In un comunicato, i presuli spiegano la decisione con il venir meno del rapporto di fiducia con il prof. Christian Pfeiffer, direttore dell’ Istituto.
Alessandro Speciale – Roma –
Il percorso di trasparenza della Chiesa cattolica tedesca di fronte allo scandalo pedofilia ha subito oggi un duro colpo: la Conferenza episcopale tedesca ha infatti annunciato la cancellazione di uno studio scientifico a 360 gradi sulle cause degli abusi commessi dai preti, ed è stata accusata di aver distrutto documenti e cercato di censurare i risultati della ricerca.
Quando all’ inizio del 2010 lo scandalo degli abusi sessuali su minori, dopo aver travolto la Chiesa negli Stati Uniti e in Irlanda, si allargò anche alla Germania, i vescovi tedeschi reagirono con una prontezza e una apertura che molti osservatori definirono esemplari.
Oltre a creare un referente unico per i casi di abuso in tutto il Paese – monsignor Stephan Ackermann, vescovo di Treviri – era stato istituito un numero verde per le vittime, le linee guida per affrontare i casi di abuso erano state riviste e la Chiesa aveva collaborato alla ‘ Tavola rotonda’ istituita dal governo federale. Lo sforzo era culminato con il Simposio mondiale sugli abusi nella Chiesa organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana a Roma dello scorso febbraio, sponsorizzato da varie diocesi tedesche.
La Chiesa di Germania aveva anche avviato due progetti scientifici. Il primo, in collaborazione con l’Istituto di ricerca criminologica della Bassa Sassonia (Kriminologischen Forschungsinstitut Niedersachsen, KFN), uno dei più rispettati del Paese, doveva comprendere un’ inchiesta sulle vittime di abusi dal 1945 a oggi, un’ analisi di come i casi erano stati gestiti nella Chiesa e una serie di interviste approfondite con vittime e molestatori.
Dopo un anno e mezzo di lavoro (il progetto era partito nel 2011), monsignor Ackermann ha annunciato oggi in un comunicato la decisione di sospendere l’ accordo con il Kfn. I vescovi sono ra alla ricerca di un nuovo partner per completare la ricerca.
“Ci siamo trovati oggi costretti – si legge nella nota – a recedere con effetto immediato dall’accordo con il Kfn per gravi motivi, e a chiedere la restituzione di fondi per la ricerca già erogati”. Secondo il rappresentate dei vescovi tedeschi, si è rotto il “rapporto di fiducia” con il direttore dell’Istituto, Christian Pfeiffer.
“La fiducia – sottolinea il comunicato – è un elemento irrinunciabile in un progetto così ampio e delicato. Su questo, i partner del progetto si erano trovati d’accordo fin dall’inizio. Il comportamento del professor Pfeiffer nel campo della comunicazione nei riguardi dei responsabili ecclesiali ha purtroppo causato la perdita di quella base di fiducia necessaria ad una ulteriore collaborazione costruttiva. Siamo spiacenti di non aver potuto trovare una soluzione consensuale, nonostante i nostri sforzi”.
Secondo il KFN, che ha risposto con un suo comunicato all’ annuncio dei vescovi, dopo alcuni mesi di lavoro il progetto aveva iniziato a incontrare una “opposizione crescente” in seno alla Conferenza episcopale. Ad esempio, i vescovi avevano chiesto di poter mettere il veto alla pubblicazione dei risultati della ricerca – una richiesta respinta dall’ Istituto perché “non compatibile con la libertà di ricerca scientifica”.
Inoltre, il KFN accusa la Chiesa tedesca di non aver mantenuto la promessa di fornire pieno accesso ai propri archivi sui casi di preti accusati di abuso. “Nell’ ultimo anno alcune persone all’ interno della Chiesa ci hanno informato in modo credibile che alcune diocesi avevano distrutto alcuni documenti”, spiega l’ Istituto. Si tratta di un atto condotto sulla base del canone 489 paragrafo 2 del Codice di Diritto Canonico, che recita: “Ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando però un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva”. Il KFN ha chiesto alle diocesi quali e quanti documenti fossero stati distrutti in base a questa norma – ma senza ricevere risposta.
La rottura della collaborazione con l’ Istituto è stato accolta con preoccupazione del movimento cattolico di riforma “Noi Siamo Chiesa”: “Il modo in cui i vescovi hanno gestito questa faccenda fa temere una nuova ondata di abbandoni della Chiesa, come quella che nel 2010 (anno di esplosione dello scandalo pedofilia, ndr) ha portato 181mila persona ad annunciare la loro uscita dalla comunità ecclesiale”.
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