACCORDO DEL 18 FEBBRAIO 1984,
CHE APPORTA MODIFICAZIONI
AL CONCORDATO LATERANENSE DELL’11 FEBBRAIO 1929,
TRA LA REPUBBLICA ITALIANA E LA SANTA SEDE
(L. 25 MARZO 1985, N. 121)
Articolo 2
1. La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica.
Articolo 4
4. Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.
CODICE DI PROCEDURA PENALE
Art. 200 (Segreto professionale)
- Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria:
a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano;
b) gli avvocati, i consulenti tecnici e i notai;
c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;
d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale. - Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga.
Art. 256 (Dovere di esibizione e segreti)
- Le persone indicate negli articoli 200 e 201 devono consegnare immediatamente all’autorità giudiziaria, che ne faccia richiesta, gli atti e i documenti, anche in originale se così è ordinato, nonché i dati, le informazioni e i programmi informatici, anche mediante copia di essi su adeguato supporto, e ogni altra cosa esistente presso di esse per ragioni del loro ufficio, incarico, ministero, professione o arte, salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione.
- Quando la dichiarazione concerne un segreto di ufficio o professionale, l’autorità giudiziaria, se ha motivo di dubitare della fondatezza di essa e ritiene di non potere procedere senza acquisire gli atti, i documenti o le cose indicati nel comma 1, provvede agli accertamenti necessari. Se la dichiarazione risulta infondata, l’autorità giudiziaria dispone il sequestro.
- Quando la dichiarazione concerne un segreto di Stato, l’autorità giudiziaria ne informa il Presidente del Consiglio dei Ministri, chiedendo che ne sia data conferma. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di Stato.
- Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione della richiesta, il Presidente del Consiglio dei Ministri non dia conferma del segreto, l’autorità giudiziaria dispone il sequestro.
- Si applica la disposizione dell’articolo 204.
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