Compie 30 anni la Convenzione Onu per i diritti dell’infanzia ma per i nostri governanti, presenti e passati, è come se per i minori non esistesse il «diritto alla libertà» e alla difesa da «tutte le forme di violenza nei loro confronti». Specie se lo stupratore è un prete
di Federico Tulli
Lasciami stare, non mi devi più toccare». Per sottrarsi agli abusi e alle molestie del prete subiti in canonica ha registrato tutto con il telefonino raccogliendo elementi rilevanti che hanno portato all’arresto dell’uomo. La protagonista di questa storia ha solo 11 anni e ha fatto tutto da sola. L’uomo si chiama don Michele Mottola, ha 60 anni ed è stato parroco a Trentola Ducenta fino al maggio di quest’anno, quando cioè è stato sospeso dalla diocesi di Aversa (Caserta) e sottoposto a un processo canonico tuttora in corso.
«È solo un gioco, non facciamo niente di male» si sente dire al sacerdote nelle registrazioni consegnate sei mesi fa dai genitori della bimba ai poliziotti del Commissariato di Aversa che ha avviato le indagini e informato la diocesi locale e la Procura di Napoli Nord. Pochi giorni fa si è tenuto l’incidente probatorio che ha messo la bimba e il prete uno di fronte all’altro e lei ha confermato che le violenze andavano avanti da tempo. Mentre don Mottola ha replicato dicendo che la minore stava farneticando. Questa linea difensiva che sembra ricalcare la visione dei bambini freudiana (seduttori, bugiardi e perversi per natura) non gli è bastata per evitare l’arresto – del resto sono anni che quella pseudo teoria è stata definitivamente confutata dalla scienza psichiatrica – e ora l’ex parroco è in carcere a Secondigliano, guardato a vista.
A molti dei nostri lettori probabilmente questa storia non risulterà ignota avendo ottenuto un ampio risalto anche sui media generalisti. E questa attenzione mediatica è davvero inusuale specie quando il presunto violentatore è un prete. Quanti sanno ad esempio che all’inizio di giugno don Vincenzo Calà Impirotta è tornato libero dopo che la Cassazione ha annullato per sopraggiunta prescrizione (soli 9 giorni…) la sentenza di condanna in appello a tre anni di reclusione che confermava quella di primo grado? E quanti sono a conoscenza del fatto che il processo canonico nei suoi confronti si è concluso a ottobre con l’assoluzione in quanto giudicato non colpevole dal tribunale ecclesiastico? Cosa significa tutto ciò è facile immaginarlo.
Don Calà Impirotta tornerà a officiare in parrocchia di fronte a persone che sono all’oscuro delle sue vicende giudiziarie e di quello che ha fatto. E ancora, vale la pena di ricordare che poco meno di due settimane fa in Germania il settimanale Bild ha pubblicato un’inchiesta puntando il dito contro Benedetto XVI e sostenendo di avere documenti e mail che provano un insabbiamento del caso di un alto prelato accusato di molestie sessuali proseguite per anni su altri sacerdoti in Vaticano. Il prete – che guidava un reparto nella segreteria di Stato di Joseph Ratzinger, al tempo guidata dal card. Bertone – dopo le accuse fu «trasferito all’estero come diplomatico papale» e in seguito presso il «vescovado di origine». Stiamo parlando del papa emerito, secondo voi questa notizia non richiederebbe il massimo del risalto possibile anche in Italia?
Pare di no, appunto, nonostante sia acclarato che l’attenzione mediatica su crimini pedofili è senza dubbio tra i più importanti alleati delle potenziali vittime, se non il più importante. Perché in primis contribuisce a sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo un argomento che il più delle volte – inspiegabilmente – provoca nelle persone una reazione di “indifferenza”. Far finta di nulla nella convinzione (errata) che queste siano cose che accadono ad altri o solo in ambienti degradati, è uno dei “favori” che si fanno ai cacciatori di bambini, i quali così possono agire indisturbati soprattutto nei “luoghi” più insospettabili: in ambito familiare, sportivo e/o parrocchiale. In estrema sintesi, l’attenzione e la copertura mediatica oltre a dare ai cittadini una reale percezione del fenomeno criminale, sono anche strumenti di inestimabile valore per chi deve fare prevenzione.
Già, la prevenzione. Non a caso è al primo posto delle raccomandazioni che il Comitato Onu per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza hanno fatto a febbraio 2019 allo Stato italiano chiamato a rispondere del mancato rispetto dell’omonima Convenzione che il 20 novembre compie 30 anni. Per intenderci, mancato rispetto di questa Convenzione significa che l’Italia non ha messo in moto tutti i meccanismi necessari a tutelare il «diritto del bambino alla libertà» e a difenderlo da «tutte le forme di violenza nei suoi confronti». I commissari Onu, per meglio chiarire cosa occorre fare, hanno messo nero su bianco le linee guida da seguire: 1) Adottare, con il coinvolgimento attivo dei bambini, un nuovo piano nazionale per prevenire e combattere l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei bambini e assicurarne l’uniforme implementazione su tutto il suo territorio e a tutti i livelli di governo; 2) Istituire una commissione d’inchiesta indipendente e imparziale per esaminare tutti i casi di abuso sessuale di bambini da parte di personale religioso della Chiesa cattolica; 3) Garantire l’indagine trasparente ed efficace di tutti i casi di violenza sessuale presumibilmente commessi da personale religioso della Chiesa cattolica, il perseguimento dei presunti autori, l’adeguata punizione penale di coloro che sono stati giudicati colpevoli, e il risarcimento e la “riabilitazione” psichica delle vittime minorenni, comprese coloro che sono diventate adulte; 4) Stabilire canali sensibili ai bambini, per i bambini e altri, per riferire sulle violenze subite; 5) Proteggere i bambini da ulteriori abusi, tra l’altro assicurando che alle persone condannate per abuso di minori sia impedito e dissuaso il contatto con i bambini, in particolare a livello professionale; 6) Intraprendere tutti gli sforzi nei confronti della Santa Sede per rimuovere gli ostacoli all’efficacia dei procedimenti penali contro il personale religioso della Chiesa cattolica sospettato di violenza su minori, in particolare nei Patti lateranensi rivisti nel 1985, per combattere l’impunità per tali atti; 7) Rendere obbligatorio per tutti, anche per il personale religioso della Chiesa cattolica, la segnalazione di qualsiasi caso di presunta violenza su minori alle autorità competenti dello Stato italiano. Volete sapere cosa ha risposto in febbraio il governo Conte “uno” – quello dei decreti sicurezza – a questi rilievi delle Nazioni Unite?
Nulla. E il Conte “due”, nel segno della discontinuità col precedente, ha fatto qualcosa? Come il Conte “uno”: silenzio totale, non una replica degna di questo nome. Non è stato realizzato alcun adeguamento delle norme e dell’azione di governo alle “esigenze” di sicurezza dei minori, men che meno è stato messo in discussione il Concordato che, tra le altre cose, impone da un lato alla magistratura italiana di informare dell’avvio delle indagini la diocesi di appartenenza del sacerdote inquisito e dall’altro stabilisce che il vescovo a capo di una diocesi non è tenuto a rivelare alle autorità civili eventuali notizie di reato che riguardano i “suoi” sacerdoti. Pedofili compresi. E allora forse non è un caso che una bimba di 11 anni per sottrarsi alle violenze di un sessantenne in tonaca e crocifisso al collo, ha dovuto fare tutto da sola.
15 novembre 2019 LEFT