Usa, l’articolo del garante dei lettori del quotidiano: “La Curia ha insabbiato”. “Il gornale ha il dovere di seguire le vicende fin dove conducono, anche alla porta del Papa”
di CLARK HOYT
UN ALTO esponente del Vaticano ha dichiarato che il New York Times “pecca di scorrettezza quando tratta di Papa Benedetto”. L’arcivescovo di Brooklyn ha esortato i suoi parrocchiani a tempestare il giornale di messaggi accusandolo di accanirsi contro la chiesa cattolica. Anche i lettori del Wall Street Journal e di altre pubblicazioni hanno attaccato il quotidiano. Centinaia di persone hanno scritto anche a me.
Il New York Times non è certo l’unico tra i giornali mondiali ad essersi occupato dello scandalo degli abusi sessuali nella chiesa cattolica, che recentemente ha toccato anche l’arcidiocesi tedesca un tempo di papa Benedetto XVI. Ma è stato in particolare un articolo del mese scorso a toccare un nervo scoperto. Sulla base di documenti giudiziari, il quotidiano è entrato nel merito di come gli esponenti della chiesa locale e il Vaticano gestirono il caso di un prete di Milwaukee accusato di aver molestato addirittura 200 bambini sordi. E ha affermato che alti esponenti del Vaticano, tra cui l’allora cardinale Joseph Ratzinger, non intervennero riducendo Padre Lawrence Murphy allo stato laicale, nonostante i ripetuti appelli dei vescovi americani, secondo i quali la mancata punizione avrebbe messo in imbarazzo la chiesa.
Il caso Murphy, nella cronaca che ne ha fatto il New York Times, documentata da atti giudiziari pubblicati sul sito web del quotidiano, si può riassumere in questi termini: Murphy prestò servizio presso una scuola cattolica per bambini non udenti dal 1950 al 1974. Benché fosse giunta notizia ai tre arcivescovi succedutisi a capo della diocesi che il sacerdote molestava i bambini, Murphy fu trasferito in sordina nel Wisconsin settentrionale, dove continuò per 24 anni a lavorare con bambini nelle parrocchie e in un carcere minorile. I vertici ecclesiastici non lo denunciarono mai alle autorità giudiziarie, e non venne dato seguito alle denunce presentate dalle vittime e dai loro familiari alla polizia e ai pubblici ministeri. Nel 1996, dopo più di 20 anni dal trasferimento di Murphy, l’arcivescovo di Milwaukee, Rembert Weakland, scrisse a Ratzinger informandolo di essere appena venuto a conoscenza di un atto particolarmente grave compiuto dal sacerdote, ossia adescamento in confessionale, a scuola. Pur non avendo ricevuto risposta, Weakland diede avvio ad un processo ecclesiastico. Preoccupato per i termini di prescrizione del reato, si rivolse ad un altro ufficio a Roma per ottenere una deroga, ma fu reindirizzato all’ufficio di Ratzinger.
Dopo otto mesi, il vice di Ratzinger, Cardinal Tarcisio Bertone, oggi seconda massima carica del Vaticano, autorizzò un processo che avrebbe potuto condurre all’allontanamento di Murphy dal sacerdozio. Ma Murphy si appellò a Ratzinger, sostenendo che le accuse si riferivano a più di 25 anni prima, che ormai aveva 72 anni ed era in cattive condizioni di salute, e che si era pentito. Bertone allora suggerì di intervenire senza arrivare all’allontanamento. Weakland disse che in un incontro in Vaticano non riuscì a persuadere Bertone ed altri alti prelati a far proseguire il processo, interrotto nel 1998, poco prima della morte di Murphy. Questa versione dei fatti è documentata.
Molti lettori, inclusi esponenti religiosi, hanno inteso l’articolo come un attacco diretto a Papa Benedetto XVI. Ma molte delle critiche mosse non reggono. Scivendo sul National Review Online, Raymond J. de Souza, sacerdote e docente presso la Queen’s University dell’Ontario, dice che il New York Times accusa Ratzinger di “essere intervenuto” per salvare Murphy. Non è così. L’articolo non stabilisce il ruolo di Ratzinger, se mai lo abbia avuto, si limita a dire che le comunicazioni riguardanti il caso Murphy furono indirizzate a Ratzinger e che il suo vice intervenne. C’è una bella differenza.
Alcuni lettori dicono che il New York Times è anti-cattolico. Si chiedono come mai non dia pari risalto a vicende di abusi sessuali nelle scuole, o in altre religioni. Altri sostengono che con Benedetto XVI la reazione del Vaticano a questi casi è migliorata, sono state snellite le procedure per dar seguito alle denunce e scusarsi con le vittime. Ma sarebbe irresponsabile ignorare le continue rivelazioni, come quelle relative ai tempi in cui Benedetto XVI era arcivescovo a Monaco di Baviera.
Che piaccia o meno, esistono circostanze che hanno legittimato questo andazzo per anni, incluso un sistema ben documentato di negazione e insabbiamento in un’istituzione con miliardi di seguaci. Per quanto doloroso sia, il giornale ha l’obbligo di seguire la vicenda fin dove conduce, anche alla porta del Papa.
(© New York Times/la Repubblica. Traduzione di Emilia Benghi)
(26 aprile 2010)
http://www.repubblica.it/esteri/2010/04/26/news/nyt_vaticano-3622813/
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