di Federico Tullli – È l’anno 305 quando il Concilio di Elvira stabilisce come punizione per gli «stupratores puerorum» il rifiuto della comunione. Poi, per un migliaio di anni poco o nulla viene tramandato. Certamente non perché miracolosamente gli abusi siano cessati.
Ecco cosa annota lo storiografo Claudio Rendina nel suo libro I peccati del Vaticano (Newton Compton, 2009):
«Stranamente l’alto e basso Medioevo non ci rivelano casi di pedofilia nei quali siano coinvolti ecclesiastici, ma questo dipende anche dall’ignominioso concetto che i bambini di quel tempo sono ritenuti posseduti dal demonio, tanto da essere torturati e bruciati vivi affinché possano espiare le loro colpe. Questi bambini non sono altro che i capri espiatori su cui sfogare libidini, risentimenti politico-religiosi, superstizioni e paure di un’intera comunità, e quindi eventuali casi di pedofilia rientrano nell’applicazione di certe condanne».
Tutta la storia della Chiesa è dunque attraversata da episodi di abusi e violenze sui bambini di cui si sono resi protagonisti anche numerosi pontefici.
Dal 366, con Damaso I, fino al 1550, con Giulio III, se ne contano diciassette. Come Sergio III il quale, salito al trono pontificio nel 904 a quarantacinque anni, ebbe per amante la quindicenne Marozia. E come Sisto IV, papa dal 1471 al 1484, noto alle cronache dell’epoca per la sua relazione con un dodicenne. E poi ancora Giulio II, nel 1511, con il piccolo Gonzaga di dieci anni. E Giulio III con Innocenzo del Monte, anche lui dodicenne, che lo stesso Papa nominerà cardinale a diciott’anni.
Siamo nel 1550 e una pasquinata di allora recita:
Ama Del Monte con ugual ardore
la scimmia e il servitore.
Egli al vago femmineo garzoncello
ha mandato il cappello*:
perché la scimmia, a trattamento uguale,
non fa pur cardinale?
Scopri di più da Rete L'ABUSO
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.