Nell’ansia di screditare l’autore del documento, Andrea Tornielli finisce per mollare pure Ratzinger. E attribuisce a Viganò la firma (inesistente) della “Correctio filialis”
Di Giorgio Gandola
Angeli e demoni. Quando uno schizzo di verità cola su una tonaca candida mettendo in imbarazzo chi la indossa, i rimedi sono due: il silenzio contrito e distante o il pronto intervento di don Andrea. Come una candeggina. Poiché davanti all’eco mondiale delle parole di monsignor Carlo Maria Viganò non è possibile tacere, ecco scendere in campo Andrea Tornielli, vaticanista di lungo corso e di altro magistero, che sul sito Vatican Insider (autorevole finestra sui cortili d’Oltretevere inglobata nella Stampa) ieri ha provato a distruggere dalle fondamenta le accuse a papa Francesco. E lo ha fatto da difensore d’ufficio, da alabardiere svizzero con la penna al posto della picca col fiocco, applicando al caso la regola numero uno dello smontaggio mediatico: se non riesci a colpire il ragionamento, colpisci il ragionatore.
Così Viganò si trasforma in un cupo prelato millenarista corroso dall’invidia neanche fosse uscito da Il nome della rosa; un opportunista che pretende di scoperchiare il verminaio della lobby gay davanti all’altare di Cristo ma si faceva fotografare con il cardinale Theodore McCarrick; un uomo confuso che parla per frustrazione contro sua santità Jorge Bergoglio senza averne motivo. E che farebbe parte di una de stabilizzatrice Spectre mondiale riconducibile ai firmatari della famosa “Correzione filiale” all’esortazione post-sinodale Amoris Laetitia.
Il problema delle difese d’ufficio è quasi sempre il trasporto, lo slittamento della frizione. Tornielli scrive che Viganò firmò quel documento eretico, ma del suo nome nel sito ufficiale correctiofilialis.org non c’è traccia. Lo stesso vaticanista spiegava nei giorni della lettera scarlatta, un anno fa: “A sorpresa il documento non contiene le firme di cardinali (…). Non compaiono nemmeno le firme di vescovi in comunione con Roma”. Impossibile che un fuoriclasse come lui abbia preso un buco.
Nel comprendibile tentativo di gettarsi a corpo moro su papa Francesco per difenderlo dalle critiche, Tornielli sostiene che non del Pontefice argentino sia la colpa dello scandalo, semmai del suo predecessore Joseph Ratzinger “non in grado di far rispettare i suoi stessi ordini, senza battere ciglio vedendoselo arrivare in Vaticano in più occasioni” (il soggetto è sempre il pedofilo McCarrick). E qui sembra un altro giornalista, che evidentemente ha cambiato punto di vista sul Golgota della verità, non certo il coautore con Paolo Rodari del bestseller Attacco a Ratzinger contro chi osava sollevare il sopracciglio nei confronti di Benedetto XVI che nel 2012 (non è inutile ricordarlo) era il Papa in carica.
Chi accusa di omissioni il mondo, talvolta finisce per omettere. Per esempio che monsignor Viganò non può essersi vendicato per una mancata promozione di qualche mese fa poiché già nel 2011, proprio a Benedetto XVI, aveva denunciato la presenza di una potente lobby gay in Vaticano. E per questo suo amore di verità si giocò la carriera. Allora era vicegovernatore, in pole position per diventare governatore fra le sacre mura anche per le sue qualità amministrative: era riuscito ad ottenere un avanzo di 22 milioni limitando gli sprechi babilonesi dei preti. Ma pagò il so coraggio con un allontanamento punitivo in Africa deciso dall’allora segretario di stato, Tarcisio Bertone. Quando Ratzinger lo seppe stracciò la lettera d’incarico e gli cambiò destinazione, riconoscendogli lealtà e trasparenza, e attribuendogli il prestigioso ruolo di nunzio apostolico a Washington. Il prelato allegramente screditato dalle penne all’incenso, in realtà sacrificò il proprio futuro in nome della verità; sarebbe piaciuto a Gilbert Keith Chesterton e ai grandi cristiani della Storia. Dopo 7 anni ha continuato a pronunciarla, anzi a gridarla com’è giusto, perché il cancro della pedofilia continua ad albergare fra le tonache nonostante le dichiarazioni di principio di Bergoglio, applaudite dalla claque. Prima dell’estate il caso del ragazzo di Rozzano, abusato sessualmente da un prete coperto da Mario Delpini, è finito davanti alla platea dell’Onu a Ginevra. Non per la straordinarietà della vicenda, ma perché il sacerdote omertoso è stato nominato arcivescovo di Milano proprio da papa Francesco, che ha (invano) il dossier della vittima sulla scrivania. Angeli, demoni e alabardieri fuori taglia. Ma la luce delle candele resta tremula, come la carne di troppi preti.
(trascrizione da La Verità del giorno 29 agosto 2018)
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