di Alessandro Ambrosini – Il cardinale Poletti, non era solo nelle rubriche telefoniche del potere politico romano. Usava “l’arte delle pubbliche relazioni” a 360°. Sapeva relazionarsi con ogni fascia sociale se ciò poteva servire ai suoi scopi. Scopi che potevano collimare con quelli della Chiesa e del suo ruolo ecclesiastico. Altri rimanevano strettamente personali, e con molti punti di domanda.
Di illazioni e congetture ne sono state fatte molte sul Vicario di Roma. Sicuramente alcune sono state inventate per invidia, alcune per lotte intestine di potere, altre senza riscontri. C’è una regola però che bisogna sempre considerare: se le stesse “voci” vengono da più ambienti, se ciclicamente compaiono su certi argomenti, qualcosa di vero c’è. Sempre. Soprattutto in un periodo storico ( gli anni ‘70/’80) in cui, per l’opinione pubblica, la Chiesa era forte e moralmente indiscutibile. Anni in cui rappresentava un baluardo spirituale, economico e sociale dell’Occidente all’interno della “Guerra fredda”. Un ruolo che ha permesso più del lecito in molti casi, “scandalo Marcinkus” docet.

Nella politica vaticana, Poletti non è mai stato vicino all’ala di Casaroli, che proponeva la famosa “Ostpolitik”, la politica di apertura verso i paesi del blocco di Varsavia. Era un anticomunista convinto. Negli anni delle Brigate Rosse, sebbene non sia mai stato colpito un solo rappresentante della Santa Sede, la paura di rapimenti o gambizzazioni era concreta nel silenzio delle stanze dei porporati.
E’il 12 febbraio del 1980, quando a Roma, sugli scalini che portano alla facoltà di Scienze politiche della Sapienza, viene ucciso con sette colpi di pistola Vittorio Bachelet. Docente e vicepresidente del Csm, democristiano proveniente dall’Azione Cattolica, Bachelet era finito nel mirino delle Brigate Rosse per “aver trasformato il Consiglio Superiore della Magistratura da organismo formale a mente politica”. Il primo democristiano che le Br hanno voluto uccidere. Non rapire, non processare come l’onorevole Aldo Moro, qualche anno prima. Una differenza sostanziale. Non era un politico qualsiasi il giurista romano. Era stato dentro le architetture di sistema dello Stato pontificio, era stato un collaboratore prezioso per gli ultimi papi. Soprattutto per Paolo VI che nel ‘76 lo fece nominare vicepresidente del Pontificio consiglio per la famiglia, per la giustizia e per la pace.

L’omicidio Bachelet fece scalpore dentro le mura del Vaticano, forse più del rapimento del presidente Moro. Bachelet non era solo politicamente vicino alla Chiesa. Bachelet era dentro la Chiesa. Forse, fu per questo che il cardinale Poletti iniziò ad allacciare rapporti con alcuni elementi trasversali tra le formazioni estremistiche di destra e la criminalità organizzata della Banda della Magliana. Personaggi che frequentavano le zone adiacenti Città del Vaticano, come Prati, Parioli o il centro storico. Persone giovani, che sapevano “muoversi” e che potevano sentire ciò che non arrivava dietro le mura leonine. Persone che potevano essere “utili” per scopi non ufficiali. Fuori dal controllo della Gendarmeria. Non era qualcosa di inusuale. Altri porporati, prima di lui, conobbero e usarono persone con pedigree criminale di spessore. A Regina Coeli o al minorile di Trastevere, come l’allora segretario di Stato Agostino Casaroli, come i cappellani del tempo: don Pietro Prestinenzi e don Pietro Vergari. In modo più diretto, e continuativo, l’oscuro vescovo Paul Marcinkus.
Il cardinale e il “guerriero senza sonno. Una nota stonata
E’ da una agenda, sequestrata nel 1983 a un latitante dei Nar, Stefano Soderini, che possiamo parlare di rapporti tra Poletti e l’area spontaneista armata dell’estremismo di destra. La giornalista d’inchiesta Antonella Beccaria, durante il processo a Gilberto Cavallini sulla strage di Bologna nota, nei fascicoli processuali, un appunto in una pagina dell’agenda. E’ segnato in data 19 giugno 1982 e recita: Ore 19 Tel. Card. Poletti.


Soderini si pentì, dopo il suo arresto. Alcuni anni dopo, ancora sotto regime di protezione e di collaborazione, rapì il figlio che ebbe con una donna ungherese e andò in Guatemala. Paese senza trattato di estradizione. Lo cercarono? Questa domanda se la pose anche il presidente della corte che, durante il processo a Paolo Bellini sulla strage di Bologna, chiese lumi in quanto Soderini doveva essere sentito come testimone. Venne prodotta una nota della Digos che recita: “la Questura di Bergamo e Roma, La Direzione Centrale Polizia Criminale di Roma, Servizio Centrale di Protezione, opportunamente interessati da questa DIGOS, non hanno fornito elementi utili sia per il rintraccio di Soderini che per accertare la presenza dello stesso nel territorio nazionale. In relazione a quest’ultimo punto emerge agli atti della DIGOS di Roma che Soderini avrebbe lasciato il territorio nazionale alla fine del 2005 per raggiungere il Guatemala. Inoltre a carico del predetto risulta inserita in data 3 marzo 2011, dal Reparto Carabinieri di Roma, una segnalazione per rintraccio e notifica. In conclusione si rappresenta che allo stato il predetto non risulta rintracciato e si fa riserva di comunicare ogni positivo elemento di novità utile al suo rintraccio.” Tradotto, sappiamo che è in Guatemala, non sappiamo esattamente dove e quindi non possiamo chiedere alle autorità locali di contattarlo o fermarlo.Una nota che, anche in questo caso lascia dubbi sull’effettiva volontà di fermare o arrestare Soderini, che per il fatto di aver sottratto un minore a chi aveva la patria potestà del figlio minorenne, ha visto decadere anche il suo status di collaboratore.
Dubbi che aumentano,quando non si riscontrano domande o richiesta di spiegazioni su quella nota riferita a Poletti, non ufficialmente almeno. Il cardinale Poletti non era certo un nome così inflazionato da diventare il “soprannome” di qualcuno. Di sicuro non di un ragazzo di 21 anni che deve pensare a come non farsi arrestare, a come procurarsi i soldi per vivere, a dove dormire.
Cosa poteva legare il cardinale Poletti a un personaggio così distante dalla sua missione religiosa? Perché un latitante avrebbe dovuto telefonargli quel 19 giugno del 1982? Perché nessuno ha approfondito quella nota? Troppo “potente” Poletti, o troppo rischioso andare a disturbare lo Stato del Vaticano, per gli inquirenti?
Il cardinale e il “cassiere”
Quando si parla del cardinale Poletti, non si ricordano le opere meritevoli fatte durante il suo mandato da Vicario di Roma. Il pensiero corre alla tomba di Enrico De Pedis a Sant’Apollinare. E’ la sua fotografia indelebile. Quel “lasciapassare” che ha mischiato il sacro al criminale, rimane il richiamo più forte a dei legami che non sono stati esclusivamente con il boss dei “testaccini” della Banda della Magliana. E’ un dogma che quando la criminalità si mischia alla società, tutto diventa meno chiaro, più sfocato. Il potere dei soldi lava anche il sangue con cui sono stati guadagnati.

Enrico Nicoletti
Se Marcinkus si rapportò con faccendieri della Banda della Magliana come Flavio Carboni o Ernesto Diotallevi, Poletti li ebbe sicuramente con Enrico Nicoletti, definito in modo superficiale il “cassiere” della stessa. In realtà un dominus, per molti aspetti. Sicuramente il rapporto emerge tra il religioso e il “contabile del crimine” a livello finanziario. Lo troviamo nella compravendita del complesso di Villa Osio in via di Porta Ardeatina, 55. Una struttura di tre ville su un terreno di 24.300 mq. , ufficialmente vendute dall’Opera Francesco Oddasso S.r.l , rappresentata dal reverendo Carmine Antonio Uras. Nella sostanza era sotto il controllo del Vicariato di Roma, presieduto dal cardinale Poletti. Valore dell’affare: 1.190.000.000 di lire. Una valutazione talmente fuori mercato, talmente inferiore a una seconda proposta di acquisto, che fu lo stesso Poletti a dover intervenire nero su bianco per dirimere uno scontro tra prelati che rischiava di finire in tribunale: “In questa vicenda concorrono elementi che costituiscono pericolo di scandalo grave e, posto che la causa venisse notata nella cancelleria del tribunale, la stampa non mancherebbe di pubblicizzare il tutto. Per questo motivo non ritengo di dare il nulla osta alle vie legali.”
Sette anni dopo, in virtù di una richiesta di prestito per la ristrutturazione, la struttura venne valutata dalla Cassa di risparmio di Rieti, ventisette miliardi di lire. Una sperequazione talmente evidente che può prendere significati diversi: una forma di riciclaggio, il pagamento rispetto a un ricatto in corso, un silenzio pagato caro. Congetture.

Il cardinale e il Boss
Se Nicoletti era la “stella” finanziaria della Banda, De Pedis era quella in forte ascesa. Era la stella che cercava e aveva relazioni importanti. Aveva capito che il potere vero si coltiva nei salotti buoni della Roma capitolina, nelle feste private dove sacro e profano si mischiano. Non è opinione, sono fatti.

E’ una tomba, il sigillo che ha rappresentato il rapporto tra Enrico “Renatino” De Pedis e il cardinale Poletti. Una tomba dove sono racchiusi non solo i resti del boss ma soprattutto i “non detti”. Pensare che i soldi possano comprare tutto è sbagliato. Soprattutto quando parli del Vaticano, soprattutto quando devi tumulare, insieme ad alti prelati, un personaggio della caratura di un boss, morto ammazzato. L’intercessione di Don Vergari nella richiesta di sepoltura di De Pedis a Sant’Apollinare è più una formalità per creare un muro di gomma, che il reale motivo per cui Poletti la concesse il 10 marzo 1990.

Dopo l’omicidio di “Renatino” in via del Pellegrino ( 2 febbraio 1990), gli investigatori sono in massima allerta e seguono la moglie della vittima: Carla Di Giovanni. Il suo incontro con il cardinale e Don Vergari è monitorato. Poletti acconsente alla tumulazione, ma con due diktat: nessun funerale a Sant’Apollinare e la sepoltura deve essere fatta al Verano, prima del trasferimento. Tutto deve svolgersi nella massima discrezione. Una scelta pericolosa e strana per il Vicario di Roma, che dall’alto del suo potere si “spende” così tanto per la sepoltura di un normale cittadino. Uno dei tanti “benefattori” della Chiesa. Per questo, l’incontro a “a tre” è un passaggio fondamentale per capire i veri rapporti tra Poletti e De Pedis. Un passaggio che emerge solo anni dopo, nel 1995 in un’informativa della Dia.
Dopo appena un anno da questi fatti, il cardinale lascia il suo incarico di Vicario di Roma e di presidente della Cei per limiti d’età. Si aprono le porte della pensione ma due anni dopo, anche quelle degli uffici giudiziari. Infatti, sarà sfiorato in un’inchiesta per tangenti inerenti la costruzione dell’Istituto Galileo Ferraris di Torino. Finirà tutto in una bolla di sapone, come molte altre inchieste del periodo “Mani pulite”.
Il 25 febbraio del 1997, la porpora “nera” di Ugo Poletti verrà riposta idealmente nella sua tomba. Portando in dote davanti a Dio più ombre che luci, più misteri che atti misericordiosi, più relazioni pericolose che gesta da ricordare.
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