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497 vittime a Monaco di Baviera: il rapporto sugli abusi travolge Ratzinger, Wetter e Marx

Rete L'ABUSO by Rete L'ABUSO
22 Gennaio 2022
in Mondo
Reading Time: 6 mins read
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40936 MONACO-ADISTA. In quasi 1.900 pagine, il rapporto sugli abusi di Monaco, elaborato dallo studio legale Westphal Spilker Wastl (WSW), pubblicato integralmente il 20 gennaio sul sito dello stesso, e presentato in una gremita conferenza stampa, in presenza e online, descrive un abisso di clericalismo, protezione istituzionale e fallimento della leadership. Commissionato alla fine di febbraio 2020, a copertura di casi che arrivano fino al 2019, identifica le omissioni dei singoli responsabili e chiarisce come i casi di abuso siano stati coperti. Una prima indagine, completata nel dicembre 2010 ma mai pubblicata, ha coperto il periodo dal 1945 al 2009; ora, numerose informazioni aggiuntive, disponibili grazie al maggiore coinvolgimento delle vittime, hanno consentito di avere un quadro più preciso, giacché l’insabbiamento è potuto avvenire grazie a dossier addomesticati e manipolati, quando non distrutti.

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Le cifre

Il rapporto ha constatato un totale di 42 casi di cattiva condotta da parte di funzionari della Chiesa nell’affrontare casi di abusi nell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga: gli arcivescovi e cardinali defunti Michael Faulhaber, Joseph Wendel e Julius Döpfner, ma anche Joseph Ratzinger (arcivescovo dal 1977 al 1982), il card. Friedrich Wetter (1983-2008) e il card. Reinhard Marx, dal 2008 alla guida della diocesi bavarese. Nel loro esame, gli esperti hanno identificato 235 presunti colpevoli dal 1945 al 2019, di cui 173 sacerdoti; 497 il numero delle vittime di cui 247 maschi e 182 femmine; di 68 non è stato possibile conoscere il sesso.

Quasi il 60% di questi crimini sono stati commessi quando le vittime avevano tra gli 8 e i 14 anni, e per lo più tra gli anni ’60 e ’70, ma un numero impressionante di accuse è emerso dal 2015 in poi. Questi numeri, ha detto l’avvocato Martin Pusch, che ha illustrato i risultati dell’indagine, sono solo la punta dell’iceberg. Secondo Pusch, 67 chierici meritavano una sanzione canonica per «l’alto livello di sospetto», ma in 43 casi ciò non è avvenuto: 40 di loro hanno continuato a essere impiegati nella cura pastorale, e tra essi 18 sacerdoti addirittura anche dopo una condanna penale da parte di un tribunale secolare. Fino al 2002, ha osservato l’avvocato, le vittime non hanno ricevuto alcun tipo di attenzione dalla gerarchia; se la ottenevano, era solo «perché erano visti come una minaccia per l’istituzione». D’altronde, occorre ricordare che, negli Stati Uniti, il documento del 2001 con cui Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, avocava a sé la gestione dei casi di pedofilia, chiedendo assoluta riservatezza (l’epistola De Delictis gravioribus), provocò la citazione in giudizio di Ratzinger per “ostruzione alla giustizia” davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas).

Secondo l’accusa, infatti, il testo della CDF avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. Nel febbraio 2005 fu così emanato dalla Corte un ordine di comparizione per il prefetto. Ma il 19 aprile 2005, Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato Usa per chiedere l’immunità diplomatica per il loro assistito, ormai capo di Stato. L’Amministrazione Bush acconsentì (v. Adista Notizie n. 25/05).

Una leadership compromessa

Il rapporto sugli abusi inchioda Ratzinger, Wetter, Marx, e altri funzionari. Ratzinger viene giudicato responsabile di cattiva condotta in 4 casi durante il suo incarico di arcivescovo; Wetter in 21 casi e Marx in 2. Pusch ha anche sottolineato che Ratzinger ha respinto ogni addebito in una memoria di 82 pagine pubblicata con il suo consenso insieme al rapporto. Due casi riguardano sacerdoti che sono stati sanzionati penalmente da Ratzinger per abusi, ma ai quali è stato permesso di continuare a lavorare come pastori: nessuna azione è stata intrapresa contro di loro né per la cura delle loro vittime. Dal punto di vista degli avvocati, le dichiarazioni di Ratzinger offrono «una visione autentica » dell’atteggiamento personale di un importante rappresentante della Chiesa nei confronti degli abusi: le smentite del papa emerito, che ha addotto la sua totale estraneità ai casi, dei quali non sarebbe stato al corrente, sono «difficili da conciliare» con i dati in possesso degli avvocati, ha detto Pusch. L’esempio più chiaro viene dal caso del prete Peter H., predatore seriale spostato di parrocchia in parrocchia (v. Adista Notizie n. 2/22): Ratzinger nega di aver partecipato all’incontro dell’Ordinariato del 15 gennaio 1980 in cui se ne decise il trasferimento da Essen a Monaco, ma il verbale dell’incontro, a disposizione della cancelleria, contiene una relazione dell’allora cardinale sulla sepoltura del cardinale berlinese Bengsch e sui tentativi di mediazione relativi al caso del teologo “disobbediente” Hans Küng.

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Marx: mancanza di impegno

Gli esperti accusano Marx di non prestare sufficiente attenzione alla gestione dei casi di abuso sessuale. La sua sorprendente assenza alla conferenza stampa ne sarebbe un segno: «Lo abbiamo specificamente invitato», ha detto l’avvocatessa Marion Westpfahl, mentre la telecamera mostrava la sedia riservata al cardinale, vuota. Marx avrebbe dovuto coinvolgersi maggiormente sulla questione degli abusi: una questione «di priorità assoluta», ha affermato Pusch.

Nonostante il gran numero di segnalazioni di abusi operati da ecclesiastici pervenute dal 2010, per gli esperti Marx, da arcivescovo, si occupò di ben poche inchieste: si limitò ad attuare i provvedimenti proposti dall’amministrazione, delegando al vicario generale e all’ordinariato la gestione dei casi. Come arcivescovo – questa la giustificazione di Marx – «non si occupava principalmente di compiti amministrativi» ma «dell’annuncio della parola di Dio, della celebrazione dei sacramenti e della pastorale generale per il popolo di Dio». Un comportamento inadeguato, secondo Pusch. In due casi, però, Marx si comportò in modo palesemente errato: la questione era se fosse stato inviato un rapporto alla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Un grido di dolore

«Di quanti rapporti ancora ha bisogno il Paese per affrontare questa situazione?», ha chiesto l’avvocato Ulrich Wastl, facendo riferimento a un approccio ecclesiale caratterizzato da una costante clemenza nei confronti dei sacerdoti carnefici, allo scopo di proteggere l’istituzione e la sua reputazione rispetto alla verità e alla giustizia per le persone colpite. Un fallimento multisistemico: clericalismo, spirito di corpo ed eccessiva tutela istituzionale; deficit del diritto penale ecclesiastico e inadeguata cultura giuridica ecclesiastica interna; mancanza di competenza nell’amministrazione e nella giustizia ecclesiastica; mancanza di responsabilità e mancanza di conseguenze per azioni sbagliate, con un interesse per le vittime cresciuto solo lentamente, a partire dal 2010. Appare schiacciante, ha proseguito l’avvocato Wastl, la mancanza di una cultura della responsabilità personale. A quanto pare nessuno vuole davvero assumersela e, se si leggono in filigrana le dichiarazioni dei preti coinvolti, emerge chiaramente che i documenti decisivi sono passati di scrivania in scrivania, che gli arcivescovi hanno agito, se hanno agito, in modo evasivo, restando in ogni caso poco coinvolti.

Una lunghissima lista di raccomandazioni

Gli avvocati hanno sottolineato la necessità di cambiare approccio, in primis attraverso un maggiore ascolto delle vittime: la gerarchia della Chiesa deve esporsi alla sofferenza delle persone colpite. «Ci si può aspettare dagli alti funzionari che, in quanto pastori, siano in grado di farlo; altrimenti, devono essere acquisite le qualifiche necessarie», hanno detto con freddezza i legali. Inoltre, c’è bisogno di un difensore civico indipendente per le vittime che possa schierarsi a loro favore; esse devono avere sempre accesso ai casi che le riguardano; bisogna attuare il regolamento sui fascicoli personali dei chierici e dei funzionari ecclesiastici; è necessaria una azione di monitoraggio.

Il rapporto formula anche raccomandazioni per la legislazione ecclesiastica e la cultura giuridica, che manca di una precisa definizione di reati e sanzioni. Anche con la riforma globale del diritto penale che papa Francesco ha promulgato lo scorso anno, la “violazione del sesto comandamento” rimane la categoria centrale per la registrazione dei reati sessuali nel diritto ecclesiastico: una categoria non leggibile immediatamente per tutti e quindi inadeguata, come dimostra una dichiarazione del papa emerito, il quale richiama la norma penale ecclesiastica pertinente al momento del delitto (can. 2359 § 2 CIC/1917) e sostiene che sono atti sessuali solo quelli “con” minori, ma non gli atti esibizionistici “davanti” a minori.

Nel diritto processuale penale, secondo le raccomandazioni della relazione, è necessario rafforzare i diritti della parte lesa. Anche i tribunali ecclesiastici, che raramente si occupano di casi penali, hanno bisogno di una riforma. Richiesta anche la pubblicazione delle sentenze, che attualmente avviene solo in casi eccezionali, oltre un ruolo maggiore per le donne nella leadership della Chiesa.

Il rapporto chiede cambiamenti anche nell’area amministrativo-organizzativa: una professionalizzazione dei meccanismi di controllo e una maggiore competenza dei dirigenti. In discussione, soprattutto, è la figura del vescovo: una guida spirituale troppo spirituale e poco guida che non corrisponde alla definizione del ministero episcopale di Lumen gentium.

https://www.adista.it/articolo/67396

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