Scrivere un libro è – per me – la necessità di condividere un percorso, una parte di vita.
Le nostre vite sono oggettivamente insignificanti, rispetto al contesto. Si nasce, si vive, si muore.
Si è nulla, si torna nel nulla.
A seconda di dove si nasce, si hanno opportunità diverse.
E si sceglie di usare il proprio tempo come si è in grado di fare. Se si è nella condizione di scegliere.
Mi sono trovata a raccogliere il racconto di un ragazzo che sostiene di essere stato abusato da un prete italiano. L’ho ascoltato e riascoltato. Non da sola.
Mi sono trovata a verificare che quel prete aveva già subito una condanna, quando era seminarista.
Mi sono chiesta perché.
Perché sia stato ordinato, nonostante quel precedente così chiaro. Perché sia stato accolto il suo desiderio di andare periodicamente in un Paese in cui ci sono tanti bambini soli. Perché gli sia stato consentito di tornarci anche dopo che lo scandalo era esploso. Perché la vittima non abbia avuto la possibilità di ottenere giustizia.
Sono domande che non si possono trattenere. Soprattutto per chi, come me, conosce persone di fede che veramente dedicano la propria esistenza agli altri.
Per questa ragione ho scelto di scriverne.
Perché so fare questo, perché ritengo che se ne debba parlare e soprattutto che si debba agire.
È il racconto, dettagliato, di quello che ho potuto verificare. E – volutamente – ho evitato di mettere il nome dei protagonisti. Perchè l’intento – nel suo piccolo – va oltre.
Il libro contiene un intervento della sessuologa Stefania Valanzano, che ringrazio ancora, sugli effetti devastanti della pedofilia praticata da chi rivesta un ruolo educativo.
Contiene poi un’intervista a Francesco Zanardi, sul suo percorso di testimone e di riferimento per chi voglia denunciare l’abuso che ha subito.
Redazione
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