Alessandro è stato abusato in oratorio dal “padre spirituale”. Un dramma indescrivibile, che la mamma sta affrontando con grande fede: «l’ abuso non è l’ ultima parola sulla vita. Se ne può uscire. C’è per tutti una via, una verità che rende liberi»
di Giuseppe Gazzola
Cristina Balestrini lavora come infermiera caposala in comunità psichiatriche e riabilitative. Sposata dal 1991 con Ettore Battaglia, ha due figli, Alessandro e Giacomo. Quest’ anno “Ale” compie 23 anni. Nel dicembre 2011, quando aveva 15 anni, passò una notte in Oratorio, a Rozzano, in provincia di Milano. Ai genitori era stato fatto credere che tutto il gruppo degli adolescenti si sarebbe fermato a dormire in Oratorio per le attività di preghiera in preparazione del Natale, mentre Alessandro si è poi ritrovato da solo a dormire a casa di don Mauro Galli, il don che all’ epoca era il suo padre spirituale. Il 20 settembre 2018 don Galli è stato condannato in primo grado a una pena di 6 anni e 4 mesi di carcere dalla quinta sezione penale del Tribunale di Milano, per violenza sessuale nei confronti di un minore.
ERA UN RAGAZZO SOLARE
Questi i nudi fatti. Dentro i fatti, un lungo, mai terminato calvario: «Io e mio marito facevamo i catechisti in parrocchia, Alessandro frequentava il gruppo dei preadolescenti», racconta Cristina. «Rompiscatole come pochi, ti metteva continuamente alla prova. Prima dell’ abuso era un ragazzo vivace, solare, con tanti amici, grandi sogni per il futuro. Da quel giorno in poi, una vita in salita. Per dirla tutta, ha tentato quattro volte di suicidarsi e, da allora, ha necessità di una psicoterapia settimanale. Ha perso due anni di scuola, ogni refolo di vento lo riportava al trauma che lo ha segnato. Poi è riuscito con grande fatica a diplomarsi, a trovare un lavoro come grafico. E ora ogni giorno è un giorno da conquistare. Per lui e per noi genitori, che siamo ininterrottamente sul chi va là, ancora oggi».
OLTRE IL MALE DI VIVERE
A fare da trama a questa lunga via dolorosa, una fede tenace, fortissima, cresciuta oltre «il male di vivere». Da molto tempo Cristina si alza ogni mattina alle 4 e mezzo per pregare, a lungo, prima di andare a lavorare: «Ho deciso per questa sveglia così anticipata quando avevo un bisogno atroce di affrontare tutto ciò che succedeva in famiglia con un aiuto più grande», confida. «A distanza di anni, continuo a vivere queste due ore iniziali della giornata come un momento bello, desiderato, di preghiera e meditazione, ringraziamento, offerta, supplica, affidamento. Prego con l’ Ufficio delle letture, invoco lo Spirito Santo, chiedo ogni giorno che ci liberi dal male. Prego per la Chiesa e per i sacerdoti, per la loro santificazione».
ALLONTANATI DALLA COMUNITÀ
Questo colpisce: certamente, la prima volta che l’ ha tenuto in braccio e quando poi l’ ha fatto battezzare, Cristina non si aspettava che suo figlio, crescendo, avrebbe dovuto sopravvivere all’ abuso di un sacerdote. Ora che il futuro si è colorato dello stesso nero del Venerdì santo, Cristina ha trovato questa risposta, questo squarcio nel buio del suo dolore di madre che sta ogni giorno sotto la croce del figlio: «Facciamo parte di un gruppo di preghiera, Il Fuoco di Ars (www.ilfuocodiars.com), che si ritrova settimanalmente a pregare per i sacerdoti. Ognuno “adotta” un sacerdote per cui prega ogni giorno. Io, poi, amo dire il Rosario della Madonna delle Lacrime di Siracusa – e qui la voce si incrina per l’ emozione – perché ci è stata di grande aiuto quando Alessandro stava malissimo».
Si ferma, Cristina, cerca un fazzoletto. Come Maria, non nasconde e non si nega le lacrime. «Anche se sono dolori diversi, tutti noi come famiglia ci sentiamo vittime di un prete pedofilo. Essere credenti ci costa una fatica incredibile. Non per causa di Dio, perché anche lui piange quando un sacerdote abusa di un minore. Ma perché ci sentiamo ogni minuto in mezzo a un fuoco incrociato. Da una parte ci “sparano” quelli che ce l’ hanno a morte con la Chiesa, che non credono e deridono il nostro continuare a credere. Dall’ altra parte, ed è anche più doloroso, nel momento in cui abbiamo denunciato l’ accaduto siamo diventati “la controparte” della Chiesa, quelli che “sputano nel piatto in cui mangiano”, come ci ha detto il parroco. La Chiesa siamo noi, ci hanno detto spesso. Ma noi chi? Molti, che credevamo amici, ci hanno allontanato. Continuiamo a sentirci ignorati e avversati da chi per ruolo e responsabilità avrebbe dovuto ascoltarci, crederci e accoglierci. Altri, che non conoscevamo o avevamo perso di vista, si sono fatti vicini. Come don Dino, nativo di Rozzano. Come don Davide che, con la sua fede tranquilla e tenace di fronte al male, ha salvato tante volte Alessandro e noi genitori».
IL DOLORE E IL PERDONO
E don Mauro Galli? Chi è oggi, per Cristina? «Io don Mauro l’ ho perdonato», dice, convinta, a voce bassa. «Per lui provo dolore. Tanti l’ hanno aiutato a dannarsi, se così si può dire. Il non essere mai stato aiutato a riconoscere, almeno in Tribunale, di avere sbagliato, non lo aiuta a iniziare un percorso di cambiamento. E non credo sia facile convivere con la consapevolezza che non può non avere».
NON VOLTARE LO SGUARDO
Consapevolezza e libertà, verità e trasparenza sono parole che tornano ad affiorare nel racconto di Cristina e ci interpellano tutti: «Desideriamo fortemente che i cristiani normali, tutti quelli come noi, promuovano una cultura di trasparenza. Nessun cristiano dovrebbe più pensare, con fastidio, che “i panni sporchi si lavano in casa”, quasi nascondendo la realtà. La pedofilia non è un panno sporco, è un reato. Per il Vangelo, chi scandalizza un piccolo farebbe meglio a mettersi una macina al collo e buttarsi nel mare. Ogni azione malvagia compiuta contro uno dei piccoli è stata fatta contro Gesù». Riprende Cristina: «Le vittime dei preti pedofili sono gli ultimi degli ultimi. Erano credenti e praticanti. Dentro il mondo della fede, che amavano, hanno trovato l’ inferno. Da cristiani, dobbiamo smettere di voltarci dall’ altra parte. Dobbiamo evitare il più possibile che si ripeta ciò che è accaduto ad Alessandro e a tantissimi altri».
È nato così, come fiore che sbuca nel deserto più arido, lo scopo che dà a Cristina la forza e la voglia di ricominciare ogni sua giornata: «Ciò che dà senso al mio futuro è testimoniare, condividere, stare vicina a chi ha vissuto situazioni come la mia, far sapere a tutti che l’ abuso non è l’ ultima parola sulla vita. Se ne può uscire. C’ è per tutti una Via, una Verità che rende liberi».
DA VITTIME A SOPRAVVISSUTI
Cristina Balestrini ha trovato un suo particolare ambito di senso e testimonianza dentro Rete L’ abuso – Associazione sopravvissuti agli abusi del clero (www.retelabuso.org), diventata un riferimento anche per Alessandro. «L’ Associazione», racconta, «ha aiutato Alessandro a compiere il suo passaggio da “vittima” a “sopravvissuto”. Ha trovato il coraggio di esporsi, condividere la sua storia con chi ha vissuto situazioni altrettanto drammatiche, mettersi a servizio di chi non ce la fa a uscirne. Non gli auguro, di cuore, di essere per sempre “il sopravvissuto”, di trovarsi a parlare sempre di questa vicenda. Gli auguro una vita normale per quanto possibile. Ma sarà una normalità che non potrà mai negare questo pezzo, che fa parte di lui».
http://m.famigliacristiana.it/articolo/cristina-balestrini-sul-calvario-con-mio-figlio-abusato-da-un-prete.htm