“Se chiudete significa che conoscete la verità, ditecela”, è scritto nella lettera indirizzata a monsignor Becciu
“Emanuela Orlandi non è un ‘caso chiuso’, è mia figlia. E io la cercherò finché il Signore mi terrà in vita”. Maria Pezzano Orlandi non ci sta: la verità su quanto accaduto a sua figlia, sparita misteriosamente nel 1983 quando aveva solo 15 anni, è un elemento imprescindibile. Liquidare la sua estenutante ricerca della verità con un semplice “per noi è un caso chiuso” – come detto dal sostituto per gli affari generali della Segreteria vaticana, monsignor Angelo Becciu – non è fattibile. La questione va oltre il dolore di una madre.
“Se la sapete diteci la verità”
“I casi degli scomparsi si chiudono solo in due modi: o con il ritrovamento in vita di chi è sparito o con l’accertamento della sua morte”, scrive Maria in una lettera davvero accorata, indirizzata a monsignor Becciu. “Me lo dica, allora, Eccellenza, come si è chiuso il caso di mia figlia. Perché se per Lei il caso è chiuso, allora di certo sa cosa è accaduto a Emanuela. Mi dica dove si trova mia figlia, Eccellenza, se Lei sa che è viva. Mi dica dov’è adesso, perché voglio andare subito a riabbracciarla. Attendo da troppo tempo questo momento”, scrive con l’ironia che solo una mamma che da 34 anni aspetta un segno si può permettere.
La lettera a Becciu
“Eccellenza – scrive la signora Orlandi nella lettera -, dopo avere letto le Sue dichiarazioni, voglio condividere con Lei il dolore che pulsa nel cuore di una madre ormai anziana. Risiedo in Vaticano, stavo ancora bevendo un caffè con il mio avvocato, quando le agenzie di stampa si sono scatenate con le sue durissime parole: «Per noi il caso è chiuso». Non era passata neanche un’ora da quando la mia famiglia aveva rivolto formalmente al Segretario di Stato la richiesta di vedere il fascicolo che riguarda Emanuela e il caso era già chiuso. Io attendo da 34 lunghi anni di sapere che cosa è successo a mia figlia e la Sua risposta è giunta dopo solo una manciata di minuti. La mia bambina, il «caso chiuso», non meritava neppure qualche ora di ponderata riflessione. E tantomeno una risposta.
Le ricordo, Eccellenza, che i casi degli scomparsi si chiudono solo in due modi: o con il ritrovamento in vita di chi è sparito o con l’accertamento della sua morte. Me lo dica, allora, Eccellenza, come si è chiuso il caso di mia figlia. Perché se per Lei il caso è chiuso, allora di certo sa cosa è accaduto a Emanuela. Mi dica dove si trova mia figlia, Eccellenza, se Lei sa che è viva. Mi dica dov’è adesso, perché voglio andare subito a riabbracciarla. Attendo da troppo tempo questo momento.
Se invece Lei sa che Emanuela non c’è più, allora, Eccellenza, mi dica dove sono i suoi resti. Mi dica dove posso trovare la tomba della mia bambina. Sono sua madre, io l’ho partorita, l’ho allevata, l’ho vista crescere e poi sparire ancora prima che diventasse donna. Me lo dica, Eccellenza, dov’è sepolta Emanuela, vorrei portarle un fiore. Ogni giorno, vorrei ricoprirla di fiori. Ma se non ha risposte da darmi, allora, Eccellenza, il caso non è affatto chiuso; è ancora aperto. Dunque, la Sua frettolosa risposta è diplomatica?
Invece, la Sua coscienza, l’abito che porta e il ruolo che riveste, dovrebbero obbligarLa ad aiutarmi a trovare Emanuela. Dovrebbero obbligarLa a confortare una madre desolata, ad asciugare le sue lacrime e a prodigarsi per lenire il vuoto immenso che ha lasciato Emanuela in questa famiglia quel pomeriggio di 34 anni fa, quando è uscita per andare a scuola di musica e non è più tornata.
http://notizie.tiscali.it/cronaca/articoli/orlandi-mamma-lettera-vaticano/
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