Da circa 20 anni mi occupo da giornalista di violenze su bambini e bambine (e donne) compiute in ambiente ecclesiastico e non solo. Da oltre dieci anni collaboro con Rete L’Abuso. Oltre ad aver molto studiato, ho intervistato avvocati, storici, filosofi, magistrati, sociologi, psichiatri e psicoterapeuti che hanno fatto ricerca scientifica su questi temi o che hanno avuto vittime tra i loro pazienti. Mi sono avvalso del loro contributo nei miei libri e nelle inchieste che ho scritto per 17 anni sul settimanale Left. Ma ho anche intervistato centinaia di vittime di Paesi diversi, ho visto l’orrore e la disperazione nei loro occhi.
Quasi tutte avevano impiegato anche decine di anni a elaborare, per quanto possibile, e denunciare la violenza subita da bambini. Secondo uno studio australiano passano in media 33 anni prima che ci riescano. Molte vittime di preti pedofili hanno pesantissime disabilità congenite (sordità, cecità etc) che le hanno rese ancor più vulnerabili tra gli esseri umani più vulnerabili. Moltissime di quelle che ho incontrato sono cresciute senza uno o entrambi i genitori, oppure in ambiente familiare assente e anaffettivo, e di questa carenza affettiva aveva approfittato lucidamente il pedofilo per avvicinarsi al bambino o alla bambina sapendo che difficilmente un adulto li avrebbe protetti.
Ricordo il racconto di una ragazza. Era stata stuprata per 4 anni, sin da bambina, da un sacerdote di oltre 40 anni più grande di lei. Non aveva praticamente mai avuto il padre, la mamma era la collaboratrice domestica del suo stupratore. Le chiesi: “Ma quando il parroco ti mise le mani addosso non dicesti nulla a tua madre? “Certo” mi rispose. E come reagì? “Mi dette uno schiaffo, mi accusò di aver inventato tutto e non ne parlò mai più”. Lei aveva 13 anni. Nessuno la aiutò e denunciò tutto appena divenuta maggiorenne. Ad accompagnarla in caserma, in un’altra città, fu una zia. L’indifferenza mortale della madre è la stessa che riscontro da 20 anni a livello istituzionale.
In Italia Stato e Chiesa non hanno mai preso in considerazione l’idea di realizzare un’indagine su scala nazionale o di delegare una commissione indipendente a farlo. Tempo fa chiesi a una ministra per le Pari opportunità e al portavoce della Santa Sede (mons. Lombardi) come mai l’Italia non prendesse esempio da altri Paesi molto simili al nostro per tradizione cattolica, che hanno deciso di affrontare, indagando a fondo, il fenomeno criminale della pedofilia nella Chiesa cattolica. La ministra mi rispose che la questione non era nel programma di governo. Mons. Lombardi mi disse che da noi il problema non sussiste. Un inciso: rivolsi questa domanda alla ministra in occasione della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione di Lanzarote sulla tutela dei minori; seduto accanto a lei c’era un vescovo sebbene la Santa Sede non aderisca alla Convenzione.
Non molto convinto di queste risposte mi sono messo a indagare e nel 2014 ho scritto il mio secondo libro “Chiesa e pedofilia, il caso italiano”. Dopo oltre 200 pagine di inchiesta, fonti verificate, documenti e testimonianze alla mano, sono giunto alla conclusione opposta rispetto a quella del monsignore, avendo scoperto che dall’Unità d’Italia in poi la pedofilia di matrice clericale attraversa senza soluzione di continuità tutta la storia del nostro Paese.
In Italia non esistono statistiche ufficiali sulla diffusione della pedofilia in generale, men che meno su quella di matrice clericale.
Il ministero per le Pari opportunità non rende pubblici i dati dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile contribuendo a far passare l’idea falsa, nell’opinione pubblica, che si tratti di un fenomeno occasionale, circoscritto a determinati ambiti o specifiche realtà di degrado sociale.
Tra il 2022 e l’inizio del 2023, in assenza di statistiche ufficiali ho realizzato per Left una lunga inchiesta – lavorando su fonti giornalistiche, documenti, testimonianze, sentenze passate in giudicato etc – dalla quale è emerso che in Italia in 23 anni, dal 2000, sono stati denunciati 146 sacerdoti, 113 sono state le condanne definitive per reati di natura pedofila, le vittime accertate minori di 14 anni sono state almeno 516. Dico almeno perché è impossibile anche solo stimare il numero delle vittime di pedopornografia online. Nessuna delle 146 denunce alla magistratura è partita da un vescovo.
E ancora, il 17 dicembre del 2022 mons. Baturi, segretario generale della Conferenza episcopale, ha rivelato che dal 2010 al 2020 sono stati «613 i fascicoli trasmessi dalle diocesi italiane al dicastero per la Dottrina della fede», cioè alla Santa sede. Altri 100 fascicoli erano stati trasmessi tra il 2000 e il 2010. Sommando questi numeri viene fuori che tra il 2000 e il 2023 in Italia sono stati denunciati almeno 146+613+100 (cioè 859) casi di pedofilia nella Chiesa. Nemmeno i 713 fascicoli della Cei sono mai stati condivisi con la magistratura, sempre in virtù del “diritto” a non collaborare sancito dall’articolo 4 del Concordato.
Solo per fare un paragone veloce: Spotlight del Boston Globe nel 2001 ha dato il via alle inchieste negli Usa che hanno portato alla bancarotta 15 diocesi, partendo da 89 casi; la commissione Ciase in Francia, di cui tanto si è parlato qui da noi nel 2021, ha scoperchiato un’orrenda situazione molto simile a quella statunitense partendo dalla denuncia di 70 casi. Qui da noi, dopo 859 casi e chissà quante migliaia di vittime ancora non si muove nulla.
La mia indagine giornalistica conferma quanto scoperto e accertato dall’associazione Rete L’abuso, una onlus che è anche l’unica realtà della società civile nel nostro Paese che si occupa di tutela dei diritti delle vittime di preti violentatori.
È bene ribadire a questo punto che la cosiddetta “giustizia” ecclesiastica si fonda sulla convinzione che il più violento dei crimini nei confronti di un bambino o una bambina sia prima di tutto un peccato, un delitto contro la morale. E come tale viene trattato: il punto non è tanto evitare che un pedofilo ghermisca la sua preda ma che un prete e la sua vittima facciano del «male» a Dio. È l’offesa alla divinità che è intollerabile, sta qui la «tolleranza zero» di papa Francesco, tanto esaltata anche dalla stampa laica. Si tratta di una visione umanamente e scientificamente inaccettabile (come si evince anche dalle slide appena mostrate), di cui l’Italia – uno Stato laico per Costituzione – non tiene conto nel tenere in vita il Concordato e l’articolo 4 in particolare. Ma anche nel disapplicare la Convenzione di Lanzarote.
Cosa comporta questa situazione? Comporta che il pedofilo prete – che come tutti i pedofili è una persona gravemente malata di mente ma non di quelle che danno in escandescenza – sia lucidamente consapevole di poter agire pressoché indisturbato, potendo contare sulla “copertura” delle proprie istituzioni, e su un credito socialmente e politicamente riconosciuto molto più alto di qualsiasi altro membro della società civile.
Questo significa che la vittima durante la sua vita non dovrà combattere solo contro le conseguenze della violenza in sé, ma anche contro tutto ciò che un sacerdote rappresenta ancora oggi – spesso inspiegabilmente – nell’immaginario comune. E dovrà combattere contro l’istituzione religiosa, di cui il pedofilo fa parte, capace di condizionare in maniera profonda sia l’opinione pubblica che la politica con suoi onnipresenti organi di propaganda e informazione, al fine di preservare in primis l’immagine pubblica del papa. E poco importa a costoro se questo atteggiamento abbia come diretta conseguenza la lesione di un diritto umano fondamentale: la salute psicofisica della persona.
https://federicotulli.substack.com/p/quei-ladri-dinnocenza-e-lindifferenza
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