Si è conclusa con una puntata dirompente la prima stagione di “30 minuti con…”, il format indipendente trasmesso sui canali social di WordNews.it e condotto da Paolo De Chiara, giornalista e direttore della testata. Un finale di stagione senza sconti, che ha dato voce a uno dei protagonisti più scomodi della denuncia contro gli abusi sessuali nella Chiesa cattolica: Francesco Zanardi, fondatore di Rete L’Abuso.
Insieme a De Chiara, anche il collaboratore Antonino Schilirò e il vicedirettore Alessio Di Florio, per un confronto serrato, lucido, documentato.
Una puntata necessaria
«Una voce che rompe il silenzio, denuncia l’omertà, pretende giustizia», così Paolo De Chiara ha presentato Zanardi, sopravvissuto agli abusi da parte di un sacerdote e oggi attivista instancabile. Zanardi ha ricostruito la sua vicenda personale, il trauma, la denuncia arrivata dopo decenni, e la nascita di un’associazione che raccoglie testimonianze, dati, denunce, costruendo il più aggiornato database italiano sugli abusi ecclesiastici.
Il quadro emerso è drammatico: oltre 1.200 offender censiti in Italia, più di 4.600 vittime, con una percentuale di sommerso che sfiora l’80%. In Molise 16 preti risultano coinvolti, in Sicilia 99, in Calabria 50. Numeri agghiaccianti. Ma ancora più inquietante è il dato sul sommerso: in molte regioni, la maggior parte degli autori è nota ma non è mai stata processata o condannata.
Leggi assenti, omertà presente
Zanardi ha puntato il dito su un sistema che “non vuole vedere”: lo Stato italiano, che non obbliga alla denuncia, che esclude le attività di volontariato – comprese le parrocchie – dal certificato antipedofilia, che non ha mai istituito una commissione indipendente sugli abusi come avvenuto in Francia o negli Stati Uniti.
E ha ricordato che Papa Francesco ha parlato molto, ma ha fatto ben poco. La CEI, ha sottolineato Zanardi, continua a non trasmettere alla magistratura le denunce ricevute, trincerandosi dietro al fatto che la legge italiana non lo impone. La Chiesa “rispetta la legge”, ha detto amaramente, “ma una legge che tutela i carnefici e abbandona le vittime”.
Nel corso della puntata è stato evidenziato un altro punto critico: l’assenza di una narrazione giornalistica organica sugli abusi. «In Italia non si è mai fatta una vera inchiesta giornalistica di sistema. I casi vengono raccontati come eccezioni, le vittime isolate, i colpevoli nascosti dietro lo schermo dell’istituzione».
Zanardi ha confermato: «Non esistono giornalisti italiani nelle grandi testate che si siano occupati sistematicamente del fenomeno. Le voci che ci hanno seguito sono pochissime, spesso freelance e fuori dal circuito mainstream».
Dalle mancanze legislative alla complicità informativa, passando per la passività dei fedeli e la sistematica promozione ecclesiastica di chi è coinvolto in casi di abusi: la fotografia scattata durante la puntata è quella di un’Italia senza anticorpi, incapace di difendere i più fragili. «I cattolici italiani non protestano – ha detto Zanardi – neppure davanti all’evidenza.».
«Serve una coscienza collettiva, un’educazione civile che ci faccia sentire corresponsabili, anche quando il problema non ci tocca direttamente».
Verso la seconda stagione
La puntata ha chiuso la prima stagione del format. «Abbiamo raccontato storie di mafia, di stragi di Stato, di sanità pubblica smantellata, di testimoni di giustizia dimenticati – ha ricordato Paolo De Chiara –. E ora anche questa pagina, sporca, che pochi vogliono leggere. Ma noi non spegneremo i riflettori».