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venerdì 19 Aprile 2024

Effetti degli abusi su giovani vittime

 

La casistica  raccolta dalla ricercatrice Mary Gail Frawley-O’Dea, unica ricercatrice, ammessa al vertice dei vescovi cattolici statunitensi nell’incontro di Dallas del 2002 dedicato al problema degli abusi sessuali, mostra gli effetti estremamente deleteri sul corpo e sulla psiche delle vittime degli abusi sessuali.

Un bambino che subisca violenze sessuali dovrà affrontare conseguenze che possono essere devastanti e di lunga durata. Quando un giovane subisce un abuso, lo shock psicologico è così grande che il  normale non è in grado di assorbire o comprendere ciò che gli sta accadendo.

Anche a causa di possibili danni al funzionamento cerebrale, le vittime di abuso sessuale spesso esibiscono comportamenti autodistruttivi. I superstiti delle violenze hanno anche una probabilità due o tre volte superiore, rispetto agli adulti che non hanno una storia di abuso, di compiere almeno un tentativo di suicidio nel corso della vita. Le vittime possono presentare inoltre patologie quali dissociazione, depressione e isolamento..

Lo psicanalista Leonard Shengold ha intitolato il suo libro sugli effetti dell’abuso sessuale sui minori “L’assassinio dell’anima”. Secondo Mary Gail Frawley-O’Dea, il fatto «che questa devastazione delle anime sia stata perpetrata da sacerdoti, chiamati da un patto sacro a offrire protezione e gioia alle anime dei fedeli, è deplorevole. Che i vescovi e altri funzionari ecclesiastici abbiano tenuto nascosti i crimini sessuali commessi da preti posti sotto la loro responsabilità, e abbiano mentito al riguardo, è altrettanto deplorevole, o forse peggio: è il male assoluto»..

Secondo lo psicoanalista Richard B. Gartner, i preti non detengono certo il monopolio dell’abuso sessuale: «Ho conosciuto vittime di abusi perpetrati da familiari, insegnanti, allenatori, capi scout, baby-sitter, vicini e medici, per non citare gli esponenti del clero non cattolico. Tuttavia, gli abusi commessi dai preti hanno implicazioni particolari per le loro vittime».

Ciò che più caratterizza la violenza compiuta da esponenti del clero, come spiega Gartner, è il fatto che il sacerdote viene percepito come parte della famiglia del parrocchiano. I bambini cattolici vengono indotti a chiamare i membri del clero Padre, Madre, Sorella, Fratello e possono interpretare in modo letterale queste identificazioni ideali; inoltre i bambini possono provenire da famiglie problematiche e cercare all’interno della Chiesa figure parentali che possano fungere da modelli di ruolo e assicurare la stabilità di cui a casa sentono la mancanza. Quanto più i bambini accettano le implicazioni familiari del fatto di chiamare qualcuno Padre, Madre, ecc. tanto più l’abuso assume caratteri incestuosi. Secondo Gartner i bambini violentati da sacerdoti devono fare i conti, sul piano psicologico, con un vero e proprio incesto. Inoltre, un prete non si può definire semplicemente come “un” padre, piuttosto egli è un diretto rappresentante del Padre, una rappresentazione vivente del Cristo. Tra i casi presentati da Gartner, un prete disse esplicitamente a un bambino che resistere alle sue molestie avrebbe voluto dire opporsi direttamente alla volontà di Dio. Quando un bambino è abusato da un prete, è possibile che non abbia semplicemente una crisi di fede, può letteralmente sentire di stare tradendo Dio.

Solitamente i ragazzi che più facilmente subiscono abusi da parte di sacerdoti provengono da famiglie con forti convinzioni religiose e con molta probabilità sono immersi in una propria vita religiosa, nutrendo una visione ideale dei propri mentori spirituali. Nel momento in cui il ragazzo si rende conto di essere stato sfruttato da qualcuno che per lui rappresentava un legame diretto con Dio, il suo mondo spirituale può cominciare a crollare.

Gli studiosi, sulla base di un campione – necessariamente limitato – di sacerdoti abusatori, reso disponibile dalla giustizia criminale e dalle istituzioni che si occupano della salute mentale, tentano di tracciare un ipotetico “ritratto” dell’abusante-tipo con lo scopo di fornire una spiegazione alla brutalità e alla violenza che hanno caratterizzato il comportamento di un numero non irrilevante di sacerdoti della Chiesa cattolica – come affermato dal sacerdote gesuita James Martin- nei confronti di minori.

Secondo i dati raccolti da Mary Frawley O’Dea e Virginia Goldner e da altri ricercatori, confrontati sia con il John Jay Study relativo agli anni fino al 2002, sia con il Report relativo al 2004, risulta che la maggior parte dei sacerdoti abusatori è costituita da pedofili seriali, nel Report del 2004 metà delle nuove accuse era rivolta a sacerdoti già precedentemente accusati di abusi sessuali: più della metà delle vittime ha dichiarato di essere stata abusata “diverse volte”. Nell’esempio esposto da Mary Frawley O’Dea, una delle sue pazienti aveva subito abusi da parte del nonno a partire dai quattro anni di età. Giunta all’età di otto anni, durante la confessione  raccontò al suo parroco gli abusi subiti. Il prete propose di parlarne più estesamente nel suo ufficio, quindi abusò sessualmente di lei ogni settimana nel periodo compreso tra gli 8 e i 12 anni di età della bambina. La donna non denunciò mai il sacerdote e parlò degli abusi subiti solo nel corso della terapia.

Dai dati presentati emerge altresì il fatto che la maggior parte dei sacerdoti si è spinta oltre il “semplice” palpeggiamento della vittima sotto i vestiti. Circa un terzo dei sacerdoti pedofili ha agito secondo modalità considerate dagli esperti “molto gravi”: ha abusato delle proprie vittime con la penetrazione o le ha costrette al sesso orale. Altri hanno agito in modo considerato relativamente grave: solo il 2,9% dei preti si è limitato al coinvolgimento della vittima in discorsi di natura sessuale oppure all’utilizzo di immagini pornografiche. Il 9% si è limitato a toccare la vittima attraverso i vestiti oppure a farsi toccare attraverso la tonaca. Il 15,8% non si è spinto oltre la masturbazione. È inoltre di senso comune l’idea che la violenza sessuale nei confronti di un minore sia spesso motivata da abuso di alcol da parte dell’abusatore; il John Jay Study ha piuttosto evidenziato come i sacerdoti responsabili di abusi sessuali abbiano fatto uso di alcol e/o droghe solo nel 21,6% dei casi. Secondo Mary Frawley e Virginia Goldner, l’insieme di questi dati smentisce l’ipotesi secondo la quale l’abuso sessuale da parte del prete sia fondamentalmente motivato da una momentanea mancanza di giudizio: occorre invece considerare l’abusatore come una persona pericolosamente incline ad abusare di una giovane vittima diverse volte.


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