di Giorgio Gandola – Dodici anni per restituire un orizzonte di pace e una famiglia distrutta. Tanto è durata la vicenda di abusi che si è conclusa ieri in corte d’Appello bis a Milano (al quarto procedimento), con alla sbarra don Mauro Galli, ex parroco di Rozzano già condannato in passato a cinque anni e sei mesi. Il risultato processuale è il patteggiamento dell’imputato a tre anni, deadline che gli consente di non andare in carcere ma di scontare la pena con “detenzione domiciliare” in un istituto ecclesiastico lombardo.
Il reato è stato riqualificato da violenza sessuale ad atti sessuali con minorenne, con “abuso della situazione di cura e affidamento”. Infatti il sacerdote aveva in consegna l’allora quindicenne parrocchiano e gli propose di “dormire nel lettone” con lui. La difesa, sostenuta dal legale dell’Arcidiocesi professor Mario Zanchetti, ha puntato sul risarcimento del danno (la vittima e la famiglia non si sono costituiti parte civile) e sul “tardivo disvelamento della presunta violenza”, avvenuto due anni dopo perché la famiglia – molto cattolica – ha chiesto invano, a più riprese, alla curia di prendere posizione e di assumersi responsabilità prima di denunciare in proprio i fatti ai carabinieri.
La realtà delle carte processuali sottolineano che la prima denuncia degli abusi alla diocesi di Milano era avvenuta due giorni dopo la vicenda (quindi subito); che la vittima non ha mai cambiato versione; che la famiglia ha chiesto il sostegno della Chiesa. In questo senso esistono ampi carteggi con il cardinale Angelo Scola e con il Vaticano.
Nella storia ha una parte non secondaria anche l’attuale arcivescovo Mario Delpini, che al tempo era vicario episcopale e invece di aprire un’indagine previa – arrivata solo quattro anni dopo i fatti – si limitò a spostare nell’immediato il sacerdote in un’altra parrocchia (a Legnano), sempre a contatto con adolescenti. Lui sapeva, era stato informato da don Carlo Mantegazza al quale la vittima aveva segnalato subito i presunti abusi; a questo proposito esiste un verbale di polizia firmato da monsignor Delpini e acquisito nel dibattimento. Un atteggiamento che secondo i canoni di papa Francesco, messi nero su bianco nel motu proprio “Vos estis lux mundi”, oggi sarebbe da considerarsi omissivo, quindi da condannare.
Su questo punto la famiglia della vittima non intende arrendersi. Nel libro che ripercorre gli angosciosi anni, scritto dalla madre del ragazzo e dal titolo eloquente Chiesa, perché mi fai male?, c’è un passaggio che non ammette dubbi: “La famiglia, che continua a professarsi cattolica e praticante, vuole che il Pontefice mantenga le promesse rimuovendo l’arcivescovo e sottoponendolo a processo ecclesiastico”. La richiesta prende spunto dalla lettera apostolica del Santo Padre pubblicata nel 2019, comprensiva di 19 articoli, fra i quali spicca quello relativo all’omissione da parte di vescovi e cardinali, “per i quali su questi casi non c’è immunità”.
Se il processo in nome del popolo italiano si conclude definitivamente qui, il patteggiamento (tecnicamente un concordato) lascia inalterati forti dubbi sull’esito del processo canonico, che due anni fa aveva mandato assolto don Galli con formula dimissoria (non constat) per “mancanza di certezza morale sulla colpevolezza”, praticamente per insufficienza di prove. Tre anni; ora le responsabilità morali sono acclarate. Poiché non c’è prescrizione, in caso di riapertura del fascicolo il sacerdote rischierebbe la riduzione allo stato laicale.
(Trascrizione da La Verità del 27 settembre 2023)
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