Nel cuore dell’estate, una lettera ha toccato particolarmente la redazione di Réforme, il giornale protestante francese. Così racconta in un articolo la giornalista Alice Papin. A 81 anni, Catherine (il suo nome è stato cambiato) confida di sentirsi stupita quando di leggere articoli «che mettono in luce i problemi degli ecclesiastici cattolici, problemi che vengono spiegati con il celibato imposto loro dai voti» perché lei stessa, da bambina, è stata vittima di abusi sessuali da parte di un pastore riformato in pensione, di circa sessant’anni, sposato, padre di quattro figli figlie e persino nonno. Ha raccontato di aver completamente seppellito questi fatti, riemersi vent’anni fa, al momento del suicidio di suo figlio, durante uno scambio con uno psicologo. «Ho continuato ad andare avanti nella vita senza pormi domande, senza sapere da dove venisse il mio disagio. Ho messo tutte le mie forze per adattarmi».
La storia di Catherine non è isolata all’interno del protestantesimo. Nel desiderio di riparare gli abusi sessuali commessi contro minori o persone vulnerabili, la Chiesa protestante unita di Francia (EPUdF) ha deciso di unirsi alla Commissione di riconoscimento e riparazione (Crr) alla fine di ottobre; una decisione annunciata in un comunicato stampa diffuso il 7 novembre. Questa scelta si inserisce nel quadro delle azioni intraprese a sostegno delle vittime di violenza, secondo Emmanuelle Seyboldt, presidente del consiglio nazionale dell’EPUdF: «Due anni fa, abbiamo creato una cellula di servizio di ascolto professionale e indipendente per combattere molestie, discriminazioni, abusi di potere e violenza all’interno della Chiesa. Alcuni mesi fa, i membri della cellula ci hanno raccontato della loro incapacità di sostenere le vittime di abusi di venti o trent’anni fa, che si aspettano qualcosa di diverso dal semplice ascolto da parte della Chiesa. Ci è sembrato allora fondamentale trovare persone competenti che li aiutassero a superare questi vecchi traumi».
Percorso di supporto
Diversi motivi hanno portato l’EPUdF a scegliere il Crr come organismo terzo, spiega Emmanuelle Seyboldt: l’esperienza di questa organizzazione, che ha sostenuto un migliaio di persone dalla sua creazione; l’importanza attribuita alla giustizia riparativa nel percorso di conciliazione, in coerenza con le convinzioni dell’EPUdF ; il fatto che il Crr è un ente del tutto indipendente dalla Chiesa, composto da membri di diverse fedi, anche protestanti, tutti reclutati per le loro competenze; e, infine, la straordinaria personalità di suor Véronique Margron, alla guida della Conferenza dei Religiosi e delle Religiose di Francia e iniziatrice della Crr. «La giustizia riparativa, che pone il dialogo al centro del suo approccio, sembra essere lo strumento più adatto per sostenere le vittime e consentire la chiusura di storie che, decenni dopo, continuano a perseguitarle», afferma Emmanuelle Seyboldt.
All’interno del Crr, le vittime delle persone che ricoprono responsabilità nell’EPUdF beneficeranno dello stesso sostegno di coloro che hanno subito abusi nella Chiesa cattolica. «Abbiamo ideato un programma di sostegno che cerchiamo costantemente di migliorare», spiega Antoine Garapon, presidente del Crr. Questo percorso si svolge in diverse tappe fondamentali: prima l’udienza, poi una valutazione effettuata da due referenti attraverso uno strumento di analisi che permette di misurare l’impatto della violenza sessuale sulla vita delle vittime, e infine la riparazione, decisa in assemblea plenaria da parte di una commissione. La riparazione avrà un tetto massimo di 60.000 euro. È importante non confondere risarcimento e riparazione. Il risarcimento, che mira a risarcire materialmente una perdita, non può applicarsi qui, perché non può riparare una vita spezzata da uno o più atti violenti. Ciò che offriamo è una forma di riparazione simbolica, un riconoscimento ufficiale dei fatti e della sofferenza che ne deriva. La cifra stanziata serve semplicemente a dare più peso a questa parola di riconoscimento.»
Nessuna “deriva sistemica”
Dal punto di vista finanziario, sarà la Chiesa protestante unita, a livello nazionale, a sostenere i costi della riparazione, e non le Chiese locali. Per quanto riguarda il processo di giustizia riparativa, le sue modalità saranno definite caso per caso, in un dialogo tra la vittima e l’organismo interessato (consiglio presbiterale, regionale o nazionale). Ci si può tuttavia chiedere perché l’EPUdF, prima di aderire al Crr, non abbia avviato un’indagine indipendente su larga scala, come avvenuto nella Chiesa cattolica attraverso la Commissione Ciase, per valutare l’entità degli abusi nel protestantesimo.
«Ogni vittima è una di troppo; per questo riconosciamo la responsabilità della Chiesa in questa violenza e stiamo adottando misure concrete, spiega Emmanuelle Seyboldt, sempre dalle colonne del giornale Réforme. Tuttavia, il funzionamento dell’EPUdF, caratterizzato in particolare dalla collegialità dei suoi organi e dalla limitazione dei mandati, sembra proteggerci da una deriva sistemica all’interno della nostra organizzazione. Ma la Chiesa protestante unita non è immune alla violenza, come la società francese.» Secondo Emmanuelle Seyboldt, dalla sua creazione, il numero di chiamate ricevute dall’unità d’ascolto riguardanti violenze passate contro minori o persone vulnerabili rimane molto limitato e «si conta sulle dita di una mano».
Fattori aggravanti
Ma le vittime scelgono sempre di farsi avanti? Per quanto riguarda la violenza attuale, gli abusi si potrebbero contare sulle dita di due mani o forse di più. «Quando affermiamo, come nel rapporto della commissione etica e società della Federazione protestante di Francia sulla violenza sessuale e spirituale, pubblicato nel febbraio 2023, che non esiste alcun abuso caratteriale sistemico all’interno del protestantesimo, questo non significa in alcun modo che questa violenza non esista tra noi», precisa Valérie Duval-Poujol, vicepresidente della Federazione protestante di Francia, impegnata nella sensibilizzazione sugli abusi spirituali e sessuali. Secondo la teologa battista gli abusi sono numerosi e, forse a causa della minore visibilità mediatica dei casi protestanti, la parola non è ancora stata del tutto diffusa. Osserva che, sul campo, pastori specializzati nel sostegno o psicologi incontrano ogni settimana le vittime. Se alcuni aspetti del protestantesimo possono limitare la violenza, ci sono anche, secondo Valérie Duval-Poujol, fattori aggravanti: rapporti di potere, una sopravvalutazione della figura pastorale posta a modello, tabù sulla sessualità o addirittura disuguaglianze tra uomini e donne.
La Commissione per il riconoscimento e la riparazione
La Commissione Riconoscimento e Riparazione (Crr) è stata creata nel novembre 2021, dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione Indipendente sugli Abusi Sessuali nella Chiesa (Ciase), che stimava in 320.000 il numero delle vittime di abusi sessuali da parte di religiosi e laici persone nella Chiesa cattolica tra il 1950 e il 2020. Questo rapporto ha suscitato uno shock ben oltre i confini della Chiesa di Francia. Allo stesso tempo è stata istituita l’Autorità nazionale indipendente per il riconoscimento e la riparazione (Inirr). Queste due organizzazioni indipendenti condividono lo stesso obiettivo: riconoscere e riparare questi massicci abusi. Tuttavia, la Crr prende in considerazione la violenza commessa all’interno delle congregazioni religiose, mentre l’Inirr si concentra su quella perpetrata dai membri delle diocesi della Conferenza episcopale di Francia.
Il Sinodo della Chiesa tedesca affronta a sua volta il tema degli abusi
Il tema degli abusi all’interno delle istituzioni ecclesiastiche sta avendo un grosso peso anche nel Sinodo della Ekd, la Chiesa evangelica in Germania, in corso fino a domani 13 novembre a Würzburg. La chiesa evangelica tedesca proprio un anno fa è stata scossa dalle dimissioni della sua presidente, la pastora Annette Kurchus, accusata di aver celato un caso di violenza sessuale all’interno della sua comunità.
L’Ekd, che federa chiese evangeliche e luterane tedesche per un totale di circa 25 milioni di persone, ha istituito negli scorsi anni un Forum sulla partecipazione alla violenza sessuale che durante il Sinodo in corso ha presentato un piano d’azione in materia.
Una delle misure raccomandate riguarda la revisione della politica di protezione dalla violenza dell’Ekd, che dovrebbe garantire standard uniformi di prevenzione, intervento e sostegno. La creazione di un ufficio di mediazione dovrebbe consentire un sostegno migliore e indipendente alle persone colpite. Un altro punto centrale è una profonda sensibilizzazione della Chiesa e della diaconia.
«Lo studio di revisione del forum ci ha dimostrato all’inizio dell’anno che non abbiamo ancora raggiunto il punto sperato in termini di trattamento e prevenzione», ha affermato la presidente del Sinodo Anne-Nicole Heinrich. «Sono grata che siamo riusciti a tradurre le raccomandazioni in misure concrete. Nella Chiesa protestante e nella Diakonia tutti sono ora chiamati a partecipare coerentemente all’attuazione, con tutte le nostre energie e senza se e senza ma».
Uno studio scioccante
Il riferimento è all’analisi fortemente voluta dalla stessa Ekd che lo ha finanziato tre anni fa con ben 3,6 milioni di euro di investimento, all’indomani dell’emergere di varie testimonianze di abusi raccolte nel tempo. Lo studio fa parte di un pacchetto completo di misure per la protezione dagli abusi e molestie sessuali, che il Sinodo Ekd ha deciso di adottare a novembre 2018 (avevamo parlato qui dei numeri inquietanti degli abusi anche in seno alla Chiesa evangelica in Germania). Da allora, la Chiesa evangelica ha istituito un consiglio consultivo per la protezione contro la violenza. Ci sono commissioni indipendenti nelle chiese regionali che riconoscono l’ingiustizia che si è verificata. La protezione contro la violenza è stata anche incorporata nei regolamenti legali tramite una direttiva transnazionale sulla protezione della violenza.
I dati sono effettivamente sconvolgenti: il team di ricerca indipendente ha identificato almeno 2200 vittime accertate, che sommate ai casi in fase di accertamento, potrebbero portare a oltre 9 mila i minori vittima di abusi nella Chiesa evangelica dal 1946 a oggi, con un numero di presunti abusatori che supererebbe le 3 mila unità. Un terzo fra loro sarebbero pastori e vescovi, gli altri operatori che lavoravano per organizzazioni legate alla chiesa, Diaconia in particolare.
«Il riconoscimento non è solo una questione di soldi», sottolinea Detlev Zander, portavoce delle vittime nel Forum. «Rappresenta un atteggiamento che la Chiesa dovrebbe e deve mostrare verso il mondo esterno. Il riconoscimento si riflette anche nel fatto che la Chiesa abbia il coraggio di intraprendere nuove strade».
Nella riunione di Würzburg il Sinodo vuole decidere anche altre misure che consentano di trarre conclusioni dallo studio presentato a gennaio sulla portata della violenza sessuale nella Chiesa protestante e nella diaconia.
In Inghilterra l’arcivescovo Justin Welby sulla graticola
Quanto il tema sia centrale per il futuro delle chiese, soprattutto per quanto riguarda la loro credibilità, lo dimostra anche il caso, scoppiato in queste ore, che riguarda l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, primus inter pares della Comunione anglicana. Caso che in realtà sarebbe già stato noto da tempo alle autorità ecclesiastiche; da qui le feroci critiche in corso.
L’arcivescovo Welby sta affrontando una crescente pressione per dimettersi dopo che una commissione indipendente chiamata a valutare l’operato in tema di abusi sessuali della Chiesa d’Inghilterra ha concluso in parte che Welby «poteva e avrebbe dovuto» denunciare le accuse alle autorità un decennio fa, quando venne a conoscenza per la prima volta di una losca vincerà di violenze.
La controversia si concentra su un’indagine sulle accuse di abusi contro John Smyth, accusato di attacchi «continui, brutali e orribili» su oltre 100 ragazzi e giovani uomini mentre frequentavano campi cristiani alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80. L’indagine indipendente è stata commissionata nel 2019 dal National Safeguarding Team della chiesa. I suoi risultati sono stati pubblicati e divulgati la scorsa settimana, il 7 novembre.
«Nonostante i notevoli sforzi compiuti da singoli individui per portare all’attenzione delle autorità competenti la portata e l’orrore della condotta di Smyth, anche da parte delle vittime e di alcuni membri del clero, le misure adottate dalla Chiesa d’Inghilterra e da altre organizzazioni e individui sono state inefficaci e non hanno né completamente esposto né impedito ulteriori abusi da parte sua», afferma il rapporto investigativo.
«Netta mancanza di empatia e tendenza a minimizzare la questione»
Il giorno della pubblicazione del rapporto, Welby ha rilasciato delle scuse pubbliche per non essersi assicurato che «la terribile tragedia fosse indagata energicamente» e per non aver incontrato rapidamente le vittime di Smyth.
Welby e altri alti funzionari della Chiesa d’Inghilterra sono venuti a conoscenza per la prima volta delle accuse di abusi contro Smyth nell’agosto 2013 (11 anni fa!), afferma il rapporto, ma «c’è stata una netta mancanza di empatia mostrata da queste figure di alto livello e una tendenza a minimizzare la questione, dimostrata dall’assenza di ulteriori interrogatori e follow-up».
La polizia inoltre ha aperto un’indagine penale su Smyth nel 2017 in risposta alle informazioni rese pubbliche quell’anno in un documentario televisivo. Smyth è morto nel 2018 all’età di 75 anni. All’epoca, si diceva che si trovasse in Zimbabwe e che fosse in procinto di essere estradato per affrontare le accuse in Inghilterra.
Ieri 11 novembre, Helen-Ann Hartley, vescova di Newcastle, ha chiesto le dimissioni di Welby.
«Penso che sia molto difficile per la chiesa, in quanto chiesa nazionale e consolidata, continuare ad avere una voce morale in qualsiasi modo, forma o aspetto nella nostra nazione, quando non possiamo mettere ordine in casa nostra per quanto riguarda qualcosa di così criticamente importante come gli abusi» ha detto Hartley alla BBC.
Separatamente, un membro del Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra, il reverendo Robert Thompson, ha lanciato una petizione su Change.org chiedendo a Welby di dimettersi. A ieri sera, aveva ricevuto più di 7.000 firme virtuali.
L’Episcopal News Service ha contattato l’ufficio stampa di Welby a Lambeth Palace per chiedere un commento e un portavoce ha rimarcato che «L’arcivescovo ribadisce il suo orrore per la portata dell’abuso di John Smyth. Welby si è scusato profondamente sia per i suoi fallimenti e omissioni, sia per la malvagità, l’occultamento e l’abuso da parte della chiesa in senso più ampio».
Welby, secondo la dichiarazione, «non era a conoscenza o sospettava delle accuse prima che gli venissero comunicate nel 2013» e non ha intenzione di dimettersi. Spera, tuttavia, che il rapporto investigativo supporti «il lavoro in corso per costruire una chiesa più sicura qui e in tutto il mondo».
Un storia nota da decenni
Un’indagine del 1982 condotta segretamente dall’Iwerne Trust, che finanziava i campi estivi, fu insabbiata. Il Winchester College, la scuola pubblica frequentata da molte delle vittime, proibì a Smyth di entrare nei suoi locali ma non denunciò i suoi crimini alla polizia.
Smyth si trasferì nello Zimbabwe, dove continuò ad abusare di ragazzi e dovette affrontare le accuse di aver ucciso un ragazzo di 16 anni in un campo estivo nel 1992. Il caso fu archiviato. Smyth si sposto quindi in Sudafrica, dove nel 2017 fu rimosso dall’incarico di leader della sua chiesa locale a Città del Capo dopo accuse di comportamento inappropriato.
Welby aveva incontrato Smyth quando faceva volontariato nei campi estivi dell’Iwerne Trust nel Dorset. Nel 2017 disse: «Per come lo ricordo, era un oratore affascinante, delizioso, molto intelligente e brillante. Non ero un suo caro amico, non ero nella sua cerchia ristretta o nella cerchia ristretta della dirigenza del campo, tutt’altro».
Il rapporto della scorsa settimana ha affermato che Welby «potrebbe non essere stato a conoscenza dell’estrema gravità dell’abuso, ma è molto probabile che avesse almeno un livello di conoscenza del fatto che John Smyth fosse motivo di preoccupazione».
Nel 2013, pochi mesi dopo che Welby aveva assunto il suo ruolo di arcivescovo, lui e altre figure di alto livello sono stati informati delle accuse. La scorsa settimana Welby ha riconosciuto di non aver «garantito che ciò fosse perseguito con la stessa energia e spietatezza di quanto avrebbe dovuto essere». È stato, ha detto, un «fallimento davvero vergognoso».
Da quando Welby è diventato arcivescovo, la Chiesa d’Inghilterra ha pubblicato una serie di rapporti sulla sua gestione dei casi di abusi. Quasi tutti hanno trovato prove di occultamento, insabbiamento e sforzi per contenere i danni alla reputazione.
La Chiesa d’Inghilterra ha investito denaro e risorse nei suoi sforzi per migliorare la tutela e correggere gli errori del passato. Ci sono stati alcuni miglioramenti, ma la maggior parte dei sopravvissuti afferma che nel complesso la risposta della chiesa è stata incoerente e spesso dannosa.
Ciò che contraddistingue questo caso è che Welby vi è personalmente coinvolto. Era nei campi estivi quando Smyth, un uomo che ammirava molto, metteva in atto i suoi abusi. Era in una posizione di potere quando i sopravvissuti si sono fatti avanti e non è intervenuto. La Chiesa d’Inghilterra ha tergiversato sulla revisione commissionata sui crimini di Smyth. Non c’è da stupirsi che le richieste di dimissioni di Welby stiano aumentando.
Francia, Germania, Inghilterra, il tema degli abusi scuote e interroga le chiese
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