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Il Venerdì Santo di Antonio, vittima di un prete pedofilo di Napoli. Mentre chi avrebbe dovuto aiutarlo chiudeva gli occhi (di S. Izzo)

Redazione Web by Redazione Web
19 Aprile 2019
in Campania
Reading Time: 4 mins read
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“Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca”. Le parole di Isaia, che prefigurano la Passione e ci fanno entrare nel clima del Venerdì Santo, si applicano anche a quanto è successo ad Antonio, nome di fantasia scelto per proteggerne la privacy, e purtroppo a tanti altri minori sottoposti ad abusi. E che solo dopo anni trovano la forza di denunciare. Anni trascorsi in indescrivibili sofferenze. “La fiducia nella Chiesa si è rotta per i nostri errori e peccati. Le vittime sono state crocifisso”, ha scritto Papa Francesco nella lettera ai vescovi cileni.

Ben 25 patologie, alcune delle quali piuttosto serie, come l’inappetenza con vomito che rappresenta il primo passo verso l’anoressia, ma anche una invalidante lombosciatalgia destra e inoltre forme irriducibili di orticaria accanto ai disturbi del sonno cioè insonnia, stato d ansia, incubi notturni: questo referto medico della Asl Napoli 3 è il primo tassello per ricostruire la vicenda di Antonio, oggi 22enne, finito preda a 14 anni di un vero orco, che dal 2011 a 2013 lo ha reso vittima di ripetute violenze sessuali e psicologiche. Con l’aggravante che il carnefice è don C., il parroco al quale la diocesi di Napoli aveva affidato il ragazzo nel 2010 per un tirocinio pastorale che doveva completare la formazione che stava ricevendo in seminario.

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Per Antonio l’esperienza nella parrocchia, poco lontano da casa dei suoi, si era presto trasformata in un incubo, come attesta l’impressionante elenco di malattie, contratte in conseguenza di quanto subito dal sacerdote.

Il cammino per la guarigione, lungo e in salita, dura da circa 6 anni e inizia quando Antonio riesce a prendere coscienza di quello che gli è capitato. Oltre agli abusi fisici, abusi di coscienza, con il prete che gli diceva: “sono tuo padre”.

Il periodo buio delle violenze, tre anni, dal 2011 al 2013, si interrompe quando F., una ragazza della parrocchia, si rende conto della situazione e affronta il sacerdote. Un gesto molto coraggioso, al quale don C. replica con pesanti minacce.

Antonio allora racconta ai genitori quanto gli è accaduto, di come cioè don C. abbia tradito la loro fiducia approfittando di lui mentre lo riaccompagnava a casa, ma anche negli ambienti parrocchiali e perfino in confessionale, e molte volte di notte – condividendo con lui il letto – nei numerosi pellegrinaggi a Lourdes, Assisi, Cascia e Loreto. E addirittura andando a Cracovia, “sulle orme di San Giovanni Paolo II”, un lungo viaggio che diventa occasione per don C. “di dare sfogo ancora una volta alla sua perversione”.

I genitori subito informano l’autorità ecclesiastica, nella persona del vescovo ausiliare competente del settore, mentre il rettore e il padre spirituale del seminario minore accompagnano più volte la vittima dall’arcivescovo Crescenzio Sepe, con il permesso del quale Antonio
è poi arrivato al primo anno di seminario maggiore avendo compiuto la maggiore età.
Resta da chiarire se quelle denunce orali (ma c’è anche qualche lettera, pure se informale, firmata dal papà) furono credute.

Questo aspetto, in effetti dirimente, non risulta chiaro. Infatti don C. lascia la parrocchia, come aveva chiesto con forza la mamma del ragazzo, per spostarsi in una diocesi vicina. Ma formalmente il trasloco è su sua richiesta, per stare vicino a una sorella inferma. E Antonio abbandona poi il seminario ufficialmente per aver perso la vocazione.

Il cammino terapeutico inizia in un consultorio cattolico, dove al giovane viene suggerito di “perdonare”, un approccio che non lo aiuta. Tra l’altro l’anziana terapeuta che lo segue non redige una certificazione relativa agli abusi. Ma un’altra dottoressa, quella della Asl, comprende che dietro a quelle forme cutanee, alle patologie muscolari e ai disturbi alimentari e comportamentali c’è qualcosa di molto più grave. E a fine 2017 invia referto e paziente in un altro centro di psicoterapia, a Frosinone, diretto da uno psicologo sacerdote, don Ermanno D’Onofrio. Ci vuole ancora qualche mese prima che Antonio riesca a raccontare tutto. Don D’Onofrio, psicoterapeuta esperto nel trattare con le vittime di abuso, si fa autorizzare dal giovane (ormai maggiorenne) ad informare ufficialmente l’Autorità Ecclesiastica, essendo molto preoccupato che altri eventuali bambini possano cadere nelle grinfie dell’orco. E contro don C. iniziano due distinte procedure, quella presso la Procura di Napoli e quella ecclesiastica. Entrambe dovranno ora chiarire anche le responsabilità di chi per 5 anni non ha dato seguito alle prime denunce informali.

In particolare andrebbe valutato il comportamento del consultorio cattolico di Napoli (che fa capo a una prestigiosa università nazionale) e dell’autorità ecclesiastica locale che per 5 anni (dal 2013 – 2018) non hanno denunciato il sacerdote consentendogli così probabilmente di reiterare i suoi gravi reati con altri ragazzi e comunque impedendo ad Antonio di avere giustizia, il che è condizione necessaria perché possa procedere sulla via della guarigione.

Antonio – che finalmente ha iniziato a lasciarsi dietro le spalle incubi e disturbi, avendo finalmente realizzato che lui non ha nessuna colpa per quanto gli è accaduto – prende infine carta e penna e scrive a Papa Francesco, per raccontargli la sua storia. E ora attende di incontrarlo.

Salvatore Izzo

Il Venerdì Santo di Antonio, vittima di un prete pedofilo di Napoli. Mentre chi avrebbe dovuto aiutarlo chiudeva gli occhi (di S. Izzo)

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