“Mi portavano via contro la mia volontà e senza dare spiegazione alcuna. All’epoca avevo 13 anni”.
“L’assistente sociale e la psicologa mi rassicurarono sul fatto che si sarebbero presi cura di me. Lo stesso giorno mi portarono presso il centro Caritas di San Fatucchio”. “Allora gli ospiti della comunità erano tutti adulti e con problemi con la legge: tante volte mi chiedevo il motivo della mia presenza in un luogo con programmi di recupero che poco avevano a che fare con la mia vicenda: tuttora non so darmi una spiegazione”.
“Il personale che gestiva la struttura, con la supervisione di don Lucio Gatti, mi obbligava da subito a lavori pesanti e umilianti” “fui costretto a tagliare il prato con le forbici anziché con l’apposito macchinario, che avrebbe alleggerito la fatica di quell’incombenza”.
“La completa assenza di ogni forma di contatto con la realtà, rendeva la permanenza in questo, come negli altri posti in cui venivo di tanto in tanto trasferito, un terribile incubo per me e per i compagni di sventura che in quegli anni conoscevo”.
Queste non sono parole mie, ma alcuni passaggi contenuti nella querela che Fabio (nome di fantasia) , una delle presunte vittime di don Lucio Gatti, racconta.
Don Lucio Gatti, che ha già patteggiato 2 anni con sospensione condizionale della pena nel 2014 per violenza sessuale e abuso di mezzi di correzione, oggi non è più un prete. Dopo averlo coperto per tanti anni, forse anche per togliere dall’imbarazzo di altri guai giudiziari che nuovamente rincorrono don Lucio, uno dei suoi protettori, il cardinale Gualtiero Bassetti, diventato oggi Presidente della Cei, la chiesa ha deciso di fare a meno del suo business men, l’uomo della CARITAS perugina, don Lucio Gatti.
La chiesa ha scaricato l’ingombrante fardello. Non mi riferisco solo a don Lucio, ma a quei ragazzi tolti a famiglie disagiate e mandati nelle sue Case per essere aiutati dove, invece, si sono ritrovati senza alcun diritto, tranne essere dei bancomat e, all’evenienza, oggetti sessuali da usare a piacimento.
Il business e l’eredità insanguinata di don Lucio.
In quelle Case “tutti i diritti umani erano congelati”, gli ospiti spaziavano dai minori sottratti alle famiglie, agli psichiatrici, a chi scontava i domiciliari. Tutti insieme nella stessa struttura, non importava a nessuno la loro qualità di vita. Un altro “caso Forteto” ?
La biancheria intima era in comune e se eri fortunato e veloce ti assegnavi i capi migliori. La giornata iniziava alle 6, si pregava tutti e per forza, neppure l’orientamento religioso degli ospiti era contemplato. Un pò di colazione e poi a lavorare, tutti indistintamente, poco importava se avevi 12 anni o 25, se eri uno psichiatrico oppure un detenuto, l’azienda doveva produrre.
Tutto ciò avveniva in uno stato di sottomissione, con la scusa della riabilitazione, ma che riabilitazione può mai essere questa per dei ragazzini ?
Certo oggi don Lucio lascia una bella eredità: una serie di strutture ottenute grazie al sangue di tanti innocenti, persone che mentre venivano impropriamente sfruttate come forza lavoro, parallelamente lo Stato provvedeva a retribuire una profumata retta per quegli ospiti. Retta che restava nelle casse del don, che negava non qualunque tipo di lusso, ma la semplice possibilità, per quei ragazzi, di crescere, di avere una vita normale, di continuare gli studi.
E mentre la diocesi, la Caritas e tutto l’indotto che girava intorno a quelle case oggi si sente irritato da quegli ex ospiti che chiedono giustizia, quegli ex ospiti, oggi appena ventenni, con più problemi di prima, lottano per riprendere in mano la propria vita nell’indifferenza dei carnefici che neppure provano a porre rimedio.
Il 31 maggio prossimo – difesi dagli avvocati della Rete L’ABUSO Cristiano Baroni e Leonardo Francesconi – si discuterà l’archiviazione per don Lucio che, grazie all’indifferenza e alle negligenze di molti, è quasi riuscito a raggiungere i termini prescrittivi, sia per Matteo che per Fabio.
Francesco Zanardi
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