Buongiorno.
Sono nato a Roma nel 63, oggi ho 55 anni, e gli episodi che vi racconto rimontano alla mia infanzia e adolescenza.
Infanzia difficile, perché mio padre non mi amava e me lo faceva sapere, non perdendo una occasione per svilirmi, soffrivo quindi di una orribile mancanza di affetto.
Mia madre, molto materna e affettuosa ma distratta, fece in modo ch’io frequentassi la parrocchia dei SS. Aquila e Priscilla e, brevemente, anche il gruppo dei lupetti, per allontanarmi dalla strada e dai pericoli, perché ci si fidava del clero e dei loro ministri.
I ricordi della mia infanzia sono sempre stati un mistero, come se cercassi di leggerli tra le pagine chiuse di un libro intonso, e non mi sono mai troppo soffermato su queste pagine segrete, perché ho cercato sempre di andare avanti, per dovere e amor proprio, anche se mi sono sempre domandato il perché di tanti eccessi durante l’adolescenza….
I miei ricordi sono netti solo a partire dai 13 anni, quando cominciai a frequentare i ragazzini più disperati del quartiere e a farmi le canne, in terza media. Passai poi alle pere, agli acidi e alle anfetamine in primo liceo, e a quindici anni ero eroinomane.
Negli anni 70 la città intera era stata ricoperta da un velo di polvere bianca destinato a stroncare una gioventù scomoda, e io mi ci rotolai dalla testa ai piedi per dissimulare il senso di colpa che mi portavo dentro e del quale ignoravo la causa. Era un po’ come portarsi sulle spalle il peccato originale, quello che vogliono appiccicarci addosso durante le lezioni di catechismo. O il peccato di qualche ministro moralizzatore, come quello della molto cattolica Rosa Russo-Iervolino che all’epoca, ministro degli affari sociali, promulgò una legge per colpevolizzare i tossicomani, malati e colpevoli di esserlo. Legge premurosamente applicata dalle forze dell’ordine, che non mi risparmiarono botte e ceffoni denudato nei commissariati.
Ho interrotto gli studi a quindici anni anche se ho continuato a far finta di frequentare il liceo fino ai diciotto, facendomi ovviamente bocciare a ripetizione. E mi sono drogato per quasi dieci anni, fra alti e bassi, perché riuscivo sempre a fermarmi sul bordo del precipizio grazie al mio naturale mimetismo sociale e a un mestiere che mi permettevano di resistere.
A ventiquattr’anni, come se sbucassi dal nulla e bruciando tutte le tappe, reintegrai rapidamente la società, fresco come un adolescente diventato di colpo uomo, con tanta voglia di fare, tanta voglia di ridere e di dimenticare. Mi sentivo inspiegabilmente puro, pulito, come un angelo che ha volato in inferno senza bruciarsi le ali (anche se ci ho rimesso qualche pelo di culo).
E poi vent’anni fa mi sono trasferito a Parigi, perché mi sono innamorato di quella che divenne poi mia moglie, e colsi inconsciamente l’occasione per fuggire da Roma e dal mio nebbioso passato.
Non mi posso lamentare di ciò che ho costruito: faccio un lavoro artistico, sono diventato colto, anche senza diplomi e ho due meravigliosi figli. Ma in fondo ho sempre vissuto come un cane randagio: la mia vita è un immenso “bricolage” e la mia coscienza è una come una zattera di fortuna.
Sono un naufrago, un sopravvissuto, perché di tutto il mio gruppetto di amici “grandi” (io ero sempre la “mascotte”) sono l’unico che si è salvato. Ho anche evitato l’AIDS, pur scambiando quotidianamente siringhe con sieropositivi. Mi sono invece beccato a diciotto anni due epatiti, la B e la C, quest’ultima guarita nel dolore una decina di anni fa.
Cinque anni fa mi sono separato da mia moglie, cordialmente, ci amiamo e ci stimiamo ancora come se fossimo i migliori amici del mondo. Ciò non toglie che ritrovarmi di colpo davanti ai “misteri” mi ha fatto sprofondare in crisi.
Perché definirmi bisessuale non è mai stato sufficiente a capire la natura dei miei desideri. E perché a dieci anni ero talmente ossessionato dal sesso che iniziavo a quei giochi tutti i miei amichetti. E perché tanta vergogna? Perché tanti sensi di colpa? Perché queste fantasie masochiste quando amo solo le carezze?
E perché l’infanzia rimossa? Perché a nove anni, improvvisamente, pisciavo nel mio letto e facevo scivolare palline di cacca dai pantaloni. E perché la droga in così tenera età, con determinazione, pur avendo un carattere naturalmente ottimista e generoso?
Pensavo di essermi drogato per debolezza, come un cacasotto, anche se la mia vita mi dimostrava il contrario. Pensavo anche di essere bisessuale per scelta, ma non lo sono, sono solo confuso, solo vittima di una confusione che viene da un lontano passato.
Ma quale passato? Dove si nasconde il passato?
Ho allora finalmente cominciato una psicoterapia, cosa che avevo sempre evitato, inconsciamente. Ed è così che ho ritrovato una parte dei miei ricordi, dolorosi, nascosti nel profondo ma che tuttavia affioravano nella memoria… Si perché ho sempre ricordato di certe attenzioni malsane di Don Angelo, che tra l’altro hanno sempre nutrito in me un profondo anticlericalismo che mi ha portato fino a sbattezzarmi una decina di anni fa.
Ma avevo completamente censurato gli aspetti più scabrosi di quello che è violentemente riaffiorato e che mi ha profondamente sconvolto: a 8 anni don Angelo Pio Loco mi ha violentato, in chiesa, e non una sola volta.
La memoria mi ha restituito solo tre penosi spezzoni, tre brevi e orribili flash di qualche secondo, tutti all’interno della chiesa o della sagrestia che all’epoca erano ubicate in via Guido Castelnuovo. Fu come se avessi preso una macchina del tempo per rientrare nel corpo dei miei 8 anni, facendomi violentare tra lo sbigottimento e il disgusto del bambino, incapace di pensare, di capire, incapace di muovermi e di fuggire.
Rividi don Angelo in un confessionale trafficare nelle mie mutande per penetrarmi con le sue dita grassoccie e sporche, perché era sempre sporco e puzzava. E sentii le mie narici d’adulto frustate dall’odore nauseabondo della bava, mentre la sua bocca si spalancava sul mio visino come una voragine. Mi diceva: “apri, dai, apri, apri la bocca”, ch’io tenevo stretta, e ci forzò dentro la sua enorme lingua. Lo rividi poi leccarmi dappertutto, come una belva eccitata dalla preda, mentre io paralizzato mi lasciavo fare, sperando che quell’orco divenuto reale la finisse al più presto e mi lasciasse ritornare in casa.
Il ritorno nel mio corpo d’adulto mi fece quasi svenire. Corsi in lacrime in casa dove rimasi chiuso a piangere per due settimane, a ricucire i pezzi della mia coscienza disgregata, i pezzi di questa zattera che mi sono ostinato a far galleggiare su un oceano di misteri.
E poi mi vennero in mente anche altri ricordi, mai dimenticati ma “accantonati” nel dimenticatoio, come quando mi chiudevo in bagno piangendo per lavare dal mio visino il puzzo della sua bava, di nascosto, perché mi vergognavo e non capivo, non capivo nulla. Cominciai a ripercorre il mio passato come se srotolassi la bobina di un film censurato, cercando di rappezzare i tagli con i miei sordidi spezzoni, rovistando nella mia memoria come un forsennato.
Quanta vergogna sulle spalle, quanto disgusto. Ancora ci piango sopra, e mi sentii improvvisamente come il bambino, vigliacco, impotente, debole. Ma come non esserlo a quell’età. Come razionalizzare una violenza così paradossale? Un bambino non può comprendere i paradossi! Ed è allora che scatta la censura, l’oblio, quella che ti permette di sopravvivere a un trauma senza peraltro evitarne le conseguenze, anch’esse paradossali, come lo è la violenza che mi è stata inflitta da quel porco.
Ma come affrontare da adulto la coscienza ritrovata?
Pur trovando finalmente una coerenza nel mio passato sregolato, mi sono sentito e mi sento ancora profondamente spersonalizzato. Come se il mio destino non fosse mai stato nelle mie mani, o in quelle del signore (se ne esiste uno) ma tra quelle di un porco in sottana… Ed io ero appetibile, biondino, sensibile, perennemente in cerca d’affetto. La preda ideale. Mi ha rubato il destino, l’innocenza, l’infanzia, la gioventù e la dignità di uomo. Ha rubato anche la mia sessualità, perché alla luce dei fatti mi domando anche se sono veramente bisessuale. Sono forse solo etero per vergogna, o un omosessuale che non ha gli strumenti per assumersi. Non lo saprò mai…
Ero talmente fuori di me che ho incominciato a bere. E per uno come me e pur stando lontano da decenni dagli psicotropi, la caduta è veloce. Ho bevuto per due anni, di nascosto dai miei figli e per sopportare l’insopportabile. Poi sono stato assistito, perché per fortuna qui in Francia la sanità ha creato una struttura gratuita per curare le vittime di traumatismi, l’Istituto di Vittimologia e di Psicotraumatologia.
Ora sto bene, e riesco a non vergognarmi più. Non mi vergogno nemmeno di aver da giovane rubacchiato, o di essermi prostituito ancora minorenne per comprarmi qualche dose. Ho vissuto quegli anni come si vive in trincea, e in guerra si pensa alla sopravvivenza. Sono sempre stato onesto e oggi lo sono in maniera esagerata, quasi estremista, perché ho fatto di tutto per guadagnarmelo, per capirlo, e perché ne va della mia dignità di uomo, e ne sono fiero, si, fiero. Se il signore esiste davvero (e nel mio caso è difficile crederlo) saprà perdonarmi, e io posso finalmente incominciare a vivere con me stesso senza vergogna, neanche quella puerile del bambino che si pisciava a letto terrorizzato dal suo orco surreale.
Ho camminato per decenni come un mutilato che si ignora, con una protesi di fortuna, oggi frantumata dal riemergere dei ricordi. Ora ne sto costruendo un’altra, più bella e in tutta coscienza. Ma non mi faccio illusioni, perché anche se riuscirò a correrci, resterò così come sono: un mutilato. Non siamo come le lucertole alle quali ricresce la coda, ci si abitua solo a guardarsi senza.
E vi scrivo questo solo « ad memoriam », ormai è troppo tardi per fare altro, sono passati oltre 40 anni, ma ho comunque bisogno di giustizia. Quella umana non divina.
Don Angelo Pio Loco Boscariol è morto all’età di 93 anni nell’agosto del 2015, dopo aver fatto una grande e disonorevole carriera, incardinato nel 77 e poi cappellano di sua santità. Complimenti monsognore, io cominciavo appena a farmi le pere quando vi hanno promosso monsignore.
Leggere le sue lodi sul sito del gruppo scout Roma 135, del quale facevo parte, mi irrita profondamente. E non so se sono la sola vittima, è molto improbabile. In ogni caso ci tengo a lasciare la mia testimonianza «storica», perché certe storie vanno raccontate per evitare che si ripetano, ed abbiamo noi tutti il dovere di proteggere i nostri figli.
In piena crisi scrissi una mail molto “pia” all’attuale parroco, per raccontargli dell’accaduto, non ho avuto alcuna risposta. Preso dalla rabbia ho allora scritto ai giovani capi scout, ed anche lì nessuna risposta. Allora sono arrivato a scrivere all’associazione parrocchiana dei genitori e a al cardinale Angelo De Donatis.
Mai nessuno mi ha risposto!
Grazie alla Rete l’Abuso, l’anno scorso ho inviato alla parrocchia una messa in mora in civile. I loro avvocati mi hanno pronamente risposto via lettera raccomandata, declinando ogni responsabilità e ricordandomi che monsignor Pio Loco Boscariol è deceduto. Assortendo il tutto con articoli di legge (italiana e non canonica) e concludendo con una “paterna benedizione”.
È questa quella che loro chiamano “carità cristiana”. E mi fanno veramente vomitare, ma non mi lasciano senza parole, il silenzio uccide.
Lettera firmata dalla vittima
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