Per affrontare con il giusto impegno i casi di abuso sessuale nella chiesa, si sottolinea «l’importanza di sviluppare un meccanismo di segnalazione e denuncia, di tipo sistemico e obbligatorio, ad uso dei vari organismi di tutela nel contesto delle chiese locali».
In Italia, però, restano ancora troppe resistenze culturali, nella chiesa e nella società, per affrontare senza timori lo scandalo degli abusi sessuali. Sono queste alcune delle conclusioni raggiunte nel II Rapporto annuale sulle politiche messe in atto dalla chiesa universale per contrastare il fenomeno, presentato dalla pontificia Commissione per la tutela dei minori giovedì 16 ottobre in Vaticano.
Il presidente della Commissione, nominato nei mesi scorsi da Leone XIV, il monsignore francese Thibault Verny, nella conferenza stampa di presentazione, ha osservato: «Camminando al fianco di vittime e sopravvissuti, abbiamo acquisito la profonda convinzione che la strada verso una cultura della protezione non è semplicemente per le vittime e i sopravvissuti, ma con loro. Questo cammino di conversione richiede che ci lasciamo raggiungere da ciò che ascoltiamo. Pertanto, la Commissione si impegna a dire a vittime e sopravvissuti: “Vogliamo essere al vostro fianco”».
Altro elemento importante messo in luce nel testo, è «l’esigenza di un protocollo semplificato per la dimissione e/o rimozione di leader/responsabili o personale della chiesa in casi di abuso o negligenza», in tal senso, «la Commissione sottolinea l’importanza di comunicare pubblicamente le ragioni delle dimissioni e/o della rimozione, quando la decisione riguarda casi di abuso o negligenza».
La trasparenza nella gestione e nella comunicazione all’esterno dei casi di abuso resta, insomma, elemento determinante per la gestione di vicende che rischiano altrimenti di essere nascoste al pubblico al fine di tutelare il “buon nome” dell’istituzione.
Criticità italiane
Fra le realtà nazionali al centro del Rapporto di quest’anno, poi, spicca l’analisi compiuta sul lavoro svolto dalla Conferenza episcopale italiana. Dopo aver sottolineato i progressi, in particolare nell’ambito formativo, la ricerca mette in evidenza alcune criticità.
La Commissione pontificia «si rammarica di non aver incontrato le delegazioni regionali di Abruzzo-Molise, Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Piemonte, Puglia, Triveneto e Umbria e di non aver ricevuto risposte al suo questionario quinquennale sulla tutela dalla totalità delle diocesi». Nel dettaglio, si osserva, «il Servizio nazionale per la tutela ha registrato la presenza di gruppi di lavoro in 144 diocesi su 226».
Sussiste poi «una significativa disparità nel personale e nelle risorse assegnate a molti di questi uffici». Il fatto che diversi di essi vengano attivati unicamente quando necessario e non siano dotati di personale e risorse finanziarie stabili e sufficienti «rappresenta un serio rischio per l’attuazione delle misure di tutela e può, di fatto, complicare i processi di esercizio della responsabilità istituzionale».
Questa prassi – lamenta il Rapporto – potrebbe avere «ripercussioni sulla coerenza, la stabilità e l’affidabilità degli uffici diocesani». Allo stesso tempo si rileva come «il questionario quinquennale della Commissione sulla tutela ha ricevuto risposta da 81 diocesi delle 226 appartenenti alla Cei». La Conferenza episcopale italiana, si spiega ancora, «non dispone di un ufficio centralizzato di ricezione delle segnalazioni/denunce e di analisi, in modo tempestivo e comparativo, della corretta gestione dei casi nelle diverse regioni, al fine di promuovere lo sviluppo uniforme ed efficace di servizi inerenti alle denunce».
Monsignor Luis Manuel Alí Herrera, segretario della pontificia Commissione, in merito alla chiesa italiana, ha detto: «Abbiamo notato che c’è bisogno di professionalizzare i servizi, serve promuovere il dialogo strutturato con le vittime, i sopravvissuti. È un problema che non abbiamo solo in Italia. Le vittime non si sentono ascoltate, non c’è rispetto. C’è una resistenza culturale in seno alla chiesa ma anche nella cultura stessa in senso più ampio, nell’affrontare le situazioni senza peli sulla lingua, con la serietà necessaria».
Infine si registra una certa fatica a proseguire sulla strada della prevenzione. Sul caso dell’ex gesuita Marko Rupnik, accusato di abusi sessuali da diverse religiose, monsignor Alì Herrera ha detto a Domani che la Commissione «non si occupa di casi specifici», tuttavia l’auspicio è che ora, formato il collegio giudicante, le cose «vadano avanti rapidamente».
https://www.editorialedomani.it/fatti/chiesa-abusi-sessuali-clero-rapporto-commissioni-minori-kzoo5hgg