Papa Francesco è tornato ancora una volta ad attaccare l’aborto, definendo “assassine” le donne che abortiscono e “sicari” i medici che lo praticano. Non è la prima volta che Bergoglio usa queste parole: nel 2021 in un’intervista al TG5 aveva detto che le donne “affittano un sicario” per “risolvere il problema” di una gravidanza indesiderata; nel 2022, intervistato dall’agenzia stampa Reuters sul ribaltamento della sentenza Roe v. Wade negli Stati Uniti, utilizzò ancora una volta la stessa metafora, presente anche nella sua autobiografia Life. La mia storia.
Dal massimo rappresentante della Chiesa cattolica non dobbiamo certo aspettarci parole in sostegno del diritto d’aborto, ma le condanne del pontefice sull’interruzione di gravidanza sono non solo più frequenti, ma anche sempre più dure e colpevolizzanti nei confronti delle donne. Sulle imminenti elezioni americane, ad esempio, il papa ha detto che sia Trump che Harris sono “contro la vita”, il primo per il trattamento dei migranti, la seconda per il suo sostegno pubblico al diritto di aborto.
Dal punto di vista della dottrina, nel 2016 il papa ha concesso a tutti i sacerdoti di assolvere dal peccato di aborto, una facoltà prima riservata soltanto ai vescovi, ma non ha eliminato la scomunica per chi lo procura. La notizia era stata accolta con grande entusiasmo dalla stampa e dall’opinione pubblica, che lesse questo gesto come un atteso segnale di apertura di un papa “moderno” e “progressista”. Tuttavia, diversi teologi e canonisti hanno più volte fatto notare che questo gesto non equivale a un perdono generalizzato nei confronti dell’aborto, che infatti Bergoglio ha continuano a condannare pubblicamente più e più volte. Non è tanto diverso da quanto fatto con la comunità LGBTQ+: se da un lato il papa ha concesso la benedizione delle coppie omosessuali, dall’altro continua a parlare di “ideologia gender” come “pericolo” o “manifestazione del male”.
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Solo pochi mesi fa, nella dichiarazione apostolica Dignitas Infinita Bergoglio stilava una lunga ed esplicita condanna all’aborto, inserendolo insieme alla guerra e alla violenza contro le donne fra le più gravi violazioni della dignità umana. Nel testo, il papa ribadiva che l’aborto deve essere sempre chiamato, citando Giovanni Paolo II, “l’uccisione deliberata e diretta […] di un essere umano” e che terminologie a suo dire “ambigue” come “interruzione di gravidanza” servono solo ad attenuare la gravità del fatto. Come fa notare il vaticanista Marco Grieco, il lungo paragrafo non parla mai delle donne, ma fa un riferimento all’operato di Madre Teresa di Calcutta, che nel suo discorso di accettazione del Nobel per la pace nel 1979, si scagliò contro il diritto di aborto.
In quegli anni, diversi Paesi occidentali stavano depenalizzando l’interruzione di gravidanza: gli Stati Uniti nel 1973, la Francia nel 1975, l’Italia nel 1978. Madre Teresa non si limitò a parlare da religiosa, ma entrò appieno nella politica del tempo, stringendo un sodalizio col presidente americano Ronald Reagan, che sin dalla sua campagna elettorale si presentò come un antiabortista che voleva abolire la sentenza Roe v. Wade.
La posizione della Chiesa sull’aborto è chiara ed è stata stabilita una volta per tutte con la scomunica per l’aborto volontario di Pio IX nel 1869, con l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI, scritta nel pieno della rivoluzione sessuale nel 1968, e infine con l’Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II del 1995. Perché allora Francesco insiste così tanto su questo tema, e con parole così dure?
Da un lato c’è la politica. Il tema dell’aborto è al centro dell’attuale campagna elettorale statunitense, che sta creando diversi grattacapi a Bergoglio, che si deve scontrare con un clero che gli è molto ostile e che propende per l’elezione di Trump. Trump, dal canto suo, ha detto che se diventerà presidente non imporrà ulteriori restrizioni all’aborto e i sempre più frequenti riferimenti del papa al tema potrebbero essere letti come un segnale per ribadire che l’ultimo baluardo della “difesa della vita” resta la Chiesa cattolica.
Dall’altro lato, non si può non notare come il lessico di papa Francesco sull’aborto sia cambiato, e per certi versi addirittura tornato indietro rispetto a quello dei suoi predecessori. Giovanni Paolo II nella sua famosa “Lettera alle donne” condannò l’aborto come grave peccato, pur dicendo che “prima di essere una responsabilità da addossare alle donne, è un crimine da addebitare all’uomo e alla complicità dell’ambiente circostante”. Francesco, invece, se la prende spesso e volentieri con le donne, accusandole di cercare una soluzione facile e veloce per non prendersi la responsabilità di un figlio. In tutti questi anni non ha mai rivolto una parola sul ruolo degli uomini.
La visione di Bergoglio delle donne è stata spesso criticata. Anche le recenti parole sull’aborto arrivano al culmine di un viaggio in Belgio durante il quale ha descritto il ruolo delle donne nella società con parole retrograde e conservatrici. In più di un’occasione si è scagliato contro il “chiacchiericcio” e le maldicenze, definendole abitudini “da donne”. Ha inoltre chiuso una volta per tutte la questione del sacerdozio femminile, dicendo che le donne “servono come donne”.
Sull’aborto, il papa si ritrova a osservare inerte ciò che la politica fa con i diritti riproduttivi: dal 2020 a oggi l’Argentina, la Colombia, l’Uruguay, la Guyana, l’Ecuador e il Messico hanno depenalizzato l’aborto. La Francia lo ha inserito in Costituzione. Gli Stati Uniti lo hanno limitato, ma grazie al contributo e all’influenza delle chiese protestanti che accusano Francesco di essere un comunista libertario. Incapace di incidere sulla politica mondiale come vorrebbe, al papa non resta che attaccare le dirette interessate, facendo leva sul senso di colpa individuale per aver commesso il più grave dei peccati. Un atteggiamento più da pontefice medievale che da papa moderno come Bergoglio vorrebbe apparire.
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